PLINI, Palma
PLINI, Palma. – Nacque ad Amatrice (Rieti) il 22 aprile 1917 da Angelo, pastore, e da Santa Alegiani. La fanciullezza fu segnata dalla malattia e dalla morte precoce della madre (1925) e dalla lontananza del padre, trasferitosi a Roma per impiegarsi come lavapiatti. Preadolescente, Palma fu a Roma anch’essa, accolta dalla famiglia di una cugina della madre, Antonia D’Ascenzi, che aiutò quando aveva i figli ancora in tenera età. L’ultimo nato di essi (1931), Mario Tronti, cui Palma Plini si legò di speciale affezione, fu molto noto in seguito come teorico dell’‘operaismo’ marxista.
Le ristrettezze della prima infanzia, se privarono Palma della possibilità di proseguire gli studi oltre la terza elementare, impressero in lei un desiderio di riscatto che la indusse a coltivarsi da autodidatta, almeno sul terreno a lei non precluso della cultura religiosa. Ne trasse l’aspirazione a un impegno di fede radicale, destinato a trovare inquadramento nella spiritualità della Compagnia di San Paolo, la pia associazione (più tardi istituto secolare) a cui Pio XI aveva affidato la nuova parrocchia di S. Benedetto nel popolare quartiere Ostiense; lì Palma Plini apprese a declinare la sua vocazione nel senso di una condivisione senza sconti o privilegi delle condizioni di vita della gente comune. Entrata diciottenne nella Compagnia come aspirante, si trasferì nel 1938 a Milano per completarvi la propria formazione, pronunciando per la prima volta nel 1940 le promesse che avrebbe poi annualmente rinnovato per il resto della vita.
Durante la guerra fu impegnata come ‘economa’ in varie comunità della Compagnia, in particolare nella casa soggiorno di Sant’Ilario (Genova) dove, durante l’occupazione tedesca, collaborò all’ospitalità e all’espatrio clandestini di famiglie ebraiche, fungendo da staffetta con la diocesi di Milano che forniva i falsi documenti di identità. Visse a Milano i mesi della Liberazione, quando lavorò alle mense della Compagnia presso la Pirelli, primo suo contatto diretto con il mondo operaio; vi fece ritorno pochi anni dopo, ancora impegnata per lo più in ruoli di servizio alla comunità che la riconfermavano in una posizione di sofferta inferiorità e insieme lasciavano insoddisfatta la sua tensione a un’esperienza religiosa più intima e più esposta al ‘secolo’.
Grazie alla paolina francese Odile Vallin, a Milano dal 1944 per dirigere la prima Scuola pratica di assistenza sociale, Plini si orientò verso le Associazioni cristiane lavoratori italiani (ACLI), di cui all’inizio degli anni Cinquanta frequentò un corso di formazione su temi storici, economici, sociali e morali, concludendolo con un breve lavoro di tesi su Simone Weil. Assunse subito dopo per le ACLI milanesi la responsabilità di un intervento nel settore, allora del tutto trascurato, delle collaboratrici familiari, dimostrando nell’arco di un quindicennio notevoli capacità di aggregazione e animazione. Nella ricerca di un impegno di vita più coerente con la propria vocazione, ora incoraggiata anche dai dirigenti della Compagnia, scelse nel 1954 il lavoro di fabbrica; ottenne per conseguenza (1957) l’esenzione dalla vita comunitaria e il permesso di vivere da sola del suo salario.
Assunta alla Borletti, azienda elettromeccanica di punta nel panorama milanese, Plini fu dapprima assegnata alle lavorazioni chimiche (reparto dei bagni galvanici), fra le più nocive e degradanti dello stabilimento di viale Washington, cui era addetta una manodopera scarsamente qualificata e retribuita, composta in larga maggioranza da donne; alla fine del 1957 le furono attribuite mansioni (e, poco più tardi, anche inquadramento) di tipo impiegatizio. La solidarietà nei confronti dei colleghi operai, nel frattempo maturata anche come membro della sezione sindacale della Confederazione italiana sindacati lavoratori (CISL), non venne però meno, e Plini si trovò anzi in prima linea, unica tra i ‘colletti bianchi’ dell’azienda, nelle agitazioni che scossero la Borletti all’inizio degli anni Sessanta. Di queste esperienze, delle conseguenti pressioni e ritorsioni da parte della direzione aziendale, della libertà di giudizi e fermezza di propositi che a Plini derivavano ultimamente dalla propria consacrazione, informa il suo Diario di un’operaia di fabbrica uscito anonimo nel 1968 per le edizioni Dehoniane di Bologna (nella collana Il Regno attualità). Nel corso degli anni Sessanta la sua militanza venne radicalizzandosi in termini di ‘scelta di classe’ e impegno per l’unità sindacale; partecipò attivamente alle agitazioni che caratterizzarono l’‘autunno caldo’, condivise la ‘fine del collateralismo’ sancita dal congresso ACLI di Torino nel 1969 e appoggiò la ‘scelta socialista’ del successivo convegno di Vallombrosa (1970). Anche di ciò informa il suo diario, una seconda parte del quale, con il titolo Lotte di fabbrica e promozione operaia, fu pubblicato da Dehoniane nel 1974, quando l’autrice, che stavolta firmò il libro, si era ormai dimessa dall’azienda (1972).
