PANCIATICHI
– Gruppo familiare che svolse un ruolo di primo piano nelle vicende politiche ed economiche della città e del contado di Pistoia durante i secoli centrali e finali del Medioevo.
Attorno al loro nome si organizzarono le forze ghibelline che animarono la competizione politica e sociale di fine Duecento e di inizio Trecento. Furono gli antagonisti più significativi, in città e nel territorio, dei Cancellieri e furono mercanti di raggio internazionale.
Le origini della famiglia risalgono al secolo XI. Il capostipite Bellino è ricordato come già defunto in un atto del 1044. I suoi discendenti più diretti poterono beneficiare tutti della qualifica di boni homines, che ne evidenziava una qualche forma di eminenza sociale fra coloro che costituivano il seguito del vescovo. Infatti iPanciatichi costruirono le loro prime fortune in qualità di vassalli del vescovo di Pistoia. Pancio del fu Bellino nel 1044 era membro del collegio di religiosi e di laici che coadiuvava il vescovo Martino (Archivio di Stato di Pistoia, Taona, 1044 agosto 6 e 1044 settembre 6) ed ebbe modo a più riprese, fra il 1050 e il 1067, di svolgere incarichi significativi per conto del vescovado e dei canonici della cattedrale. In una posizione non troppo dissimile si trovarono anche i figli Ubaldo e Villano, presenti con qualifiche analoghe in numerose pergamene della seconda metà del secolo XI. Ubaldo fece parte anche del Collegio di giudici e di cittadini che affiancò la contessa Matilde di Canossa in iudicio residente (Archivio di Stato di Firenze, Capitolo, 1074 agosto). L’altro figlio, Lucio, anch’egli vassallo del vescovo, ottenne in feudo alcune terre dal visconte di Agliana (ibid., Pistoia, 1111 febbraio). Attorno alle cospicue proprietà fondiarie di Pancio, le cosiddette terrae Panciaticae secondo la terminologia delle carte d’archivio (ibid. Capitolo, 1085 aprile 11; 1097 marzo), si costituì il primo significativo nucleo di beni della famiglia. Dall’appellativo di quelle terre familiari assunse poi la denominazione definitiva lo stesso casato (Rauty, 1998).
Come altre grandi famiglie pistoiesi di questo periodo – si potrebbero richiamare i Tedici, i Visconti, i Sigibuldi – i Panciatichi furono proprietari fondiari e detentori di fondi rustici a titolo feudale e riuscirono a inurbarsi già sullo scorcio del secolo XI e a ritagliarsi uno spazio significativo all’interno della società cittadina. Era questo, del resto, un tratto ricorrente della dinamica sociale pistoiese di età comunale: i membri dell’élite politica ed economica erano espressione di un’aristocrazia dal doppio volto, insieme rurale e cittadina (Francesconi, 2009).
I discendenti di Pancio incrementarono le loro ricchezze, diversificarono i loro interessi e raggiunsero un più elevato livello politico e sociale nel corso del secolo XII. Ne costituisce una sicura testimonianza il fatto che in entrambi i rami in cui si era divisa la famiglia si trovano menzionati consoli del Comune. È questo il caso di Senzanome (Archivio di Stato di Firenze, Pistoia, 1148 ottobre 4), appartenente al ramo che discendeva da Lucio, e di Astancollo (ibid., Capitolo, 1152 dicembre 19), del ramo di Ubaldo.
Un personaggio di un certo spessore per il periodo a cavallo fra i secoli XII e XIII fu Infrangilasta di Astancollo. Costui, potendo fidare su una posizione consolidata nell’eminenza cittadina, dovette avere ben presto accesso ai ranghi della militia e con un contingente di armati pistoiesi partecipò alla crociata guidata da Barbarossa, nel corso della quale fu fatto prigioniero dal Saladino (Cardini, 1993). Dopo la liberazione, avvenuta con molta probabilità in seguito al pagamento di un riscatto, Infrangilasta fu molto attivo nella sua città: nel 1191 fondò, per adempiere un voto fatto durante il periodo della prigionia, una confraternita religiosa (Archivio di Stato di Firenze, Ss. Michele e Niccolao, 1191 giugno 9) ed ebbe accesso alla carica di console dapprima nel 1178 e poi ancoranel 1201 e nel 1202 (Rauty, 1998). Quello di Infrangilasta fu anche il ramo familiare che ebbe più continuità ed assunse il peso più significativo nelle vicende cittadine dei secoli XIII e XIV. Nella frammentarietà delle notizie, per lo più dovuta alle vicende burrascose degli archivi comunali, si dovranno almeno menzionare alcuni personaggi di un qualche spessore appartenenti alla famiglia Panciatichi lungo il Duecento: Inghiramo, Gollo, Astancollo II e Vinciguerra. Quest’ultimo fu certamente uno dei membri più influenti del casato e dell’intera compagine sociale e politica pistoiese della piena età comunale.
