palude
Dove acqua, terra e vegetazione si confondono
Non esiste probabilmente altro ambiente naturale in cui acqua, terra e vegetazione si fondono in modo così profondo come la palude. Le zone paludose, spesso considerate pericolose dall’uomo, costituiscono un ecosistema raro e vulnerabile che ospita forme di vita animale e vegetale molto caratteristiche
Nelle paludi, sconfinate distese di acque basse accolgono una fitta vegetazione, in cui tra specie fisse radicate nel terreno proliferano molte forme vegetali galleggianti. Qui il suolo, saturo d’acqua e soffice anche quando emerge, è formato da granuli minerali molto fini ed è arricchito da detriti di materia organica, in particolare vegetale, in grande quantità. Esso costituisce un substrato impermeabile che impedisce il drenaggio dell’acqua favorendone il ristagno.
Si realizza così un ecosistema particolarissimo, caratterizzato da una fauna molto ricca, ma che è stato tradizionalmente percepito dall’uomo come ambiente ostile per i pericoli celati. Il groviglio della vegetazione, la presenza diffusa di una lama d’acqua, cioè di uno strato sottile d’acqua che ricopre il suolo, e la consistenza ridotta del terreno, in cui affonda il passo, alimentano la suggestione di incontri indesiderati con animali e rendono incerto il cammino, tanto che si ricorre alla palude per rendere in senso figurato una condizione di chi si trova senza agevoli vie di fuga.
Dante, probabilmente anche per esperienza diretta, aveva ben chiaro questo concetto quando, riferendosi alle paludi tra Padova e Venezia, fece dire a Iacopo del Cassero, uno dei protagonisti del V canto del Purgatorio: «Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco (ossia il pantano) m’impigliar sì ch’i’ cadde».
Le paludi possono rappresentare lo stadio avanzato dell’evoluzione di un lago in via di prosciugamento, possono insediarsi in zone dove le acque fluviali si espandono al di fuori degli argini, come accade nelle aree dei grandi delta fluviali (per esempio quello del Danubio sul Mar Nero), si possono formare a causa dell’emersione superficiale di una falda idrica, oppure possono corrispondere a grandi depressioni denudate dal ritiro del mare e poi colmate dalle acque dolci in ambiente palustre: così si è formata, per esempio, la più grande area paludosa dell’America Settentrionale, la palude di Okeefenokee.
A dispetto della diversa origine, le paludi hanno in comune la caratteristica di ecosistemi fragili e vulnerabili. La loro naturale esistenza è legata all’equilibrio precario tra alimentazione idrica del corpo paludoso e accrescimento del suolo per sedimentazione, che quando si altera, spesso in tempi geologicamente brevi, generalmente conduce all’interramento.
Tuttavia è anche l’azione dell’uomo a minacciare l’integrità della palude. Talvolta gli interventi di bonifica sono giustificati dal bisogno di terreni agricoli e dalla necessità di debellare la malaria, malattia tipica di questi ambienti (come era, per esempio, per le paludi dell’Agro Pontino nel Lazio). Spesso è invece l’incuria a farla da padrone, quando l’inquinamento indiscriminato provocato dai residui delle attività industriali compromette la capacità di una zona paludosa di ospitare la vita animale e vegetale.
La grande area paludosa di Okeefenokee si estende per circa 1.200 km2 al confine tra Georgia e Florida, negli Stati Uniti. È un paradiso animale e vegetale, dove vivono 600 specie di piante, tra cui il cipresso delle paludi, 235 specie di uccelli, 64 di rettili, 50 di mammiferi, 39 di pesci e 37 di anfibi. È soprattutto il regno dell’alligatore, erede dei grandi rettili vissuti milioni di anni fa. Qui raramente l’acqua è più profonda di 2 m e dal suolo si può generare gas di palude prodotto dalla materia organica in decomposizione. Gli Indiani avevano un timore sacro delle luminescenze che questi gas possono generare. Nella lingua della tribù indigena degli Indiani Seminole, Okeefenokee significa infatti «il territorio della Terra che trema».