Diversamente da questo secondo volume, in cui il flusso diaristico è disarticolato e la materia ridistribuita, forse dai curatori, in sezioni tematiche fin troppo orientate a una ‘narrazione ideologica’ esemplare, il precedente Diario di un’operaia conserva un carattere testimoniale in presa diretta che lo rende pressoché unico nella letteratura di fabbrica italiana. Anch’esso riadattato (gli otto anni della ‘storia’ sono ricapitolati nei soli cinque del ‘racconto’, e un’ellissi non dichiarata lo fa culminare e concludere con il presidio operaio contro la ‘serrata’ del 1962); l’indisponibilità dell’originale non consente di stabilirne con certezza la forma e natura primitive, né di valutare e attribuire gli eventuali interventi editoriali. Con questi limiti, l’opera permette tuttavia di seguire da vicino, e senza l’ipoteca di premesse altro che spirituali (Weil, forse Delbrêl e la Mission de France, probabilmente mediate ancora da Odile Vallin), l’«urto», come l’autrice lo chiama, con il regime di fabbrica, il processo di «sdoppiamento» che la donna in particolare vi conosce, l’immersione in una «infelicità operaia» intrisa di fatica e umiliazioni quotidiane; insieme, la contemplazione del «mistero della tecnica» e della intrinseca dignità del lavoro umano, il senso crescente di solidarietà e perfino ammirazione nei confronti delle compagne («anche se queste persone non parlano mai di Dio, in pratica pregano e fanno la sua volontà sul serio e non con le parole», p. 159), il progressivo rifiuto delle divisioni ideologiche tra lavoratori e la presa di coscienza del ruolo storico, oltre che del significato religioso, del movimento operaio. Sono caratteri che stabiliscono il Diario come uno dei documenti più significativi dell’operaismo cattolico in Italia, e insieme illustrano una delle traiettorie della spiritualità laicale nel Novecento, dall’iniziale programma di ‘riconquista’ cristiana della società moderna a una mystique d’assomption che da quella società si dispone a trarre esperienze, valori, conflitti, per farne materia di un itinerario di perfezione.
Dopo le dimissioni dalla fabbrica, Plini continuò a lavorare nel sindacato e nelle ACLI, di cui fu consigliera provinciale e regionale: alla guida del Coordinamento donne (1989-2004), si dedicò a un’opera di promozione del ruolo e del punto di vista femminile in seno al movimento, nella quale vedeva ricapitolato il senso della propria militanza umana e cristiana. Appunto da questa prospettiva, a partire dalla fine degli anni Ottanta, la sua figura cominciò ad acquisire autorevolezza al di là dei circuiti associativi in cui si era espressa; più tardi, e per conseguenza, suoi scritti e testimonianze attinsero la dignità di fonte storica per la ricostruzione della vicenda industriale e civile del Paese.
Trascorse gli ultimi mesi di vita nella casa soggiorno della Compagnia presso Villa Clerici a Niguarda. Fu trasferita a Villa Rovera Molina in Barasso (Varese) nell’estate 2007, dove morì il 22 agosto di quello stesso anno.
Fonti e Bibl.: Non si ha notizia di un lascito documentario di Palma Plini. Le informazioni su di lei derivano per lo più da autotestimonianze: oltre a quelle contenute nei due volumi del suo diario, sono rilevanti l’autonarrazione in S. Artom - A.R. Calabrò, Sorelle d’Italia. Quattordici Grandi Signore raccontano la loro (e la nostra) Storia, Milano 1989, pp. 249-270, e l’intervista biografica data a L. Olivari, P. P., Milano 2000 (alle pp. 30 s. una testimonianza di Mario Tronti). Tra le rievocazioni postume, G. Bianchi, P. P.: Simone Weil alla Borletti, in Il giornale dei lavoratori, LXII (2007), 4, p. 4. Un elenco di settantotto articoli di Plini per quest’ultima testata (1954-1991) è stato compilato e studiato da V. Ziliotto, P. P. e ‘Il Giornale dei Lavoratori’ (Acli provinciali milanesi, settembre 2007). Al Diario di un’operaia fanno insistito ricorso M. Boneschi, Santa pazienza. La storia delle donne italiane dal dopoguerra ad oggi, Milano 1998; G. Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Roma 2003; A. Sangiovanni, Tute blu. La parabola operaia nell’Italia repubblicana, Roma 2006. Un sito web, in parte ancora in allestimento, è stato dedicato a Plini per le cure di L. Olivari (www. palmaplini.it).