PANCREAS (dal gr. πᾶν "tutto" e κρέας "carne")
È una grossa ghiandola annessa al canale alimentare; essa riversa il proprio secreto nel duodeno, vale a dire nel tratto prossimale dell'intestino tenue (v. digerente, apparato).
Fisiologia. - Il pancreas è dotato di una duplice secrezione, esterna e interna; ambedue sono funzioni distinte di elementi istologici diversi: la prima è devoluta alla parte acinosa della ghiandola, la seconda alla parte insulare (isole di R. Langerhans).
Funzione esocrina del pancreas. - La porzione acinosa, separata dalle isole mediante una capsula connettivale, secerne (continuamente negli erbivori, intermittentemente nei carnivori) un succo o secreto pancreatico, fluente, che si può raccogliere mediante fistola permanente del condotto di Wirsung. La sua quantità giornaliera è di quasi 500 cc.; la sua reazione è alcalina al tornasole, la concentrazione idrogenionica è di circa 1 × 10-8; il Δ è −0°,42 ÷ −0°,49. Il succo contiene, oltre all'acqua, sostanze organiche (tra cui molte proteine: albumine, mucina, nucleoproteidi, grassi), saponi, sali (fosfati, cloruri, carbonati) e fermenti; il residuo solido è circa 1,40%. La secrezione pancreatica è sotto l'influenza del sistema nervoso, è dovuta cioè a un riflesso, in cui lo stimolo è rappresentato dall'acido cloridrico del chimo acido che giunge nel duodeno superando la barriera pilorica; l'eccitamento si traduce, attraverso i nervi centrifughi secretori della ghiandola (nervi vago e splancnico), nella secrezione di succo pancreatico. Accanto a questo meccanismo nervoso riflesso, W. M. Bayliss e E. H. Starling hanno ammesso anche un meccanismo chimico (indipendente dal sistema nervoso): nella mucosa duodenale esisterebbe una sostanza speciale, la prosecretina, che l'acido cloridrico trasformerebbe in secretina; questa entrerebbe in circolo e, come un vero ormone, stimolerebbe le cellule acinose pancreatiche a secernere.
I fermenti principali sono: una proteasi (tripsina), una lipasi (steapsina) e un'amilasi (amilopsina); da alcuni è stata trovata pure una maltasi. Il pancreas non contiene tripsina come tale, ma una sostanza inattiva capace di trasformarsi in essa, e che R. Heidenhain chiamò zimogeno triptico o tripsinogeno o protripsina; anche nel succo esiste solo tripsinogeno, e solamente quando esso giunge nell'intestino diventa attivo, si muta cioè in tripsina; tale trasformazione è dovuta a una chinasi, detta enterochinasi. Anche i sali di calcio, estratti di leucociti polinucleati (C. Delezenne), estratti splenici (M. Schiff), alcuni amminoacidi e batterî hanno azione attivante. La tripsina agisce in ambiente sia neutro, sia alcalino, e l'optimum di reazione varia secondo la natura del substrato. Il fermento è oggi considerato come un vero sistema di enzimi, di cui alcuni attaccano i protidi, mentre altri agiscono sui prodotti di scissione (peptoni e polipeptidi), disintegrandoli sino ad amminoacidi; alla fine dell'azione proteolitica resta sempre un residuo inattaccabile (che costituisce i cosiddetti antipeptoni di W. Kühne), formato di alcuni polipeptidi risultanti di prolina, fenilalanina e glicocolla. Altri amminoacidi si liberano dalla molecola proteica con facilità (tirosina, triptofano e cistina) o più lentamente (alanina, leucina, valina, acidi asparaginico e glutaminico, basi exoniche). La tripsina attacca anche i nucleoproteidi, liberando l'acido nucleinico.
La steapsina, scoperta da C. Bernard nel cane, scinde i grassi neutri in glicerina e acidi grassi; agisce in ambiente neutro, ma anche in ambiente lievemente alcalino o acido; il fermento è attivato dalla bile (sali biliari) e dal succo enterico. Gli acidi grassi si combinano con gli alcali dei secreti pancreatico ed enterico, a formare saponi, utili in quanto, emulsionando i grassi presenti, facilitano l'azione saponificante della steapsina.
