PALMA di Cesnola, Alerino
PALMA di Cesnola, Alerino. – Nacque a Rivarolo Canavese il 21 luglio 1776 dal ricco possidente Emanuele e da Irene Grassotti.
Il primo antenato dei Palma di Canavese sarebbe stato un certo Giacomo da Burgos, soldato di ventura del XII secolo. L'ascesa economica e sociale della famiglia fu consacrata dalla concessione a Emanuele (1740-1814) del feudo di Cesnola (1789) e del titolo comitale (1791).
La recente nobilitazione del suo casato non impedì ad Alerino, laureatosi giovanissimo in legge, di accostarsi fra 1793 e 1794 alle idee democratico-repubblicane sull'onda degli eventi rivoluzionari francesi. Dopo essere stato coinvolto nei procedimenti giudiziari istruiti dalle autorità sabaude nel 1797 e nel 1798 contro i patrioti repubblicani, collaborò con il governo provvisorio filofrancese istituito in Piemonte alla fine del 1798, dal quale fu impiegato nell’organizzazione dei nuovi municipi e della guardia nazionale nel Canavese. Nel 1799 dovette rifugiarsi in Francia, come molti altri patrioti, in seguito all’offensiva austro-russa.
Si arruolò nella legione italica organizzata a Digione e, dopo la battaglia di Marengo del 14 giugno 1800, aderì al nuovo governo provvisorio piemontese, dal quale fu nominato segretario del comitato di Giustizia, commissario straordinario a Vercelli e presidente del tribunale di Ivrea.
Fu nel novero dei repubblicani piemontesi che approvarono l’annessione alla Francia, avvenuta in due tappe fra 1799 e 1802, al fine di scongiurare un ritorno della reazione e nella speranza che tale operazione giovasse alla prosperità politica ed economica degli ex territori sabaudi, stante l'impossibilità dell'unione con i liguri e i cisalpini per il veto francese, rafforzato dai reciproci contrasti in atto fra le repubbliche sorelle italiche.
Considerando inaccettabili le restrizioni imposte dalla dominazione napoleonica, a partire dal 1812 Palma si avvicinò progressivamente all’idea dell’indipendenza italiana: nel 1814 il patriota Carlo Preverino, suo concittadino e amico, si recò a Genova per incontrare il generale britannico William Bentinck, che prometteva libertà e indipendenza agli italiani. Ma svanite tali promesse, in seguito al ritorno dei regimi assolutisti, Palma si dimise dalla magistratura, rinunciando anche alle onorificenze che Vittorio Emanuele I gli voleva conferire.
In quegli stessi anni, si sposò con Giuseppa Carlino, dalla quale ebbe due figli: Emanuele (1815-1870) e Vincenza (1820-1898).
Nei primi anni della Restaurazione, si dedicò alla professione di avvocato, ma senza rinunciare alla militanza politica: contribuì a diffondere la carboneria in Piemonte, dove era diretta dagli Adelfi, poi entrati nell’ordine dei Sublimi maestri perfetti. Probabilmente aveva aderito all’Adelfia fin dal periodo napoleonico, quando Filippo Buonarroti e Luigi Angeloni, con il quale condivideva l'ammirazione per le forme di governo repubblicane e federali degli Stati Uniti d’America, impiantarono quella società segreta nell’alta Italia.
Spostatosi su posizioni monarchico-costituzionali, ma coniugate dall'aspirazione a una rappresentanza a larga base popolare, Palma fu uno dei principali artefici della cospirazione piemontese che portò alla rivoluzione del 1821, quando egli stesso, il fratello Maurizio e altri patrioti si posero alla testa dell’insurrezione avvenuta a Ivrea, meritandosi gli elogi di Santorre di Santarosa che esaltò quella città «per patriottismo ed energia in ogni tempo celebrata» (1850, p. 72). Ivrea precedette, infatti, Torino: fin dalla mattina del 13 marzo 1821 Palma e il marchese Turinetti di Priero, appena liberato dalla prigione, proclamarono la costituzione di Cadice in mezzo all'entusiamo popolare, presto svanito a causa dell'intervento militare austriaco che schiacciò rapidamente il moto liberale nella penisola con l'appoggio dei ceti reazionari fedeli alla Santa Alleanza. Maurizio Palma fu imprigionato mentre Alerino fuggì in Spagna, dove combattè con i costituzionali, meritando due decorazioni per il valore dimostrato a Cadice durante la battaglia del Trocadero fra agosto e settembre 1823.
