PALOMBARO (fr. plongeur, scaphandrier; sp. buzo; ted. Taucher; ingl. diver)
I Greci chiamarono il palombaro κολυμβητής, i Romani urinator. Dalla voce greca, che con etimologia popolare è stata connessa con "colomba" = "palomba", deriva il termine italiano palombaro. Non è attendibile l'ipotesi di A. Guglielmotti (Vocabolario marino e militare, Roma 1889), secondo la quale la parola palombaro, o paromaro, indicherebbe il marinaio che si tuffava per portare a terra la palomba, o paroma, fune di sostegno dell'antenna o d'ormeggio della nave. Il termine fu conservato anche quando, per lavorare sott'acqua, furono adottati speciali apparecchi respiratorî ed ebbe la preferenza rispetto agli altri vocaboli, pure italiani, di marangone e mergoglione, dal quale ultimo derivò il portoghese mergulhador.
1. Palombari nudi o naturali. - Nell'antichità l'esplorazione e i lavori sottomarini furono eseguiti da uomini completamente nudi, senza l'aiuto di alcun apparecchio atto a rendere possibile la respirazione sotto l'acqua, ove la durata di permanenza dipendeva dalla capacità respiratoria e dall'allenamento dei singoli individui.
Il più antico accenno a questa specie di palombari, detti "nudi" o "naturali", si trova nell'Iliade (XVI), là dove si parla della caduta di Cebrione, l'auriga di Ettore. Secondo Q. Curzio, durante l'assedio di Tiro (332 a. C.), i palombari furono impiegati dagli assedianti per rimuovere gli ostacoli subacquei, messi al piede delle mura per impedire l'avvicinarsi delle navi portanti le macchine da getto, e dagli assediati per tagliare le funi delle ancore delle navi predette. Secondo Tucidide, nell'assedio di Siracusa (212 a. C.) i palombari furono impiegati a segare le ostruzioni, costituite da travi messe a difesa del porto.
La marina militare romana ebbe un corpo di palombari, i quali erano distribuiti sulle navi. Questo corpo, costituito con elementi in gran parte provenienti dall'Asia Minore, ebbe il suo maggiore sviluppo sotto l'imperatore Claudio (41-54 d. C.); anche nel Medioevo, specialmente in Francia sotto Filippo Augusto (1180-1223), si ebbero corpi del genere bene ordinati.
I palombari nudi o naturali, che cedettero a poco a poco il posto a quelli forniti di apparecchi respiratorî, si trovano ancora fra i pescatori di spugne e di perle del Mediterraneo e dell'Asia: qualcuno è giunto a lavorare fino a profondità di 80 m. Nella discesa usano una fune di guida collegata a un peso sul fondo: sogliono alcuni spalmarsi il corpo d'olio o di grasso, chiudersi gli orecchi con batuffoli di cotone ingrassato e tenere tra i denti una spugna imbevuta d'olio.
2. Campana pneumatica. - La più antica notizia d'un apparecchio inteso a facilitare i lavori subacquei è data da Aristotele (De part. Anim., 2, 16); egli dice che è possibile far permanere gli uomini sott'acqua facendoli andare sotto una campana immersa con la bocca in giù e che "se scende verticalmente, non si riempie di acqua e conserva l'aria, mentre l'acqua vi entra se la si inclina" (Problem., 32, 5).
Un simile apparecchio, detto campana pneumatica, che alcuni hanno attribuito a Ruggero Bacone, derivava, evidentemente, dal fenomeno osservato quando in un recipiente pieno d'acqua s'immerge un bicchiere, o altro vaso, capovolto: in questo l'acqua accede a un'altezza sempre maggiore col crescere della profondità d'immersione, comprimendo, nella parte più alta del vaso, l'aria. L'aumento di pressione da questa subito risulta, nel caso della campana, di un'atmosfera per circa ogni 10 m. d'immersione. Nei lavori sottomarini la detta campana, oltre l'inconveniente di doverla riportare a galla per ricambiare l'aria in essa contenuta e viziata dalla respirazione degli uomini, presentava quello che lo spazio a questi concesso diminuiva col crescere della profondità. Fu perciò naturale il pensare che, se fosse stato possibile immettere, nella campana sommersa, aria alla pressione corrispondente alla profondità d'immersione, i due inconvenienti sopra descritti sarebbero stati eliminati.