Della fine del secolo XII è la sicura attestazione della residenza urbana della famiglia, per quanto il trasferimento e l’azione entro le mura cittadine dovrebbe essere precedente di circa un secolo: il 18 aprile 1189 alcuni membri della consorteria dei Panciatichi siglarono un accordo per l’utilizzo della torre familiare posta in mercato civitatis Pistorie (Archivio di Stato di Firenze, Pistoia, 1189 aprile 18). Per i primi decenni del Duecento, si segnala, fra i membri della consorteria, la figura di messer Ranieri di Malincalcio, il quale dovette ricoprire incarichi di spicco nel ceto dirigente di quel periodo: fu ambasciatore del Comune (Liber censuum, 31, 1212 ottobre 5) e fu poi fra i cittadini, il terzo della lista, che giurarono la pace col Comune di Bologna nel 1219. Ranieri dotò con la somma di 270 lire la moglie Torrigiana: una dote di assoluto riguardo, se rapportata a quelle con cui i mercatores dotavano le loro spose negli stessi anni (Gualtieri, 2010).
All’aprirsi del Duecento – ma lo rimasero anche in seguito – i Panciatichi erano ben attivi nella gestione di terre e di uomini nel contado: in un documento del 10 aprile 1208 Gisletto del fu Gianni da Prombialla, allora in lite con lo spedale di Prato al Vescovo, dichiarava di essere un colono dell’ente così come era stato homo de Guittoncinaticis et Panciaticis (Archivio di Stato di Firenze, Pistoia, 1208 aprile 10); si deve citare anche l’atto del 26 gennaio 1217 con cui Inghiramo e Lanfranco di Infrangilasta liberarono da ogni vincolo colonario Accompagnato di Allegrante da Tizzana (ibid., Pistoia, 1217 gennaio 26) e quello del 21 febbraio 1243 con il quale lo stesso Lanfranco vendette al rettore dello spedale di Prato al Vescovo un fitto annuo di due omine di grano che riscuoteva per alcuni beni posti a Secchieto (ibid., Pistoia, 1243 febbraio 21).
Il secolo XIII fu per i membri della famiglia Panciatichi, come per altre famiglie della più antica aristocrazia fondiaria, quello della svolta e della differenziazione delle attività economiche. Alle rendite nel contado furono, infatti, affiancate le attività del credito, del prestito e successivamente della mercatura. Gli anni centrali del secolo furono anche quelli dell’adesione al ghibellinismo e di conseguenza, dopo la battaglia di Benevento del 1266 e il tramonto della parte imperiale, del bando e dell’abbandono della città. Astancollo era allora il membro che guidava la famiglia e scelse di andare esule in Francia, ad Avignone, dove esercitò la mercatura e l’attività bancaria accumulando grandissime ricchezze. Un ruolo di spicco continuò invece a esercitare nella sua città Infrangilasta, il quale da giurista si ritagliò importanti spazi di mediazione con Carlo d’Angiò e contribuì nel 1279 al rientro a Pistoia di una buona parte dei ghibellini fuoriusciti. Infrangilasta sovrintese anche alla composizione delle liti confinarie del 1283 fra le comunità di Montevettolini e di Serravalle (Liber censuum, 478, 1283 marzo 10). Gli anni finali del Duecento e quelli iniziali del Trecento videro anche il polarizzarsi drammatico delle lotte di fazione in città e nel territorio, con i Panciatichi che assunsero il ruolo guida della parte ghibellina e bianca contrapposta ai Cancellieri.
Nella Francia meridionale, dalla base di Avignone, i Panciatichi negli anni finali del Duecento riuscirono ad allargare in modo significativo la trama delle loro relazioni commerciali e mercantili. A Vinciguerra di Astancollo si dovette il salto di qualità più decisivo in questo processo di ampliamento degli interessi e del circuito d’affari della famiglia: le sue relazioni con Filippo il Bello schiusero le porte della corte reale e costituirono un motore importante per l’affermazione internazionale del casato. Forte dei suoi successi economici e dei riconoscimenti militari ottenuti dal re di Francia, Vinciguerra fece rientro a Pistoia verso il 1315, prima tentando di approfittare della riscossa ghibellina guidata da Uguccione della Faggiola, e poi passando nelle fila guelfe; la forza economica e il prestigio raggiunti gli consentirono di condizionare la vita politica della città fino alla sua morte nel 1322.