L'amilopsina, scoperta da G. G. Valentin, scinde l'amido in destrina e maltosio; l'optimum di reazione corrisponde a una concentrazione idrogenionica di 2,5 × 10-3 ÷ 1,6 × 10-7; il succo enterico, la bile, alcuni amminoacidi e sali rinforzano l'azione dell'amilopsina.
Funzione endocrina del pancreas. - Nel 1899 J. von Mering e M. Minkowski, avendo estirpato il pancreas ad alcuni cani, constatarono gravi disturbi dell'assorbimento degli alimenti e un'intensa glicosuria che persisteva fino alla morte degli animali (due o tre settimane dopo l'operazione). La sintomatologia era simile a quella del diabete umano, per cui gli autori parlarono di diabete sperimentale (da pancreasectomia); siccome, poi, questa sindrome particolare non si verificava quando s'impediva il deflusso del secreto pancreatico nell'intestino, si pensò che essa fosse dovuta alla soppressione di una funzione del pancreas differente da quella esocrina. Contemporaneamente S. De Dominicis otteneva gli stessi risultati in altri cani spancreati, ma ne dava una interpretazione erronea. Si vide poi che bastava lasciare una piccola porzione di pancreas nell'addome, o trapiantarne una parte sotto la cute, per evitare la glicosuria e l'iperglicemia. Da questi fatti risultò l'importanza della ghiandola nel metabolismo degl'idrati di carbonio, e anche dei grassi e delle proteine (come fu più tardi accertato). Fu ammessa quindi una secrezione interna del pancreas; tuttavia sia nel diabete umano, sia in quello sperimentale, la somministrazione al paziente di ghiandola fresca o di suoi estratti rimaneva inefficace. Alcuni autori riuscirono a separare la porzione endocrina dell'organo dalla esocrina, specialmente in animali in cui le due parti sono più o meno nettamente divise (V. Diamare nei pesci teleostei). Ma solamente nel 1921 F. G. Banting e C. H. Best isolarono l'ormone, da essi chiamato insulina; i due autori pensarono che gli insuccessi ottenuti fin'allora fossero forse dovuti al fatto che l'increto pancreatico viene distrutto dai fermenti (tripsina) contenuti nella ghiandola fresca o nell'estratto. Banting infatti vide che gli estratti di pancreas di feti di vitello, in cui la porzione esocrina non è ancora sviluppata mentre le isole di Langerhans sono già funzionanti, erano in grado di ridurre il tasso glicemico e di far scomparire la glicosuria in animali spancreati. In successive ricerche fu provocata l'atrofia della porzione acinosa della ghiandola mediante legatura del dotto di Wirsung: gli estratti di pancreas atrofici (in questo caso della parte insulare) riuscirono molto attivi. Inoltre, essendo l'insulina solubile in alcool etilico alla concentrazione dell'80-90%, fu possibile a Banting e Best, con la collaborazione del chimico J. B. Collip, preparare estratti insulari molto attivi.
L'insulina così approntata, allo stato secco, è una polvere amorfa biancastra, solubile in acqua acidulata o resa alcalina; il suo punto isoelettrico è a pH = 5 circa; non è dializzabile; è adsorbita dal caolino e dal carbone animale; è distrutta dalla tripsina, dalla pepsina e dai forti agenti ossidanti; l'analisi elementare dà il 14% di N e mancanza di P. Alcuni pensano che l'ormone sia di natura proteica, altri lo considerano come una albumosa o, più semplicemente, un'amminobase legata a protidi. Iniettata sottocute o nelle vene, dopo pochi minuti abbassa progressivamente il tasso glicemico, fa diminuire e scomparire la glicosuria, l'acetonemia, e riduce la lipemia; se la dose di insulina provoca un abbassamento della glicemia a circa la metà del valore normale, si crea una sindrome, cosiddetta ipoglicemica, caratterizzata da sudori, parestesie, disturbi vasomotorî, ipereccitabilità neuromuscolare, tremori, accessi convulsivi frequenti, e finalmente coma e morte. La somministrazione di glicosio o l'adrenalina (che mobilita il glicogeno epatico) scongiurano i gravi sintomi dell'ipoglicemia. Oggi l'ormone viene dosato in unità ed è entrato largamente nell'uso terapeutico. Ancora controverso è il meccanismo di azione dell'insulina: essa agirebbe o favorendo la sintesi del glicosio a glicogeno, o eccitando la glicolisi, o con i due meccanismi insieme. Secondo la teoria che ammette essere la forma di glucosio utilizzata dalle cellule non quella comune (miscela delle due varietà a e β), ma la varietà γ (non ancora chimicamente ben definita), l'ormone pancreatico potrebbe servire a trasformare il comune glicosio nella varietà γ, o nel cosiddetto neoglicosio, utilizzabile dai tessuti. Secondo altri autori l'insulina faciliterebbe la penetrazione dello zucchero nelle cellule, regolando con altri ormoni la distribuzione del glicosio tra le cellule e l'ambiente in cui esse vivono.
