PALLADIO (Παλλάδιον, Palladium)
È originariamente un'antichissima immagine di Atena conservata nella fortezza di Ilio e connessa con la salvezza della città. Il nome e l'idea risalgono secondo le opinioni correnti alla Ilioupèrsis di Arktinos, dove si parla di una immagine prodigiosa donata da Zeus a Dardano come pegno della suprema salute di Troia. Diversa per carattere era l'immagine di Atena nel santuario di Ilio secondo Omero: una statua seduta e verosimilmente disarmata, sulle cui ginocchia Theano, Ecuba e le donne troiane depongono un peplo di offerta. E già Strabone aveva notato la contraddizione tra questa descrizione e il P. stante e in armi del tipo più normale, come quello che ancora ai suoi tempi si venerava nella Nuova Ilio.
È notevole il fatto che già in Arktinos si parli dell'immagine reale, tenuta nascosta nel più segreto recesso del tempio e di un doppio, una replica assolutamente perfetta che era tenuta esposta alla adorazione dei fedeli ed eventualmente alla cupidigia dei rapitori. La distinzione sembra quindi già presupporre non solo il furto da parte degli eroi achei Diomede ed Odisseo, ma anche giustificarne l'insuccesso finale attraverso il complesso gioco di immagini vere e sostituite. Secondo una tradizione il P. trafugato dai due eroi non doveva essere quello reale, che invece torna a figurare nell'ultimo atto della tragedia di Troia, quando Aiace penetrato nel santuario di Atena inffigge il supremo oltraggio alla profetessa Cassandra avvinghiata alla statua stessa della dea. Con questo atto nuove sciagure vengono a minacciare gli eroi greci, e di conseguenza la terribile potenza di questa immagine obbliga a ritenere che si trattasse appunto di quella vera, di origine divina e patrona suprema della città.
Caratteristiche del P. possono quindi dirsi l'origine divina, l'incomparabile preziosità per la patria e le dimensioni ridotte implicite anche nel nome che ne consentano il trasporto o il trafugamento. Conseguenza di questo pericolo è la duplicazione a scopo precauzionale e quindi il fatto che i Palladia, veri o supposti, dovevano essere assai raramente avvicinabili se non addirittura nascosti e invisibili per generazioni. La differenza tra l'immagine vera e i sostituti può rivelarsi attraverso strane manifestazioni di vitalità. Così gli occhi le si illuminano e la lancia vibra e minaccia quando Odisseo nella Ilias Mikrà di Lesche dubita della sua genuinità.
Le molteplicità e le contraddizioni stesse della tradizione unitamente alla facile soluzione delle repliche sostituite spiega abbastanza bene il gran numero di Palladia veneratissimi che s'incontrano nel mondo antico, tutti apparentemente provenienti da Troia. Così Palladia di alta antichità e di pedigrees ineccepibili si conservavano nella Nuova Ilio, ad Argo - ovviamente quello trafugato da Diomede - a Sparta, dove una tradizione voleva che il P. fosse esistito prima di esser trasportato a Troia da Paride insieme ad Elena e ai tesori della reggia. Altri sono ricordati in Arcadia, forse a Tegea, a Samotracia, ad Amphissa nella Focide, a Megara, a Pellene, ad Alalkomenai. I due eroi attici presenti alla rovina di Troia, Acamante e Damofonte avrebbero anch'essi riportato in patria il P.: e in Atene la formula ἐπὶ Παλλαδιῳ aveva un preciso significato legale. In Italia Palladia esistevano a Siris, dove i primi coloni vantavano origini troiane, a Lucera, a Lavinio e infine a Roma, dove Enea lo avrebbe trasportato da Troia insieme ai Penati e dove sarebbe rimasto invisibile, custodito prima nel tempio di Vesta e forse poi sul Palatino insieme ai sacra pignora imperii. Un'iscrizione del IV sec. d. C. ci parla infatti ancora di un Pailadium Palatinum (C. I. L., x, 6441).