Il più antico ricordo dell'applicazione di pompe per aerare una campana si trova in un esperimento fatto nel 1530 a Toledo, alla presenza di Carlo V, da due Greci. Altre campane, più perfezionate, aerate da pompe, furono in appresso proposte da Francesco Bacone (che ne fa cenno nel Novum Organum, lib. II), da E. Halley (1656-1742) e infine da J. Smeaton, che nel 1778 le adoperò per la costruzione di fondamenta subacquee, dando così principio all'applicazione delle fondazioni pneumatiche o a cassoni, tanto adoperate nelle costruzioni sottomarine (v. fondazioni).
Niccolò Tartaglia nella sua Regola generale da sulevare... ogni affondata nave, ecc. (1551) accenna all'uso delle campane pneumatiche, le quali furono anche adoperate da F. De Marchi nel 1535. A. Fusconi nel 1827 le adoperò per l'esplorazione delle navi romane affondate nel Lago di Nemi (v. nemi, lago di).
3. Scafandri. - La campana pneumatica consentiva ai palombari di lavorare solo nel punto in cui essa si posava e pertanto era naturale che si cercasse di avere il palombaro libero di muoversi comunque, dotandolo di organi per la conservazione e produzione dell'aria, o collegandolo, per mezzo di condutture tubulari flessibili, a organi analoghi posti alla superficie. Nacquero così quegli apparecchi, che furono detti scafandri.
Di tentativi per risolvere il problema secondo i criterî accennati fa già menzione Plinio il Vecchio. Studî posteriori, ma che non condussero a soluzione pratica, furono eseguiti da molti indagatori sino ai primi anni del secolo XIX. La soluzione veramente soddisfacente e rispondente alle esigenze dei lavori sottomarini si ebbe però solo nel 1830, per opera dell'inglese A. Siebe, che fondò poi la ditta Siebe, Gorman & Co.: da quell'epoca gli scafandri ebbero uno sviluppo continuo e razionale.
a) Scafandri per medie e piccole profondità azionati da pompe. - In questa classe si comprendono gli scafandri, collegati a pompe, i quali, nella forma attuale, consentono al palombaro di lavorare fino a profondità che si aggirano sui 50 m. e che, come si vedrà, raggiunsero eccezionalmente gli 85 m. Essi derivano dai primi studî del Siebe nel 1819, quando concretò il cosiddetto abito aperto.
Questo consisteva in un elmo metallico al cui orlo inferiore era fissata una giacchetta di tela impermeabile, aperta in basso e che arrivava fino alla cintola. L'elmo, per mezzo d'un tubo, era in comunicazione con una pompa posta fuori acqua e dalla quale il palombaro riceveva l'aria che usciva poi passando tra il corpo e la giacchetta. L'apparecchio funzionava, dunque, come una campana pneumatica e il palombaro doveva, di necessità, mantenersi verticale, altrimenti poteva correre il rischio di annegare.
Nel 1830 lo stesso Siebe, conservando l'elmo e la pompa, ideò l'abito chiuso, sostituendo alla giacchetta un abito impermeabile che copriva tutto il corpo. I principî fondamentali di quest'apparecchio si ritrovano in tutti quelli ora usati, giacché le differenze fra i tipi delle varie fabbriche si riferiscono a particolari d'importanza secondaria. Qui si descriverà perciò lo scafandro Siebe e Gorman, del modello più comunemente usato.
Il palombaro indossa, anzitutto, abiti di lana, detti interni, e su questi (fig. 1) il vestito impermeabile (A) in tessuto speciale, che ricopre tutto il corpo, fatta eccezione del capo e delle mani, le quali escono fuori, nude, dai polsini delle maniche, tenuti stretti da braccialetti di gomma. La parte superiore del vestito è fissata, mediante perni a galletto, al colletto di rame (B), su cui, per mezzo di attacco a vite a sesto di giro, s'innesta l'elmo (C).