L'insulina possiede pure un'azione ipotensiva (dimostrata dal Farini in Italia nel 1910), la quale però non è costante e varia da preparato a preparato; si è pertanto pensato che l'azione ipotensiva non fosse da attribuirsi all'ormone ipoglicemizzante, ma a un'altra sostanza che appare come impurità nell'insulina del commercio. P. Gley e N. Kisthinios nel 1929 hanno preparato un estratto pancreatico assolutamente privo di insulina (disinsulinizzato), da essi chiamato angioxyl, che ha la proprietà di abbassare la pressione arteriosa, di neutralizzare l'azione ipertensiva dell'adrenalina, nonché di sollevare il tono vagale e deprimere quello simpatico, e di agire sul trofismo dei vasi e di tutti i tessuti. Tale estratto è stato titolato biologicamente in unità ipotensive, non è tossico ed oggi ha fatto il suo ingresso in terapia. Ignota è la natura chimica dell'angioxyl, ma certamente esso non è né colina, né istamina, né peptone; per alcuni sarebbe un nuovo ormone del pancreas.
Malattie del pancreas. - Il pancreas può essere sede di processi infiammatorî (pancreatiti semplici, necrotiche, emorragiche), tubercolari, sifilitici, di tumori, di calcoli, di cisti, ecc. Ghiandola di grande importanza per la digestione e per il ricambio degli idrati di carbonio (zuccheri) nell'organismo, e situato profondamente nella parte più alta dell'addome, difficilmente aggredibile all'indagine al letto del malato, le sue malattie sono in genere di ardua diagnosi, o gravi. In alcune forme acute (traumi, pancreatiti acute, necrotiche, emorragiche, necrosi grassa del pancreas) la sintomatologia è estremamente grave e impressionante (dramma pancreatico di alcuni autori) per l'aspetto angoscioso e il volto profilato del malato (faaes abdominalis), per la violenza del dolore, il senso di morte imminente, la piccolezza del polso, il collasso. Nelle forme a decorso lento la sintomatologia è varia a seconda che è presa la testa dell'organo, il suo corpo o la sua coda. Nel primo caso prevalgono ordinariamente i segni di chiusura del doledoco (ittero grave e verde, per l'intensid della colorazione giallo verdastra della cute, v. itrero) e del dotto pancreatico (feci voluminose, grasse, con molti residui carnei, creatorrea, a volte anche residui amilacei macroscopicamente riconoscibili, fatti dovuti al difetto grave della digestione per la mancanza del succo pancreatico). Se è colpita la coda e sono distrutte quelle particolari formazioni, alle quali è legata la funzione cosiddetta interna del pancreas, ossia le isole del Langerhans, si ha deperimento grave, glicosuria e il quadro del diabete pancreatico. Un'alterazione del corpo del pancreas può invece decorrere quasi inavvertita.
Questa differenza di comportamento nei fenomeni, che si hanno a seconda della parte del pancreas alterata, si deve alla distribuzione non uniforme delle isole del Langerhans nella ghiandola; in genere si può dire che, quando del pancreas è lesa la ghiandola che forma il succo pancreatico, la sintomatologia riguarda specificamente turbe della digestione, quando del pancreas è lesa la funzione endocrina, la sintomatologia è quella di un diabete pancreatico. Possono aversi sintomatologie miste quando siano colpite tutte e due le funzioni del pancreas. La terapia delle malattie del pancreas si vale a seconda dei casi di preparati di fermenti pancreatici, p. es., dell'insulina, alla quale si deve un importante progresso nella cura del diabete pancreatico; infine frequentemente nelle malattie del pancreas deve intervenire il chirurgo (pancreatiti, calcolosi, cisti).
