PALTRONIERI, Pietro Giacomo, detto il Mirandolese o il Mirandolese dalle prospettive
PALTRONIERI (Poltronieri), Pietro Giacomo, detto il Mirandolese o il Mirandolese dalle prospettive. – Nacque a Mirandola (Modena) il 23 luglio 1673 da Andrea Poltronieri – questo il vero cognome, riportato nell’atto di battesimo (Bandera, 1990) e mutato in Paltronieri dalle fonti – di origine bolognese (Tiraboschi, 1786, p. 506).
Nella cittadina natia ebbe luogo la sua prima formazione artistica, presso il figurista ligure Giovanni Francesco Cassana, un allievo di Bernardo Strozzi che fu artista alla corte del duca Alessandro (II) Pico.
A informarci è la seconda edizione dell’Abcedario pittorico di padre Orlandi (1719), la fonte più antica per la ricostruzione della biografia dell’artista; compito arduo per mancanza di documenti, frammentarietà delle notizie ed esiguità dei riferimenti cronologici.
Paltronieri fu presto attratto dal grande esempio di Francesco e Ferdinando Bibiena, artisti che avevano rivoluzionato la tecnica delle architetture dipinte con l’introduzione della veduta per angolo, permettendo di raggiungere virtuosismi prospettici che facevano immaginare spazi infiniti, quali si potevano ammirare a Mirandola negli affreschi della chiesa del Gesù (oggi perduti). Orlandi riferisce infatti che all’epoca del suo precoce trasferimento a Bologna, il giovane artista, «inclinato più tosto alla quadratura, che alle figure», era quindi entrato alla scuola di Marc’Antonio Chiarini. Sotto la direzione di Chiarini, affermato scenografo e pittore di architetture illusionistiche, maturò la sua formazione nella quadratura, genere che a Bologna si era affermato al punto da rappresentarne uno dei maggiori orientamenti artistici. Paltronieri vi «stabilì la sua stanza» tanto da essere considerato a pieno titolo pittore bolognese, avviandosi poi verso i temi della pittura rovinistica sull’esempio di Giovanni Gioseffo Santi.
«Partì poi per Vienna», riporta Orlandi senza precisare l’epoca né i motivi del viaggio compiuto presso la corte imperiale; un viaggio intrapreso, riferisce Crespi (1769, p. 273), «dopo essersi ben impossessato dell’arte» . Secondo l’ipotesi più accreditata, Paltronieri fu a Vienna nel 1697 al seguito di Chiarini, il quale era stato chiamato dal principe Eugenio di Savoia per realizzare, con Andrea Lanzani, gli affreschi della sala della Udienze, la cosiddetta sala Rossa, nel palazzo d’Inverno del principe (oggi ministero delle Finanze; Bandera, 1990, p. 20). Secondo altri, vi andò invece, sempre al seguito di Chiarini, fra il 1703 e il 1705 (Noè, 1974, p. 222) o intorno al 1716, anno dell’inizio della decorazione del Belvedere inferiore (Heinz, 1963, attribuiva a Paltronieri una serie di otto tempere realizzate per il palazzo, ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna, che la critica più recente assegna invece a Chiarini).
Il primo ciclo di opere dell’artista per il quale si ha un riferimento cronologico preciso è costituito da dieci tempere su tela a soggetto mitologico dipinte per casa Savi-Marulli a Bologna, ancora in situ, una delle quali – la Veduta di rovine con Giove e Venere siglata «P. P.» – è datata 1712.
In questi paesaggi che sembrano sfondare illusionisticamente le pareti, la tradizione scenografica bibienesca appare aggiornata sugli sviluppi che la veduta architettonica e rovinistica aveva avuto a Roma e a Napoli al seguito di Viviano Codazzi (Lanzi ricordava Paltronieri come «il Viviano di questa età ultima» [1795, p. 204]) e di Giovanni Ghisolfi. Le piccole figure che animano le scene possono attribuirsi al figurista Antonio Lunghi, la cui collaborazione con Paltronieri è attestata per alcune tempere dipinte, in epoca precedente, in palazzo Caprara a Bolognamaandate perdute durante l’ultimo evento bellico; raffiguranti i Fatti di Eneai dipinti apparivano ancora impostati secondo indicazioni di gusto bibienesco (Bandera, 1990, p. 73). Orlandi (1719) riporta a questo proposito che le opere di Paltronieri erano animate «da buoni Figuristi, e particolarmente in oggi da Ercole Graziani Pittore Bolognese», allievo di Donato Creti.