La potenza e i successi ottenuti da Vinciguerra sono testimoniati dalla ricchezza patrimoniale e immobiliare dei figli. La costruzione del grande palazzo di famiglia, le cui fasi di accrescimento occuparono gran parte della prima metà del secolo XIV, fino al 1337 ma più probabilmente fino al 1353, quando morì Giovanni di Vinciguerra, costituì uno degli esiti più evidenti del potere e della forza raggiunti dal casato (Rauty, 1972); ma altri segni indubbi della ricchezza dei Panciatichi sono da rintracciarsi nelle cospicue proprietà di immobili che gli eredi di Vinciguerra detennero nelle zone centrali della città, nel quartiere di borgo S. Domenico, nella cappella di S. Matteo e lungo la via circulare (Rauty, 1977).
La sopravvivenza di un cartulario con tutte le proprietà di Corrado di Vinciguerra, per gli anni compresi fra il 1329 e il 1339, consente di tracciare il radicamento fondiario della famiglia, le modalità di acquisto dei terreni e la costanza con cui i capitali mobili furono reinvestiti nella ricchezza terriera (Rauty, 1970; Iacomelli, 1998).
Il profilo politico ed economico del casato era ormai tale che i Panciatichi furono inseriti nell’elenco delle famiglie ritenute di rango magnatizio nello statuto del 1329 (Archivio di Stato di Pistoia, Statuti e ordinamenti, 3, cc. 15v-16r). Lungo il Trecento la famiglia mantenne un profilo di primissimo piano nelle vicende politiche, sociali ed economiche della città e del territorio di Pistoia: Giovanni di Vinciguerra assunse incarichi e svolse azioni determinanti per la storia cittadina, come quella che nel 1351 portò all’intervento fiorentino e al primo atto di una egemonia progressiva e pervasiva. Insieme a Giovanni e Corrado, anche Bandino, Bartolomeo e Gualtieri furono attivi nelle istituzioni e nei consigli della città.
La seconda metà del secolo XIV fu segnata dal riaccendersi delle divisioni faziose, dei bandi e solo l’intervento pacificatore fiorentino poté consentire l’istituzionalizzazione delle parti, con la creazione nel 1376 delle borse di S. Paolo (Panciatichi) e di S. Giovanni (Cancellieri). La crescente egemonia fiorentina fu tuttavia per le grandi famiglie pistoiesi anche una risorsa: l’ombra di Firenze consentì, infatti, una collaborazione su scala regionale che favorì l’allargamento delle relazioni, dei circuiti e delle ricchezze. Le rilevazioni catastali del 1427 ponevano Matteo e Andrea di messer Giovanni Panciatichi al terzo posto fra le famiglie più ricche della città.
Nel Quattrocento i Panciatichi costituirono uno dei casati privilegiati del raccordo politico e di patronato che si istituì fra Firenze, la città dominante, e Pistoia: un legame e un canale di gestione sociale che passava anche attraverso una oculata strategia di alleanza familiare. Significativi furono, del resto, i matrimoni di membri del casato con esponenti delle famiglie fiorentine degli Albizzi, dei Guicciardini e dei Rucellai.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Pistoia, Diplomatico, Abbazia di S. Salvatore a Fontana Taona; Comune di Pistoia, Provvisioni e riforme; Comune, Statuti e ordinamenti; Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Capitolo della cattedrale di Pistoia; Diplomatico, Città di Pistoia; L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia P., Firenze 1858; Cronache di ser Luca Dominici, a cura di G.C. Gigliotti, I-II, Pistoia 1933; N. Rauty, Toponimi del contado pistoiese nella prima metà del Trecento, in Bullettino Storico Pistoiese, LXXII (1970), pp. 53-64; D. Herlihy, Pistoia nel Medioevo e nel Rinascimento. 1200-1430, Firenze 1972; N. Rauty, Le finestre a crociera del Palazzo P. a Pistoia (1972), ora in Id., Pistoia. Città e territorio nel Medioevo, Pistoia 2003, pp. 33-46; Id., Cenni di topografia urbana a Pistoia alla metà del Trecento (da un inventario di beni dello spedale del Ceppo) (1977), ibid., pp. 247-288; F. Cardini, Le due crociate di Federico Barbarossa, in Id., Studi sulla storia e sull’idea di crociata, Roma 1993, pp. 107-115; G. Cherubini, Apogeo e declino del Comune libero, in Storia di Pistoia, II, L’età del libero Comune, a cura di G. Cherubini, Firenze 1998, pp. 41-87; N. Rauty, Società e istituzioni, ibid., pp. 1-40; B. Dini, I successi dei mercanti-banchieri, ibid., pp. 155-194; F. Iacomelli, La proprietà fondiaria e le attività agricole, ibid., pp. 197-199; G. Francesconi, Paradigmi sociali di fine secolo XII. Un giudice tra fedeltà signorili e radicamento cittadino: alcune note e documenti su Guidone del fu Brunetto, in Bullettino Storico Pistoiese, CXI (2009), pp. 183-210; P. Gualtieri, Note sul ceto dirigente pistoiese in età consolare-podestarile, ibid., CXII (2010), pp. 137-163.