L'elmo, di rame, è dotato, per la visione, di tre finestre, due delle quali (D) chiuse da vetri fissi e la terza (E) da sportello apribile. Posteriormente all'elmo si trova il collo d'oca (F), cui è connesso il tubo (G), detto manichetta, di gomma e tela gommata, collegato con la pompa d'aria: nel collo d'oca è situata una valvola atmosferica, aprentesi da fuori in dentro, che, mentre permette l'accesso dell'aria, ne impedisce l'uscita nel caso di rottura della manichetta. Sulla destra dell'elmo si trova poi la valvola (H) per la sfuggita dell'aria viziata, sfuggita che il palombaro può graduare avvitando più o meno il coperchio della valvola stessa. Il rubinetto di sfogo (I) può servire, al bisogno, per aumentare tale sfuggita.
Nell'interno dell'elmo sono sistemati in alto e, più in basso, in corrispondenza della bocca, rispettivamente, un ricevitore e un trasmettitore telefonici, collegati a un innesto (K) situato a destra posteriormente all'elmo. A tale innesto è fissata la braca telefonica (L), corda di canape a treccia, che contiene tre conduttori elettrici e che, passata intorno alla vita del palombaro, costituisce anche un mezzo resistente per collegare questo agli individui addetti all'apparecchio, i quali si trovano alla superficie e che possono comunicare per mezzo della stessa braca telefonica col palombaro. Quando non si voglia fare uso degli apparecchi telefonici, s'impiega, in luogo di quella descritta, la braca ordinaria, corda d'erba, senza conduttori elettrici interni, fissata direttamente alla cintola del palombaro. Nel caso ora accennato le comunicazioni tra il personale alla superficie e il palombaro immerso sono fatte con segnali convenzionali costituiti da colpi brevi o lunghi dati con la braca: tale forma di comunicazione può naturalmente essere impiegata anche con la braca telefonica. Due palombari immersi possono comunicare tra loro portando gli elmi a contatto e parlando a voce molto alta.
Affinché il vestito impermeabile sia protetto nel caso di sfregamento contro scogli o spigoli vivi, il palombaro indossa su esso una camicia e calzoni di tela. Egli porta inoltre i contrappesi di piombo (M), le scarpe di cuoio (N), pur esse con suola di piombo, e un coltello con cinturino. Dovendo lavorare in località di forti correnti porta altri piombi disposti alla cintura.
Le pompe per fornire l'aria ai palombari sono, in genere, a due o a tre cilindri: la fig. 2 indica quella a due cilindri del tipo Siebe e Gorman. La pompa è racchiusa in una cassa di legno ed è azionata da uomini che, per mezzo di manubrî (a), imprimono un movimento rotatorio all'asse delle teste di cavallo (b) e, quindi, alternativo alle aste (c) degli stantuffi dei cilindri (d). L'aria, aspirata e poi compressa, è mandata nei due serbatoi (e), a ciascuno dei quali si può connettere una manichetta, così da fornire contemporaneamente aria a due palombari. La manovra, poi, di apposita valvola consente di mandare a un solo palombaro l'aria compressa da un sol corpo di pompa, o, nel caso di lavori in fondali rilevanti, di due corpi di pompa. Per i lavori nei quali si debbano impiegare contemporaneamente varî palombari, si fa uso di pompe più grandi, azionate da motori elettrici, o d'altro tipo.
La pompa e gli uomini addetti si trovano su un galleggiante o sulla riva, quando il lavoro si svolga in prossimità di questa. Un uomo è particolarmente incaricato di sorvegliare il palombaro e il funzionamento della pompa, di comunicare con l'uomo immerso, sia a mezzo del telefono, sia a mezzo della braca, che tiene sempre fra le mani: esso è designato col nome di "guida". Il palombaro, per scendere in acqua, si avvale, per breve tratto, di scaletta di legno o di corda, alla quale è attaccata una fune di guida che va fino al fondo.
Il comandante Angelo Belloni della riserva navale italiana ha progettato e, con successo, esperimentato uno scafandro più semplice e meno costoso, adatto per navi mercantili: esso è da usarsi per piccole profondità, come è il caso di lavori intorno alla carena della nave, però, eccezionalmente, consente di scendere anche fino a 20 m.