In definitiva, per quanto insistenti i tentativi di ricollegare a Troia ogni P. noto, è da ritenere che ben presto il nome andasse applicato almeno a gran parte di quelle immagini sacre antichissime e alle volte informi per le quali si postulava un'origine divina e un'intima connessione con le sorti prospere o contrarie della città. Mentre l'insistenza sul carattere guerriero, sulle armi minacciose dell'immagine confermano un rapporto con il trofeo, una vuota panoplia applicata a un tronco. Ancora più incerto e discusso è il rapporto proposto da alcuni tra il P. ellenico e certi aspetti del "culto dello scudo" come appare in alcuni monumenti micenei e che ha fatto addirittura parlare di P. miceneo.
Sappiamo di Palladia in legno, in bronzo come quello di Amphissa o in avorio come quello di Alalkomenai: un P. di origine peloponnesiaca sarebbe stato addirittura intagliato nella scapola d'avorio di Pelope. Secondo la tarda testimonianza di Apollodoro il P. troiano era alto tre cubiti: ma in realtà anche le dimensioni variano notevolmente anche nella tradizione più sicura, dove anzi esse sono di frequente sottoposte alla condizione della trasportabilità.
In base alle figurazioni più autorevoli, in specie su monete, si può assumere siano da chiamare Palladia le immagini di Atena completamente frontali e rigide anche nel gesto minaccioso, in opposizione all'ampio passo sviluppato di tre quarti della Pròmachos. Le proporzioni ridotte e l'atteggiamento guerriero inducono di necessità a stabilire un certo parallelismo tra il P. e la piccola Atena che emerge armata e minacciante dal cranio di Zeus. Né è da considerarsi semplice coincidenza che alcuni luoghi in cui si localizzava la nascita di Atena, come Ilio, Atene, Lindo e in particolare Alalkomenai, esistessero santuarî con antichissime immagini di Atena ricollegate con il P. troiano. In definitiva quindi può dirsi che almeno nella comune coscienza dei Greci il P. doveva corrispondere agli aspetti primarî e più decisamente guerreschi di Atena. In questo senso possono accettarsi le estensioni del termine all'antichissimo tipo cretese di Atena armata che si incontra nel santuario di Gortina, o addirittura alla Pròmachos delle anfore panatenaiche come assume S. Papaspiridi Karouzou.
Come è naturale, prescindendo dalle numerosissime statuette di Atena rigide e frontali che possono raffigurare dei Palladia, le immagini più sicure s'incontrano nelle figurazioni di carattere epico in cui quest'immagine si trova sicuramente ad aver parte. E questo innanzi tutto nell'episodio dell'oltraggio a Cassandra perpetrato da Aiace nell'ultima notte di Troia nell'àdyton stesso del tempio, strappando violentemente la profetessa dall'idolo.