Chirurgia. - Numerose e importanti sono le indicazioni chirurgiche nelle affezioni pancreatiche, se anche relativamente moderna si possa dire la chirurgia del pancreas. Quest'organo è accessibile soprattutto per la via addominale anteriore, transperitoneale, attraverso un'incisione laparatomica mediana o paramediana, e successivamente aprendo il legamento gastro-colico, oppure il legamento gastro-epatico o il mesocolon trasverso. L'indicazione più frequente è di passare attraverso il legamento gastro-colico. La via transpleurale può servire in casi eccezionali per aprire ascessi subfrenici di origine pancreatica (A. Brentano); così come la via lombare (N. Senn, W. Körte) può essere indicata per drenare raccolte purulente a diffusione lombare, provenienti per lo più dalla coda del pancreas. Possono influire favorevolmente su affezioni pancreatiche interventi indiretti, compiuti su altri organi, quale p. es. la colecisti in casi di colelitiasi, che abbia causato processi infiammatorî cronici del pancreas. Così pure interventi indiretti possono porre riparo a conseguenze di affezioni pancreatiche non direttamente operabili; tale p. es. la colecistogastrostomia per scaricare nell'intestino la bile, impedita a passare da un cancro della testa del pancreas occludente il coledoco o la papilla di Vater.
Certe anomalie congenite del pancreas possono rendere necessaria l'opera del chirurgo. Tali i pancreas accessorî, situati più spesso nelle parete duodenale, più di rado nella digiunale (A. Serra), quando divengano sede di formazioni cistiche e provochino una stenosi del lume intestinale; nel qual caso debbono essere escissi (R. Alessandri, A. Gosset, ecc.), eventualmente con resezione del tratto intestinale ove sono compresi.
Tale ancora il pancreas anulare, in cui la testa del pancreas circonda ad anello la seconda porzione del duodeno, e può determinare una stenosi duodenale; si rende così necessaria la resezione dell'anello pancreatico (P. Lerat), o, se questa non si giudica opportuna, la gastro-digiunostomia (E. Vidal).
Le lesioni traumatiche del pancreas sono relativamente rare, ma molto importanti per le loro conseguenze spesso rapidamente mortali con sintomi di shock o di necrosi acuta e in altri casi per gli esiti a distanza, quali p. es. ematomi, cisti intrapancreatiche o della retrocavità degli epiploon, che debbono essere operate.
È classica la distinzione delle lesioni traumatiche in chiuse, per contusione, e aperte, per ferite. Come lesioni isolate del pancreas, le ferite per arma da fuoco sono rarissime. Nelle une e nelle altre l'operazione precoce, anche nei casi dubbî, è ragione di successo, per prevenire o combattere l'emorragia, lo shock, la steatonecrosi. La laparatomia seguita da tamponamento si addice ai casi più gravi, congiunta, se occorre, a emostasi di qualche vaso o a resezione di porzioni staccate o di lembi di organo; negli ematomi e nelle cisti traumatiche è indicato fare il tamponamento e la marsupializzazione; in certe ferite infine si addice la sutura (G. Ninni, H. Küttner, P. Walzel), o la resezione (A. Mugnai), particolarmente indicata nei riguardi p. es. di una parte erniata. Non è raro che residuino fistole pancreatiche temporanee.
Nel gruppo delle infiammazioni vanno distinte le pancreatiti acute emorragiche (necrosi acuta, necrosi emorragica del pancreas), le pancreatiti suppurative e cancrenose, le pancreatiti croniche.