Il palombaro, nel caso di bassa temperatura dell'acqua, indossa un vestito impermeabile che arriva fino al collo e del quale può fare a meno in caso di temperatura normale. Ha la testa coperta da un elmo in tessuto gommato con vetri infrangibili e l'elmo, munito di largo colletto, è fissato al corpo da cinghie e mediante una manichetta è collegato a una pompa Hardy da automobili. Lo scafandro è completato dai soliti pesi sul petto e alle scarpe, dalla braca ed eventualmente dal collegamento telefonico. Quando il palombaro è immerso, lo scarico dell'aria si effettua tra il colletto dell'elmo e il corpo e cioè in una zona prossima alla bocca: a ciò si deve se lo scafandro non presenta i pericoli dell'abito aperto del Siebe, al quale è molto simile e che aveva lo scarico all'altezza della cintola.
È interessante esaminare, nei riguardi fisiologici, il modo di funzionare d'un apparecchio Siebe e Gorman, o simile. Durante la discesa del palombaro sott'acqua, la pressione esterna su esso aumenta gradatamente e, per mantenere rigonfio il vestito, è necessario avere sempre, nell'interno di questo, una pressione d'aria uguale alla pressione esercitata dall'acqua. L'aria, viziandosi per effetto dell'anidride carbonica proveniente dalla respirazione, deve di continuo uscire dalla valvola (figura 1, H) ed essere rinnovata dalla pompa. La valvola ora detta, che, come s'indicò, dev'essere regolata dal palombaro stesso secondo il bisogno, consente lo scarico automatico dell'aria, non appena la pressione interna superi l'esterna.
Da ciò si deduce che il corpo del palombaro risulta sottoposto a una pressione corrispondente alla profondità d'immersione, e poiché al palombaro, per la regolarità della respirazione, occorre sempre lo stesso volume d'aria del quale ha bisogno alla superficie - volume che accurati studî dimostrarono dover essere di circa litri 42,5 al minuto primo - è evidente che il lavoro della pompa deve crescere con l'aumentare della profondità e quindi della pressione assoluta, in modo che detta pompa, per un valore p di quest'ultima, dia al minuto primo un volume d'aria di circa litri 42,5 × p. Data la potenzialità delle pompe di tipo usuale e data, soprattutto, la resistenza dell'uomo a vivere in ambienti sotto pressione, ne deriva che la massima profondità alla quale erano usati gli scafandri del tipo descritto, con individui di ottima costituzione e bene allenati, si aggirava sui 50 m.
È ora da osservare che, durante la respirazione, l'azoto contenuto nell'aria si accumula nel sangue: ciò non dà luogo a inconvenienti sinché il palombaro rimanga fermo a una data profondità, oppure, anche, se risalga rapidamente alla superficie da piccoli fondali, inferiori a 10 m.; ma se l'ascensione rapida avviene da profondità maggiori, in modo da avere una diminuzione di pressione più o meno repentina, le bolle dell'azoto si liberano dal sangue producendo disturbi gravissimi e anche la morte (v. cassone: Malattia dei cassoni).
L'ammiragliato inglese, nel 1906, fece eseguire lunghi e accurati studî ed esperimenti allo scopo di stabilire norme precise e razionali atte a salvaguardare l'incolumità dei palombari nei diversi lavori. La commissione di ciò incaricata, composta di scienziati e specialisti e presieduta dal prof. J. S. Haldane dell'università di Oxford, addivenne alle seguenti conclusioni generali:
α) Il palombaro, per evitare che il sangue si saturi d'azoto, deve scendere al fondo il più presto possibile, compatibilmente con i disturbi che la discesa rapida può dare al suo orecchio e con la quantità d'aria che gli viene fornita.
β) Per profondità da 10 m. e oltre, la durata della permanenza sott'acqua dev'essere regolata da opportune norme, così da rendere minima la possibilità di un'eccessiva saturazione d'azoto dei tessuti del corpo.
γ) Per le sopraddette profondità norme analoghe debbono regolare la salita a galla del palombaro, prescrivendo tempi determinati per il moto ascensionale e opportune fermate.
Tutte le norme citate furono, dalla commissione, raggruppate in tabelle, dette tabelle di Haldane, le quali considerano profondità d'immersione da 0 a 84 m., le immersioni di durata normale e quelle eccezionalmente lunghe.