Un frammento di cratere tardo-corinzio da Delfi con una rigida figurina di Atena armata viene ritenuto come il resto di una Ilioupèrsis databile ancora agli inizî del VI sec. a. C. Nello stesso ambiente del resto l'episodio appariva nell'Arca di Kypselos e in tutta una serie di lamine bronzee argivo-corinzie che vanno dagli inizî al terzo venticinquennio del VI sec. a. C. La scena ritorna in forme quasi immutate nella ceramica a figure nere contemporanea dove possono ricordarsi esempî insigni quali la coppa di Siana del British Museum B 379, la grande anfora firmata da Lydos del Louvre e tutta una serie di anfore più tarde del gruppo E. Così nelle lamine bronzee come in queste figurazioni il P. rigido e minaccioso domina come una roccia sulla fragile, spaurita figura di Cassandra, seminuda e di proporzioni quasi infantili, a volte quasi completamente nascosta dietro la statua della dea. La scena si presenta in definitiva come una sorta di duello in cui la dea e l'eroe persecutore si minacciano affrontati con la piccola vittima accantonata in un angolo. E l'evidenza di questo motivo è così scoperta che alcuni studiosi hanno tentato di distinguere tra un'Atena presenza reale e un'Atena-statua, come appare chiaramente indicata nelle figurazioni più tarde. In realtà è da ritenere che in tutte queste immagini, anche nelle figurazioni attiche più mature della seconda metà del VI sec., quando Atena ci appare con il gran passo obliquo e l'ampia veste a pieghe della Pròmachos, si sia inteso raffigurare non già Atena attaccante, ma il Palladio. In età arcaica infatti una distanza appena percettibile separa il mondo reale degli uomini, degli dèi e degli eroi che agiscono e soffrono da quello delle immagini fisse delle divinità. Per molti aspetti anzi immagini statuarie e creature vive si muovono sullo stesso piano e l'immagine stessa si riflette e si articola secondo i modi correnti e le grafie d'uso. Così che a lato a immagini tradizionalmente fisse e rigide di Atena minacciante si giunge al tipo Pròmachos affine a quello delle anfore panatenaiche, e di lì al liquido fluire dei drappeggi appuntiti e liberissimi dell'Atena del Pittore di Kerberos a New Haven.
Non è forse a caso che in un artista infinitamente più pensoso e maturo, il Pittore di Kleophrades della hydrìa Vivenzio, incontriamo apparentemente per la prima volta il distacco, la differenza di piano spirituale tra l'idolo irrigidito di un'altra età e le creature tormentate e attuali dell'ultima notte di Troia. Concezione questa che rimarrà acquisita definitivamente anche accanto alle discontinuità e alle infinite variazioni di vesti e di aspetto dell'idolo. Notevole è invece la graduale diminuzione di statura del P., non più torreggiante accanto a Cassandra seminuda, ma anzi di dimensioni ridotte e in età ellenistica addirittura tascabile. Questa riduzione può esser messa in rapporto con la nuova tradizione iconografica del ratto del P. per parte di Odisseo e di Diomede che ci appare documentata dagli inizî del V sec. a. C. Come è evidente la nuova figurazione imponeva una maggiore trasportabilità dell'idolo e quindi dimensioni più modeste.
Già nella Lesche degli Cnidî Polignoto, nella scena del giudizio degli eroi Achei su Aiace, aveva figurato Cassandra seduta che reggeva il P., evidentemente una immagine di dimensioni assai diverse da quanto si era visto sino alla fine dell'età severa. E tra le infinite immagini su gemme la splendida Cassandra n. 93 da Lewes House, ora a Boston, riassume con la più incisiva concentrazione i termini del dramma: un armonioso corpo seminudo in ginocchio, tutto incurvato a proteggere il minuscolo Palladio.
Le qualità statuarie, di idolo inanimato, del P. sono ancora esaltate per effetto di quella curiosa capacità della matura arte classica di sdoppiare la figura della divinità da quella della statua di culto e di porle a fronte. Il primo e il più drammatico esempio può vedersi in una nota anfora del Gruppo di Polygnotos nel Corpus Christi College in Cambridge, dove un'Atena quieta e meditativa si appoggia alla lancia, il capo scoperto dall'elmo come una distaccata spettatrice accanto al P. arcaico irrigidito nell'inane gesto di minaccia. E nella ceramica italiota tale opposizione di temperamento tra P. e Atena, sembra farsi sempre più deciso. Assai varî sono gli aspetti in cui il P. è rappresentato, a volte ancora rigido e inguamato in una veste senza pieghe, a volte in vesti ioniche, a volte addirittura in liberi panneggi di tipo classico. Tuttavia tra la concentrazione, la compattezza formale dell'immagine e il contemplativo distacco di Atena mollemente reclinata nel paesaggio roccioso sembra rispecchiarsi uno degli aspetti più significativi della concezione stessa delle persone divine e dei loro remoti e misteriosi interventi nei drammi del mondo.