Dopo la fine del triennio liberale spagnolo, si trasferì in Inghiterra, dove partecipò alle attività del London Greek Committee. Nel settembre 1824 partì per la Grecia e vi rimase fino al giugno 1825. Qui non solo consegnò al governo greco la terza rata di un prestito di circa 50.000 sterline raccolte dal London Greek Committee, ma diede anche un fondamentale contributo all'impianto delle nuove strutture istituzionali e scrisse il più preciso resoconto del coinvolgimento sentimentale e politico dell'Europa nella rivoluzione greca (Greece vindicated; in two letters by count A. P.; to which are added by the same author, critical remarks on the works recently published on the same subject by messrs. Bulwer, Emerson, Pecchio, Humphreys, Stanhope, Parry & Blaquiere, London 1826).
Palma riteneva che, essendo la Grecia in rivolta contro un oppressore, occorresse un forte potere centrale capace di condurre la guerra insurrezionale e distribuire in modo razionale i soldi del prestito. Se necessario, a suo avviso, si sarebbe dovuti arrivare alla nomina temporanea di un dittatore, che egli – come gli altri filoelleni italiani di tradizione napoleonica – individuava nella figura del principe Mavrokordatos, un patriota che era stato a lungo in esilio in Europa ed era favorevole a un governo accentrato di tipo occidentale. Anche se avevano opinioni differenti sul tipo di regime politico da introdurre in Grecia (repubblicano federalista per Giuseppe Pecchio, monarchico costituzionale per Palma), gli esuli italiani erano concordi nell'individuare nell'indipendenza e nella libertà politica le condizioni fondamentali affinché la penisola ellenica diventasse una nazione. Nel Catechismo politico alla gioventù greca (Hydra 1826), un commento alla costituzione del 1823, Palma giustificò il suo appoggio alla causa ellenica in nome dell'affermazione di valori universali, ma pur apprezzando il pluralismo religioso e culturale della società greca approvò la discriminazione introdotta dalla carta fondamentale nei confronti «delle usanze e dei costumi turco-asiatici» (ibid., p. 52), poiché scorgeva in essi un pericolo per la stabilità della nuova nazione. Il patriottismo costituzionale di Palma e la sua attenzione agli aspetti istituzionali differenziava, infatti, il suo filoellenismo – e più in generale quello degli esuli italiani – da quello dei membri del London Greek Committee, ritenuti troppo condiscendenti, se non erroneamente infatuati, nei confronti dei presunti caratteri originali – esotici, barbarici e orientali – della popolazione locale.
Dopo aver vissuto a Marsiglia e a Parigi, nel 1827 partì nuovamente per la Grecia, ma durante il viaggio si fermò ad Anversa, dove scrisse la Difesa dei Piemontesi inquisiti a causa degli avvenimenti del 1821, pubblicata nel 1829 prima a Bruxelles e poi a Lugano, dopo una prima edizione francese del 1828. Mentre si trovava ad Anversa, le autorità governative gli proibirono di viaggiare nei Paesi Bassi, probabilmente a causa della pubblicazione di quest’opera o perché si temeva che potesse frequentare i profughi politici, tra i quali vi era Gregorio Fontana-Rava, suo conterraneo, che ad Anversa gestiva una libreria in cui si riunivano Filippo Buonarroti e alcuni esuli francesi e tedeschi.
La Difesa destò molta attenzione per i fatti denunciati a proposito dei moti del 1821, non ultimi gli abusi e le ingiustizie commessi nei processi intentati contro i patrioti coinvolti, e di altre questioni concernenti la condotta tenuta dai governanti inglesi nei confronti dei movimenti indipendentisti sorti in Italia e in Grecia. A questo riguardo, Palma ricordò le promesse non mantenute di libertà e di indipendenza che lord Bentinck aveva rivolto agli italiani in nome del suo re e di altri sovrani europei. Inoltre, promise che appena fosse tornato in Grecia avrebbe rivelato gli intrighi che avevano fatto fallire l’impresa delle navi a vapore destinate al governo ellenico e alla flotta di lord Thomas Cochrane. In sede di valutazione critica sull'esito degli eventi piemontesi del 1821, Palma sostenne che la costituzione spagnola di Cadice era stata proclamata non solo perché l'avevano già adottata i patrioti napoletani, assumendo così un carattere nazionale, ma anche perché era stata bene accolta dal clero per le prerogative in essa stabilite in favore della Chiesa e della monarchia. Non fece, invece, cenno ai contrasti sorti fra i liberali conservatori e i carbonari quando si trattò di decidere quale tipo di costituzione si dovesse adottare per il futuro ordinamento politico. Nella cospirazione era sorto un dualismo a causa di quei contrasti, dal quale ebbe origine lo sdoppiamento di potere avvenuto nel corso della rivoluzione, quando furono costituite due giunte di governo, l’una a Torino per opera dei liberali conservatori, che preferivano costituzioni di tipo francese e inglese, e l’altra ad Alessandria per opera dei carbonari che imposero la più simbolicamente attrattiva, costituzione spagnola. Palma individuò, inoltre, come errore decisivo quello di non aver sollevato il popolo a sostegno della rivoluzione. Infine, rivelò che mentre si trovava a Ivrea aveva incontrato gli emissari dei sanfedisti che proponevano ai liberali di eleggere il papa re d’Italia, ma che aveva rifiutato quel progetto teocratico ritenendolo in contrasto con i tempi moderni e con i dettami di Cristo.