La pancreatite acuta emorragica costituisce l'affezione addominale forse più importante, la quale determina un quadro morboso gravissimo a cui bene s'addice il nome di "dramma pancreatico" attribuitogli da D. Giordano e da G. Dieulafoy. Anatomopatologicamente v'è una necrosi del pancreas accompagnata da infiltrazioni emorragiche e da fatti reattivi infiammatorî, nonché la necrosi del grasso (steatonecrosi) che si riconosce da placche a tipo di gocce di cera, sparse sull'epiploon, sul peritoneo viscerale e sul peritoneo parietale. In un individuo, per lo più giovane e robusto, spesso obeso, in cui dopo un pasto abbondante insorga un dolore epigastrico acuto violento, brutale, con vomiti, facies addominale, cianosi, addome disteso, ma relativamente molle senza contrattura di difesa, si deve temere la pancreatite acuta emorragica e imporre l'intervento immediato d'urgenza. Qualora non si proceda alla ricerca della glicemia, che, se aumentata, costituirebbe un sintoma precoce caratteristico (D. Calzavara), la diagnosi preoperatoria può offrire difficoltà; spesso si pensa a perforazione d'ulcera, o a occlusione intestinale, o ad appendicite perforata, ecc. Comunque, la laparatomia s'impone e potrà riuscire a salvare l'ammalato in una notevole percentuale di casi, semplicemente con l'apertura e col drenaggio del focolaio pancreatico. A tal fine è necessario penetrare nella retrocavità degli epiploon attraverso il legamento gastro-colico e mettere a nudo il pancreas aprendo il foglietto peritoneale prepancreatico; se la necrosi è molto diffusa, è opportuno drenare anche attraverso l'epiploon gastro-epatico e il mesocolon trasverso. Quando nell'omento si trovino estesi focolai di steatonecrosi, la resezione può essere consigliata. Infine poiché la necrosi acuta del pancreas si accompagna spesso a colelitiasi, molti sono di opinione che questa debba essere contemporaneamente operata, ad es. col drenaggio delle víe biliari, qualora le condizioni dell'ammalato siano tali da consentire di prolungare, sia pure di poco, l'intervento. Questo intervento complementare potrà del resto essere eseguito in un secondo tempo, e in tal caso, in luogo del drenaggio della cistifellea o dell'epatico, potrà essere trovata indicazione alla colecistectomia.
Le pancreatiti suppurative e Cancrenose dànno un quadro clinico pressoché identico a quello della necrosi pancreatica, ma possono anche decorrere in forma subacuta. In questa i sintomi iniziali violenti si vanno attenuando per lasciare poi posto a una fase in cui si manifestano febbre remittente, dimagramento rapido, crisi dolorose ripetute, sintomi di raccolta addominale, in molti casi anche glicosuria spontanea o alimentare. Solo l'intervento chirurgico può portare la guarigione, mercé l'apertura e il drenaggio del focolaio suppurativo. La via di elezione anche qui è la laparatomica mediana attraverso l'epiploon gastro-colico o l'epiploon gastro epatico, o anche il mesocolon trasverso. Se la raccolta purulenta si fa strada dietro il pancreas o verso la regione lombare, la via lombare può servire; in altri casi, come si è già accennato, anche la via transpleuro-diaframmatica può essere indicata.
Complesso è il problema delle pancreatiti croniche, spesso diffìcili a diagnosticare sia clinicamente, tanto più che possono presentarsi con sindrome colelitiasica, sia anatomo-patologicamente al tavolo operatorio. Per lo più del tipo interstiziale, conseguono a litiasi biliare e in particolare a litiasi del coledoco; altre volte seguono a malattie d'infezione acute e croniche o a gravi intossicazioni (soprattutto da alcool).
Anatomopatologicamente si manifestano con ingrossamento della testa del pancreas, che diviene dura e bernoccoluta così che può essere scambiata con un'infiltrazione neoplastica. Alla cefalopancreatite cronica può associarsi steatonecrosi peritoneale (D. Calzavara). Talora sotto forma sclerotica o nodulare si presenta anche la tubercolosi del pancreas. Allorché per i dolori a sede epigastrica e non irradiati, che intervengono acuti e a crisi, per i disturbi digestivi (dispepsia pancreatica), per i sintomi d'insufficienza pancreatica, per il dimagrimento, talora anche per sintomi di compressione, fra cui principalissimo l'ittero per ritenzione, la diagnosi di pancreatite cronica sia formulata, l'intervento chirurgico può essere indicato. E poiché d'ordinario sono i sintomi di compressione biliare o gastroduodenale quelli che spingono a intervenire, le operazioni indirette sono generalmente le più indicate, e cioè: la gastroenterostomia in casi di stenosi gastroduodenale, le operazioni di derivazione biliare nei casi di compressione del coledoco. La derivazione biliare può essere fatta all'esterno per mezzo della colecistectomia o del drenaggio dell'epatico, oppure all'interno per mezzo della colecistogastrostomia o della colecistoduodenostomia. Se la cistifellea è ammalata per colecistite calcolosa, la colecistectomia, con drenaggio successivo dell'epatico, è l'intervento di scelta. Si deve osservare che nelle colecistiti calcolose e croniche l'interessamento del pancreas è estremamente frequente e si rivela con segni di deficit pancreatico più o meno importante. Le operazioni sulle vie biliari divengono curative in questo tipo di affezioni infiammatorie del pancreas.