Dello stesso ordine è l'opposizione tra un'Atena presente e minacciosamente affiancata da un serpe colossale e un minuscolo P. appoggiato a terra come un giocattolo abbandonato, nella nota e discussa scena di cui sono protagonisti Paride ed Elena in un arỳballos a figure rosse del museo di Berlino. Per Robert si tratterebbe ancora del primo incontro in cui divampa l'amore irresistibile tra il principe troiano e la regina di Sparta. Questo potrebbe ricollegarsi alla teoria che il P. si trovasse in territorio ellenico, a Sparta o ad Argo, donde Paride lo avrebbe portato a Troia insieme con i tesori di Elena. È noto anche come la sorte stessa di Elena sia connessa con il P. nel trafugamento di quest'ultimo o anche negli eventi degli ultimi giorni di Troia. Elena appare infatti tra i due rapitori Odisseo e Diomede, quest'ultimo con la spada sguainata e il trofeo guadagnato sul braccio in una singolare anfora panatenaica della cerchia del Pittore di Meidias nel museo di Napoli. Ugualmente nella oinochòe del Vaticano con Elena in fuga dinanzi a Menelao ci viene offerto nello stesso quadro il blando, irresistibile appello di Afrodite presente e invisibile agli eroi e il meccanico, materialistico interporsi dell'irrigidito idolo arcaico di Pallade.
L'episodio di Cassandra e del P. doveva ricorrere apparentemente su due tra le più mutilate delle metope del Partenone: mentre ugualmente lacunose e corrose appaiono le figurazioni dell'Ilioupèrsis nel frontone E di Epidauro.
Di gran lunga più povera e uniforme è la tradizione figurata relativa al P. nelle scene del ratto. Per ovvie ragioni il P. è di dimensioni estremamente ridotte, un mero attributo nelle mani di Diomede e di Odisseo. Nella più antica figurazione nota, quella sulla coppa di Makron nell'Ermitage, i due eroi appaiono in atteggiamento simmetrico, la spada sguainata e ciascuno provveduto di un suo Palladio. La scena è stata variamente intesa, ma gli elementi indiscutibili appaiono: la presenza dei due Palladia, il vero e il falso, e il fatto che le spade sguainate non indicano la minaccia costante della rischiosissima impresa, ma il contrasto scoppiato tra i due eroi. Figurazioni del genere sono peraltro assai rare. Di consueto è Diomede che regge il Palladio e, di conseguenza, l'accento drammatico è decisamente spostato sull'eroe di cui gli artisti ci raffigurano la sospettosa inquietudine, come nella statua di Kresilas, o il cauto avanzare a passi di lupo di pura tradizione teatrale, come nella lunga serie di gemme e di rilievi. Diomede è anche alle volte raffigurato semi inginocchiato su un altare, con il P. e la spada sguainata, supplice e minaccioso come Oreste a Delfi. Il P. d'altra parte ha forme appena leggibili, non è che un minuscolo attributo nella mano poderosa dell'eroe. Le uniche variazioni apprezzabili si hanno nelle dimensioni, perché a volte la statuetta è troppo grande per esser sostenuta sul palmo della mano e quindi viene abbrancata e stretta al fianco, come nella statua non finita recentemente rinvenuta ad Atene.
Dell'episodio, come del resto della storia di Cassandra, ci sono note anche redazioni parodistiche nei vasi italioti.
I due episodî sembrano confluire in una nota pittura pompeiana in cui Cassandra è addirittura presente al furto dell'immagine da parte degli eroi achei. E per rimanere in questo campo si può ricordare il P. bronzeo e corrusco dell'Ilioupèrsis nella Casa del Menandro che indossa vesti ornate e un elmo a tre lòphoi come la Parthènos.