Con la precisa osservanza di queste norme fu possibile a palombari, che lavoravano al salvataggio del sommergibile F. 4 degli Stati Uniti, naufragato nelle acque di Honolulu, di raggiungere la profondità di ben 84 m.
È da notare che per curare i gravissimi disturbi, i quali si manifestano in un palombaro salito troppo presto a galla da notevole profondità, è necessario, anzitutto, sottoporlo senza ritardo alla pressione a questa corrispondente. Allo scopo di ottenere ciò, senza bisogno di far di nuovo immergere il palombaro, è stata ideata e costruita una camera, detta di decompressione, formata da un cilindro in lamiera d'acciaio, munito di portelle a vetri, d'illuminazione elettrica, di telefono e di un letto, sul quale si può adagiare il paziente, dopo averlo introdotto nella detta camera attraverso una porta a chiusura ermetica. S'immette poi aria nel cilindro a determinate pressioni e in molti casi, con questo mezzo e con attente cure, si perviene a salvare il palombaro (v. anche respiratorio, apparato; respirazione).
b) Scafandri indipendenti per piccole e medie profondità. - In questa specie di scafandri, detti indipendenti, non si fa uso della pompa e il palombaro porta con sé i mezzi di rigenerazione o di rifornimento dell'aria: ha così libertà molto maggiore per spostarsi da un punto all'altro ed è notevolmente minore il numero degli uomini occorrenti alla superficie per il suo servizio.
Le figure 3, 4 e 5 mostrano uno scafandro di questo genere, del tipo Fleuss-Davis, costruito dalla casa Siebe e Gorman, e valgono a dare un'idea di questa specie di apparecchi, dei quali si hanno anche varî altri modelli.
L'apparecchio comprende: un vestito esterno (A) impermeabile e un elmo (B) con colletto, il tutto simile agli accessorî degli apparecchi con pompa; due bombole (C), contenenti ciascuna una miscela d'aria e d'ossigeno in parti uguali compressa a 120 atmosfere; un serbatoio depuratore (D), metallico, foderato internamente di caucciù e contenente una sostanza (soda caustica o simili) atta ad assorbire l'anidride carbonica; un peso (E) di piombo avente nell'interno altre due bombole più piccole contenenti anch'esse la citata miscela d'aria e d'ossigeno: esse, per mezzo della valvola (K) e del tubo (L), sono collegate alla valvola (M) d'immissione d'aria nell'elmo.
Le due bombole (C), collegate dal tubo (1) e dalle valvole (2), (3) e (4), comunicano a mezzo del tubo (5) con l'elmo, nella parte posteriore.
Il palombaro ha le narici chiuse a mezzo dello stringinaso (H), così che la sua respirazione deve avere luogo per la sola bocca. Questa è tenuta appoggiata sull'imboccatura (10), comunicante, da un lato, con la valvola di espirazione (11), che permette all'aria espirata di passare nel depuratore (D), e, dall'altro lato, con la valvola di aspirazione (12), comunicante con l'elmo e che permette al palombaro di aspirare la miscela aeriforme proveniente dalle bombole (C), alla quale si unisce anche l'aria via via espirata e depurata: l'efflusso dell'aria è regolato dal palombaro mediante le valvole (2) e (4): le bombole contenute nel peso (E) sono di riserva, nel caso di esaurimento o di funzionamento difettoso di quelle (C).
L'elmo dell'apparecchio descritto è provvisto di telefono e la braca telefonica, passata intorno alla vita del palombaro, assicura il collegamento tra questo e gli uomini che sono alla superficie.
Negli scafandri di questa specie i mezzi di rigenerazione dell'aria possono funzionare, senza bisogno di rifornimento, per periodi di tempo da tre quarti d'ora a due ore, secondo la profondità alla quale deve lavorare il palombaro, profondità che può giungere fino a circa 45 metri.
Apparati analoghi al descritto sono quelli dei tipi Drager e dei tipi costruiti dalla Hanseatische Apparatebau Gesellschaft.