Una tappa di fondamentale importanza per la formazione del pittore fu il soggiorno, in data imprecisata, a Roma «ove stette assai tempo» (Lanzi, 1795, p. 204) e dove «vidde, notò e dissegnò, quanto evvi di antico, e di moderno in quegli almi contorni; che però si fece una maniera propria, facile, diligente e teneva con dipingere a tempera tele, e a fresco su i muri, vaghe prospettive, coll’introdurci colonnati, architetture, archi, e marmi venati dei loro colori naturali, il tutto disposto in bellissimi siti, con vedute, e lontananze, che sommamente dilettano» (ibid.). L’esperienza diretta dell’Urbe e delle sue antiche rovine si riflette nella serie di dodici tempere su tela con Vedute di rovine in palazzo Caprara a Bologna, databile all’inizio del terzo decennio del XVIII secolo. Fu negli anni trascorsi a Roma, che Paltronieri mise a punto quella commistione di grandiosi monumenti classici in rovina ed elementi gotici che caratterizza le sue opere insieme a un gusto per gli accostamenti bizzarri e le stratificazioni che ha fatto ipotizzare il contatto diretto con Giovanni Paolo Panini e Filippo Juvarra (Bandera, 1990, pp. 32-37); a Panini era infatti attribuita la Prospettiva con rovine rinascimentali e gotiche conservata nel Musée Fesch ad Ajaccio poi restituita a Paltronieri, considerato, fra i pittori di rovine del suo tempo, «il maggior divulgatore delle tematiche medievali» (Matteucci, 1979). La serie di palazzo Caprara segna l’inizio della collaborazione con Vittorio Maria Bigari come figurista, collaborazione che andò intensificandosi negli anni successivi fino a raggiungere una tale omogeneità che ha reso talora arduo stabilire la paternità di alcune tempere.
La fase più matura dell’artista è rappresentata dalle sette tempere commissionate dal cardinale Pompeo Aldovrandi e conservate in palazzo d’Accursio a Bologna; eseguite in collaborazione con Bigari tra il 1724 e il 1733 (queste le date iscritte rispettivamente nella Veduta di rovine con statua di guerriero e nella Veduta di rovine con chiesa gotica), appaiono caratterizzateda un cromatismo alleggerito in direzione rococò che risente della luminosità veneta di Marco Ricci e Giovan Battista Pittoni. Al 1724 si datano anche le due tempere della bolognese Galleria Davia Bargellini, Veduta di rovine con statua e Veduta di rovine con officina metallurgica, sempre in collaborazione con Bigari.
Paltronieri ebbe modo di conoscere direttamente i pittori veneti suoi contemporanei quando, nel terzo decennio del Settecento, fu chiamato a collaborare alla celebre impresa delle cosiddette ‘tombe allegoriche’, una serie di dipinti raffiguranti celebri personaggi della storia inglese promossa dal noto impresario teatrale Owen Mc Swiny per conto di Charles Lennox duca di Richmond al fine di decorare la residenza di campagna di quest’ultimo a Goodwood, nel Sussex; ogni tela era eseguita da tre artisti diversi, specializzati rispettivamente nella pittura di figure, di prospettive architettoniche e di paesaggio.
A tale iniziativa, di grande risonanza e rilevanza culturale (Mazza, 1976), parteciparono Marco e Sebastiano Ricci, Pittoni, Canaletto, Giovan Battista Piazzetta, Giuseppe e Domenico Valeriani, Giovan Battista Cimaroli, così come anche i bolognesi Donato Creti, Francesco e Vincenzo Monti, Gioseffo Orsoni, Carlo Besoli e Nunzio Ferraioli. Delle ventiquattro opere progettate ne furono eseguite probabilmente solo quindici, oggi in gran parte disperse. Paltronieri vi partecipò intorno alla metà del terzo decennio, collaborando come specialista di architetture prospettiche nella Tomba allegorica di Charles Sackville, VI conte di Dorset, terminata e spedita in Inghilterra nell’ottobre 1725, nella Tomba allegorica di James, I conte di Stanhope (1726, Bologna, Pinacoteca nazionale), nella Tomba allegorica di William Cadogan, I duca di Cadogan (Londra, The Matthiesen Gallery), nella Tomba allegorica di Sidney Godolphin (1727, Londra, The Matthiesen Gallery), nella Tomba allegorica di Archibald Campbell, I duca di Argyll (Bologna, Pinacoteca nazionale), nella Tomba allegorica di Charles Spencer, duca di Sunderland (una copia, eseguita dalla bottega di Donato Creti, è nelle collezioni della Cassa di Risparmio di Bologna). Il suo intervento è inoltre discusso per quanto riguarda la Tomba allegorica di John Churchill, duca di Marborough (1726, Bologna, Pinacoteca nazionale), la Tomba allegorica di Locke-Boyle-Sydenham (Bologna, ibid.), la Tomba allegorica del marchese di Warton (Roma, Villa Wolkonsky) e la Tomba allegorica di Charles Montagu, conte di Halifax (Roma, coll. priv.).