Tra le immagini statuarie di età romana che è possibile riferire a questo tipo iconografico sono da ricordare l'Atena di Poitiers, ora nel Louvre, e il torso Ince Blundell n. 249. In età romana poi il P. viene a rivestire una speciale funzione nella ornamentazione delle corazze imperiali. È superfluo rilevare il preciso significato ritualistico di queste decorazioni in cui il P. viene ad assumere una posizione centrale fissa quasi come il Gorgonèion nell'egida.
Converrà anche ricordare alcuni curiosi esempî non tanto di contaminazione, quanto di confluenza tra schemi iconografici riguardanti il P. e un'altra famosa immagine rapita, l'Artemide Taurica. Come è stato osservato in alcuni casi Artemide appare provvista di elmo e lancia come Atena tanto da rendere incerta la lettura stessa della scena (v. Journ. Hell. Stud., xliv, 1924, p. 80).
Monumenti considerati. - Cratere corinzio di Delfi: H. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1927, p. 136. Coppa di Siana, maniera del Pittore C, Londra B 379: J. D. Beazley, Black-fig., p. 60. Anfora di Lydos, Louvre: C. V. A., xii, tav. 125. Lamine bronzee: E. Kunze, Schitdbänder, Berlino 1950, p. 161. Anfore del gruppo E: Fr. Brommer, Vasenlisten, Marburg 1960, p. 282 ss. Coppa di New Haven del Pittore di Kerberos: J. Davreux, op. cit., fig. 45. Gemma di Boston: J. Davreux, op. cit. in bibl., fig. 82. Anfora a cordoni Cambridge, Collezione Barre: J. Davreux, op. cit. in bibl., fig. 49. Arỳballos Berlino: Roscher, iii, p. 1330. Anfora panatenaica della cerchia dei Pittore di Meidias, Napoli: Mon. Inst., ii, tav. 36. Oinochòe, Vaticano: L. Ghali-Kahil, Les enlèvements et les retours d'Hélène, Parigi 1955, tav. 66. Metopa del Partenone: id., ibid., tav. 49. Coppa di Makron, Ermitage: B. Pace, Arti e artisti nella Sicilia antica, iii, p. 325, fig. 65. Diomede di Kresilas, v. kresilas. Statuetta di Diomede da Atene: Am. Journ. Arch., lxi, 1957, tav. 83. P. da Sperlonga: G. Jacopi, La grotta di Sperlonga, Roma 1959, p. 20. Dipinto pompeiano dalla Casa del Menandro: Herrmann-Bruckmann, Denkmäler d. Malerei tav. 149; A. Maiuri, La casa del Menandro, Roma 1933, tav. 6. Atena Poitiers: H. Bulle, Archaisierende griechische Rundplastik, Monaco 1918, fig. 25. Atena, Ince Blundell: B. Ashmole, Cat. Ince Blundell Hall, Oxford 1929, n. 11.
Bibl.: O. Jahn, De antiquissimis Minervae simulacris, Bonn 1866; F. Chavannes, De Palladii raptu, Berlino 1891; C. Robert, Griechische Heldensagen, Berlino 1920, p. 1233; J. Sieveking, in Roscher, III, 1897-909, p. 1301 ss., s. v. Palladion; A. Furtwängler, in Jahrbuch, XXXVI, 1921, p. 43 ss.; K. Schefold, ibid., LII, 1937, p. 41 ss.; M. Pallottino, in Boll. d'Arte, 1937, p. 157; Fr. Willemsen, Frühe griechische Kultbilder, Monaco 1929, p. 20 ss.; J. Davreux, La legende de la prophétesse Cassandre, Parigi 1942; S. Papaspiridi Karouzou, in Ephem. Arch., 1948-1949, p. 10 ss.; S. Garsiniac, Genera Tropaion, Varsavia 1955; P. E. Arias, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, 1955, p. 95 ss.; D. Levi, in La Parola del Passato, 1956, p. 285 ss.; Fr. Brommer, Vasenlisten, Marburg 1960, p. 283; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, XIX, 1949, c. 171-202, s. v. Palladion.