Un'altra affezione non del tutto rara, che specialmente le indagini radiologiche negli ultimi anni hanno messo in particolare evidenza, è la litiasi pancreatica. La sintomatologia spesso si confonde con quella della calcolosi, essendo essenzialmente basata su accessi di colica che sono causati da spostamenti dei calcoli o da crisi di ritenzione di secreto a monte, o da crisi infiammatorie concomitanti. La cura chirurgica potrebbe essere abbandonata soltanto in caso di litiasi diffusa. Altrimenti si deve operare per procedere all'ablazione dei calcoli, sia con l'incisione diretta del pancreas (pancreaticotomia diretta o semplice), sia per mezzo dell'incisione transduodenale (pancreaticotomia transduodenale). Dopo la pancreaticotomia diretta è indicato quasi sempre il drenaggio. Un'operazione associata sulle vie biliari (drenaggio della bile) è indicata in Caso di affezioni concomitanti delle vie biliari, ma può anche avere di per sé influenza favorevole sulle lesioni pancreatiche che accompagnano o furono causa della litiasi.
Le fistole pancreatiche, siano esse spontanee, per apertura di un ascesso pancreatico, o traumatiche, consecutive a ferite accidentali della regione epigastrica con lesione del pancreas o dei suoi dotti escretori, siano esse chirurgiche consecutive a un intervento, come per es. per pancreatite acuta emorragica, per ematoma o per ascesso pancreatico o per cisti del pancreas, sono suscettibili talora di guarigione spontanea. Qualora si tratti di fistole ribelli e persistenti, si deve ricorrere all'intervento chirurgico, il quale consisterà o nell'estirpazione del tragitto fistoloso, o nella derivazione interna con impianto del tragitto nel duodeno o, meglio, nello stomaco. Si tratta di metodi di cura molto delicati, che però hanno al loro attivo un certo numero di successi.
Le cisti del pancreas sono eccezionalmente da echinococco; più frequentemente sono cisti non parassitarie, emorragiche oppure da ritenzione. Una raccolta cistica può anche formarsi intorno a un sequestro di tessuto conseguente a una necrosi pancreatica la cui sintomatologia sia andata poi spontaneamente attenuandosi.
Diagnosticate per lo più come cisti retroperitoneali, altre volte scambiate con sacche idronefrotiche o con cisti del rene, esse esigono un trattamento chirurgico. L'operazione deve essere eseguita al più presto per evitare sia il manifestarsi di aderenze agli organi vicini, sia complicazioni più gravi, come emorragie intracistiche, suppurazioni, rotture, ecc. I metodi di cura sono: o l'incisione della cisti seguita da drenaggio (marsupializzazione) o l'estirpazione; questa è indicata ogni volta che si possa isolare la sacca dalle parti circostanti e soprattutto nei casi in cui, come non è raro nella coda, la cisti sia peduncolata. Per le estese aderenze la marsupializzazione (C. Gussembauer, 1882), eventualmente con resezione parziale della parete cistica, è più spesso indicata che non l'estirpazione. Anche la resezione del pancreas può trovare indicazione (G. De Francisco).