L’ultimo riferimento cronologico relativo a Paltronieri è la data 1733 iscritta in una delle tempere Aldovrandi. Da allora e fino alla morte dovettero essere per l’artista anni di successo e numerose commissioni, poiché la biografia di Marcello Oretti riporta un lungo elenco di sue opere dislocate «nelli palazzi e Case de’ Nobili della città di Bologna», ma anche a Roma, Venezia, Genova e Firenze (in casa Dolci, Vettori e Martelli; Oretti, [1760-1780], cc. 337 s.). Fra i dipinti di questa fase estrema si collocano le cinque tempere su tela in palazzo Rondinini a Roma (inedite), la Veduta di rovine (salvatasi daibombardamenti della seconda guerra mondiale) nella Gemäldegalerie di Dresda, acquistata a Venezia nel 1741 (Bandera, 1990, p. 137), e, a Genova, le sei sovraporte già in palazzo Brignole, ora conservate nella Galleria di Palazzo Rosso, eseguite con la collaborazione di Nicola Bertuzzi come figurista e immerse in una calda tonalità preromantica.
Sposò, in data ignota, Anna Raimondi con la quale ebbe molti figli di cui «uno solo vive Religioso Scalzo» (Crespi, 1769, p. 273).
Morì a Bologna il 3 luglio 1741 (Lanzi, 1795).
Fonti e Bibl.: Mirandola, Duomo, Archivio parrocchiale, L. I.Battezzati dall’anno 1644 a tutto Febrajo 1675, c. 227v; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B 104: M. Oretti, Le pitture che si ammirano nelli palagi e case de’ nobili della città di Bologna (1760-80), II, c. 8; Ibid., ms. B 130: Id., Notizie de’ professori del disegno… (1760-80), cc. 336-339; Archivio di Stato di Bologna, Fondo Ducato di Galliera, Inventario del palazzo di proprietà dei principi di Svezia e Norvegia a Bologna, giugno 1837, Marca 1640, Ambiente 41; Marca 1719, Ambiente 56; P.A. Orlandi, Abcedario pittorico, Bologna 1719, p. 367; G. Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina, II, Bologna 1739, p. 222; L. Crespi, Vite de’ pittori bolognesi non descritte nellaFelsina pittrice, III, Roma 1769, pp. 273 s.; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese…, VI, 2, Modena 1786, pp. 506 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, II, 1, Bassano 1795, pp. 204 s.; J.F. Michaud, Biographie universelle ancienne et moderne, XXXII, Paris 1843, p. 56; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, p. 141; G. Heinz, Die italienischen Maler im Dienste des Prinzen Eugen, in Mitteilungen der Österreichischen Galerie, LI (1963), pp. 115-119; E. Noè, Avvio al Mirandolese, in Strenna storica bolognese, XXIV (1974), pp. 217-234; B. Mazza, La vicenda dei «Tombeaux des Princes». Matrici, storia e fortuna nella serie Swiny tra Bologna e Venezia, in Saggi e memorie di storia dell’arte, X (1976), pp. 79-102; A.M. Matteucci, Scenografia e architettura nell’opera di Pelagio Palagi, in Pelagio Palagi artista e collezionista (catal.), Bologna 1979, p. 108; M.C. Bandera, P. P. ‘il Mirandolese’, Mirandola 1990 (recens. di G. Martinelli Braglia, in Quaderni della Bassa Modenese, 1991, n. 19, pp. 99 s.); Id., Aggiunte al Mirandolese, in Studi di storia dell’arte in onore di Mina Gregori, a cura di M. Boskovits, Cinisello Balsamo 1994, pp. 308-311; Id., Due tempere del Mirandolese, in Per l’arte: da Venezia all’Europa, a cura di M. Piantoni - L. De Rossi, Monfalcone-Gorizia 2001, pp. 491 s.; Sette dipinti. Bologna, Palazzo d’Accursio, Collezioni comunali d’arte, Bologna 2001, pp. 7-21; F.M.L. Arginelli, Pittori modenesi dal 500 ad oggi. P. P. ‘il Mirandolese’, in Bollettino Ordine provinciale dei medici … di Modena, LIII (2004), 4, p. 40; S. Calzolari, Poltronieri da Mirandola alle corti d’Europa, in L’Indicatore mirandolese, 27 febbraio 2013, p. 3; Dorotheum, 17 aprile 2013, nn. 578-579, 869.