Per lavori a piccole profondità o per essere adoperati, con altri mezzi speciali di salvataggio, nella fuoruscita degli uomini da sommergibili colati a picco, esistono scafandri costituiti - come nel tipo studiato da A. Belloni - da elmi molto semplici in tessuto impermeabile, nei quali è fatta affluire l'aria contenuta in bombole portate alla cintura. Altri apparecchi della stessa specie, come quello Davis, hanno gli organi per il rifornimento e la rigenerazione dell'aria (organi simili a quelli dello scafandro Fleuss-Davis prima descritto) riuniti in una specie di zaino appeso con cinghie davanti al petto: dallo zaino si diparte un tubo con imboccatura fissa, a mezzo di altra cinghia, alla bocca dell'uomo, che ha le narici chiuse dal solito stringinaso. Questi apparecchi non hanno elmo ma degli occhiali impermeabili tenuti a posto da elastici.
Gli scafandri cui si è ora accennato, con elmi di tessuto o senza, possono essere usati per accedere in locali invasi da fumi intensi o da gas tossici (v. maschera: Maschere antigas).
c) Scafandri per grandi profondità. - Gli scafandri per medie e piccole profondità azionati da pompe, descritti precedentemente non consentivano di lavorare a profondità maggiore di 50 m. in un primo tempo e di 84 m. con le norme di Haldane; era quindi naturale che si cercasse di studiare degli scafandri, nei quali l'uomo fosse sottoposto a una pressione d'aria di poco diversa da quella atmosferica, giacché solo così sarebbe stato possibile raggiungere profondità superiori a quelle più sopra indicate.
Studî del genere si ritrovano in scafandri costruiti verso la fine del secolo XVIII, che peraltro rappresentano anche dei tentativi di navigazione sottomarina con scafi molto piccoli. Un vero scafandro progettato per lavori sottomarini, e che può essere considerato come un progenitore degli attuali apparecchi per grandi profondità, è la "talpa marina", ideata dall'italiano G. B. Toselli, esperimentata con successo nelle acque del Golfo di Napoli, nell'agosto 1871, fino alla profondità di 70 m., molto superiore a quella che potevano raggiungere gli altri scafandri contemporanei.
La "talpa" consisteva in una cassa metallica cilindrica dello spessore di 15 mm., dell'altezza di 3 m. e della larghezza di 1 m., che si calava in mare sospesa a una fune o catena. La cassa era suddivisa in quattro scompartimenti, rispettivamente destinati a contenere l'aria compressa, la zavorra fissa, la zavorra variabile costituita da acqua o aria e infine l'uomo, che dall'interno, per l'esecuzione dei lavori, poteva manovrare, attraverso due maniche di gomma, un paio di tenaglie, o forbici, esterne. La visione era resa possibile da portelli a vetri applicati alla parete della "talpa": questa poteva essere fatta salire e scendere dall'uomo, immettendo aria o acqua nello scompartimento della zavorra variabile. La permanenza sott'acqua era limitata, non essendovi mezzi per rigenerare l'aria.
In appresso, agli apparecchi del genere, costituiti sempre da un involucro rigido di lamierino d'acciaio, munito superiormente di portello per l'entrata dell'uomo, si volle dare la forma del corpo umano facendo articolare le parti corrispondenti alle braccia e alle gambe, in guisa da permettere al palombaro di lavorare e anche di spostarsi sul fondo. Per la respirazione fu, in un primo tempo, mantenuta la pompa collegata allo scafandro a mezzo della solita manichetta, mentre un'altra consimile, partente dall'involucro e terminante fuori acqua, doveva permettere l'uscita dell'aria espirata e in tal modo il palombaro si trovava in un ambiente pressoché alla pressione atmosferica.
In seguito, per varie ragioni, tra le quali quella della difficoltà di maneggio di lunghissimi tubi, si ritenne conveniente sopprimere la pompa e ricorrere alla rigenerazione dell'aria con mezzi analoghi a quelli indicati al paragrafo b) per gli scafandri indipendenti.
Una tale disposizione di cose si ritrova nello scafandro ideato dal Gall nel 1914 e che poi fu costruito dalla casa Neufeld e Kuhnke: ad esso si riferiscono le figure 6, 7 e 8.
La fig. 6 rappresenta il palombaro quale si trova nell'interno dello scafandro, cioè munito della maschera di respirazione collegata a un depuratore o capsula, a idrato di soda o potassio, per l'assorbimento dell'anidride carbonica espirata.