Per ciò che riguarda i tumori solidi del pancreas, i tumori benigni sono assai rari, per quanto se ne siano descritti e asportati felicemente (J. Finney, ecc.). Interessa la conoscenza di adenomi funzionanti, quasi esclusivamente costituiti da tessuto insulare, che si accompagnano a ipoglicemia e che possono essere asportati. Questa constatazione ha dimostrato che certi stati di iperinsulinismo grave consigliano l'esplorazione chirurgica del pancreas, poiché (R. M. Wilder) essi possono dipendere da un tumore delle isole di Langerhans determinante iperfunzione delle isole stesse. W. Mayo fece per primo il tentativo operatorio nel 1926 in un caso di ipoglicemia grave e ribelle, ma trovò un tumore insulare inoperabile con metastasi epatica. In alcuni casi operati di poi (E. Starr Judd e F. N. Allan, R. Graham, ecc.), nei quali fu trovato un tumore circoscritto, la guarigione completa è stata ottenuta con l'ablazione del tumore. Ove il tumore non fu trovato, e si eseguì la resezione di una porzione di pancreas, il risultato non è stato così brillante. Fra i tumori maligni, il sarcoma ha relativamente scarsa importanza; il carcinoma, invece, è un tumore relativamente frequente, localizzato per lo più nella testa e che si rivela di regola soltanto allorché per compressione del coledoco determina un ittero cronico a lento e progressivo sviluppo. Molto gravi e insistenti sono negli stadî avanzati i dolori, i quali assumono il carattere di nevralgie celiache, ribelli molte volte anche a intensi trattamenti sedativi. Purtroppo la possibilità di estirpare un tumore del pancreas esiste, ma è eccezionale. Che si possa con l'estirpazione ottenere una sopravvivenza anche lunga, è dimostrato ad es. dal caso di D. Baiardi, il cui operato sopravviveva 3 anni dopo l'intervento. L'ablazione del tumore può esigere una vera e propria resezione del pancreas (G. Ruggi, E. Tricomi, G. Serafini, ecc.), possibile in particolare quando i tumori risiedono nella coda (P. Marogna). Per i tumori della testa, la pancreato-duodenectomia (A. Codivilla, 1898) sarebbe l'intervento di scelta, ma si tratta di un'operazione molto grave, perché esige il ristabilimento del corso della bile e delle materie alimentari, mediante colecisto-enterostomia o colecisto-gastrostomia e mediante gastro-enterostomia, e inoltre perché esige un trattamento del moncone pancreatico che non è certamente facile. In generale pertanto si è costretti a limitarsi a un trattamento palliativo e cioè: gastro-enterostomia in casi di compressione pilorica, colecisto-gastrostomia o colecisto-enterostomia in caso di compressione del coledoco.
La chirurgia del pancreas ha trovato recentemente un nuovo campo d'azione nella cura del diabete mellito. Ed è opportuno accennarvi perché si tratta di tentativi basati su dati sperimentali importanti, i quali dimostrano che la soppressione della secrezione esterna (allacciatura dei dotti escretori, legatura in massa di una porzione caudale del pancreas) consente la persistenza delle isole di Langerhans, le quali appaiono anzi in aumento di volume e di numero. Si ha insomma la produzione di un "pancreas insulare" con iperfunzione delle isole e abbassamento della glicemia. L'operazione, proposta da G. Mansfeld nel 1924, è per l'appunto la legatura in massa del pancreas a livello della testa o del corpo. Essa è stata eseguita ancora poche volte in clinica (fra altri, M. Popper e collab., 1928; G. Takats, 1930; J. Jacobovici, 1930; G. Pieri, 1932), con risultati che per lo più sono stati transitorî.
Bibl.: P. Brocq e G. Miginiac, Les pancréatites chroniques, XXXIX° Congr. franc. di chir., Parigi 1930; D. Calzavara, Le pancreatiti, Bologna 1924; M. Chiarugi, Pancreatiti e loro trattamento chirurgico, Siena 1913; L. Frassi, Le lesioni traumatiche isolate del pancreas, Milano 1922; P. Mallet-Guy, Pancréatites chroniques avec ictère, Parigi 1925; J. Mouzon, in La Presse médicale, 1930; Ch. Oberling e M. Guérin, Cancer du pancréas, Parigi 1931; J. Okinczyc e L. Aurousseau, Tactique opératoire du pancréas et de la rate, Parigi 1933; F. Villar, La chirurgie du pancréas, XVIII° Congr. francese di chirurgia, 1905.