Il testo di Palma affrontava anche la questione della rifondazione del diritto internazionale in vista della costruzione di un nuovo ordine basato sulla convivenza pacifica globale fra i popoli, alla cui definizione avrebbe concorso in modo determinante la formazione in Europa di una grande confederazione monarchico-costituzionale a riscontro di quella repubblicana d'America.
L'importanza attribuita al diritto internazionale lo portò a scrivere anche un breve trattato introduttivo ai principi della neutralità nel diritto marittimo, che nelle sue intenzioni doveva rappresentare per i rivoluzionari greci un vademecum utile a mantere gli impegni commerciali anche nel contesto della crisi diplomatica e militare internazionale in atto (Collection of the principles of the original right of nations deriving from the European treaty regarding sea-bootiers and neutrality, Hydra 1826).
Nel 1828 Palma si recò a Parigi per perorare la causa dei costituzionali piemontesi presso le Camere francesi. In quella circostanza rivide Carlo Botta, Giovanni Battista Marochetti, Carlo Beolchi e altri esuli italiani.
Nel 1829 si stabilì definitivamente in Grecia, dove nel 1840 fu nominato presidente del tribunale di commercio di Sira, e successivamente giudice di corte d’appello, membro dell’Areopago e della commissione incaricata per dirimere le questioni di natura finanziaria sorte tra greci e ottomani. Gli fu offerta anche la carica di ministro della Giustizia che rifiutò, continuando però a collaborare alla stesura dei codici. Gli furono conferite diverse onorificenze dal governo ellenico e la croce dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro da parte della monarchia sabauda in quanto promotore di un vantaggioso trattato di commercio fra la Grecia e il Regno di Sardegna.
Poiché era stato condannato a morte in contumacia per i fatti del 1821, la figlia Vincenza aveva supplicato Carlo Alberto affinché gli fosse concessa la grazia, ma Palma non volle domandarla, osservando che non vi era motivo per chiedere il perdono perché non vi era stata una giusta causa nel condannarlo.
Morì il 6 febbraio 1851 nell’isola di Sira a causa di febbri maligne.
Opere: oltre ai testi citati, si segnalano: A summary account of the steam-boats for lord Cochrane's expedition, London 1826; The greek steam-boats and Mehemet Ali's Firman, being a following statement of the pamphlet A summary account of the steam-boats for lord Cochrane's expedition, ibid. 1827; Enologia o l'arte di fare, e conservare li vini, Atene 1842-43.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Alta Polizia, Materie politiche 1821; A. Brofferio, Storia del Piemonte dal 1814 ai giorni nostri, I, Torino 1849, pp. 119-125; S. di Santarosa, Storia della rivoluzione piemontese del 1821, Torino 1850, pp. XIV, 59, 72; A. P., in Panteon dei martiri della lbertà italiana, I, Torino 1851, pp. 489-515; A. Bertolotti, Passeggiate nel Canavese, I, Ivrea 1867, pp. 388-392, 460-462; La Monumentomania d'oggi e il patriottismo del passato. II Conte A. P. di C., New York 1900; A. Saitta, Filippo Buonarroti. Contributi alla storia della sua vita e del suo pensiero, I, Roma 1950, pp. 53-59; G. de Bertier de Sauvigny, Metternich et la France après le Congrès de Vienne, II, Paris 1970, pp. 475-503; E. Pinoli Maritano, Ivrea e il Canavese nella rivoluzione piemontese del 1821, Ivrea 1975, ad indicem; G. Marsengo - G. Parlato, Dizionario dei piemontesi compromessi nei moti del 1821, II, Torino 1986, pp. 140 s.; M. Sternini, La collezione di antichità di Alessandro Palma di Cesnola, Bari 1998, pp. 7 s.; R. Damilano, Il generale Ettore Perrone di San Martino. Sua vita, suoi tempi, Ivrea 2011, pp. 83-237; A. Bistarelli, Gli esuli del Risorgimento, Bologna 2011, pp. 96 s., 109, 154; M. Isabella, Risorgimento in esilio. L'internazionale liberale e l'età delle rivoluzioni, Roma-Bari 2011, pp. 14, 19 s., 26, 90, 102, 105 s., 108 s., 111, 122, 127, 134, 139 s., 141, 285 s., 304, 319.