La fig. 7 mostra l'esterno dello scafandro e la figura 8 una sezione di esso. A maggiore schiarimento è opportuno aggiungere che l'apparecchio ha, esternamente, una cassa (fig. 8, a) di lamierino sottile, la quale è ripiena d'acqua nel periodo di discesa e di permanenza sul fondo: in tale cassa il palombaro, manovrando una valvola apposita che si trova nell'interno, può immettere aria da una bombola situata sul davanti, quando voglia risalire a galla. Accanto a questa bombola ve ne sono altre tre (b) cariche d'ossigeno, o aria compressa, del quale il palombaro regola l'efflusso nell'interno dello scafandro così da mantenere l'ambiente respirabile.
Per i lavori il palombaro si avvale delle tenaglie, o pinze (c), che può azionare dall'interno. Lo scafandro è collegato agli uomini, che si trovano alla superficie, per mezzo d'un cavo d'acciaio fisso alla parte superiore dello scafandro e da una conduttura telefonica. Con l'apparecchio in questione, del quale esistono varî modelli, si può lavorare fino a profondità di 250 m. e più.
Apparecchi del genere si costruiscono ora anche in Italia.
Per l'esplorazione subacquea a scopo di studio e principalmente per quella che deve servire di preparazione ai lavori subacquei, sono stati costruiti apparecchi senza articolazioni e perciò consistenti in casse cilindriche o sferiche, munite di finestre a vetri, nelle quali si trova l'uomo con i soliti mezzi per la respirazione. Tali casse, dette anche torrette di osservazione, sono collegate con gli uomini alla superficie per mezzo di telefono e di cavo d'acciaio fissato alla cassa e che serve per spostarla da un punto all'altro del fondo. Con queste casse si è giunti a fare osservazioni fino a circa 900 m. di profondità.
Servendosi degli apparecchi che si sono descritti, degli accessori dei quali si parla qui appresso e di piroscafi bene attrezzati per lo scopo, la Società italiana per ricuperi marittimi (S O. RI. MA.), impiegando esclusivamente valoroso e abile personale italiano, è pervenuta a eseguire ricuperi di preziosi carichi di navi affondate durante la guerra mondiale, in paraggi oceanici generalmente battuti dal cattim tempo e in profondità mai finora raggiunte. Particolare impressione ha destato in tutto il mondo il laborioso ricupero di gran parte delle ricchezze racchiuse nella nave inglese affondata Egypt, che si credevano irrimediabilmente perdute e che i palombari italiani dell'Artiglio riuscirono invece, dopo anni di sforzi, a riportare alla luce.
4. Organi e macchinarî accessorî per il servizio degli scafandri. - In origine la comunicazione tra il palombaro e gli uomini alla superficie era fatta, negli scafandri a pompa, a mezzo d'un tubo portavoce (manichetta acustica) collegato all'elmo. L'efficienza di tale sistema era molto scarsa ed esso fu, come si è visto, sostituito dal telefono: la prima applicazione di questo al detto scopo è dovuta all'italiano S. M. Ranieri (1878).
Per l'illuminazione subacquea furono dapprima adoperate lampade a olio alle quali un'apposita pompa forniva l'aria necessaria alla combustione. Poi furono usate lampade ad arco e infine quelle a incandescenza, chiuse in fanali di svariatissimo tipo. Queste lampade sono alimentate da accumulatori elettrici chiusi in una cassetta portata dal palombaro, oppure, per mezzo di conduttori, sono collegate a elettrogeneratori posti alla superficie.
Per i lavori subacquei sono stati costruiti utensili speciali azionati da aria compressa fornita da compressori posti alla superficie e anche apparecchi a fiamma ossidrica per il taglio delle lamiere.
Per le mine subacquee da praticare in scogli o murature, oppure da usare per la distruzione o apertura parziale di scafi affondati, servono speciali cariche e inneschi, resi impermeabili, ad accensione elettrica che è fatta dalla superficie.
Per sollevare dal fondo gli oggetti via via rintracciati, sono stati adottati, sulle navi della SO. RI. MA., degli apparecchi a tenaglia (benne) molto ingegnosi, fissati all'estremità del cavo di acciaio di una gru o piccola mancina.