ANGUILLARA, Pandolfo
Nacque dal conte Pandolfo dell'Anguillara, ardente ghibellino, nella prima metà del XIII secolo, ma, contrariamente al padre, fu guelfo e accanito avversario della sempre crescente potenza di Pietro di Vico. Come il padre aveva incarnato l'anima della riscossa ghibellina nella Tuscia, così egli raccolse intorno a sé le forze guelfe del Patrimonio ed ebbe una parte assai notevole nel rafforzamento del dominio pontificio nel Lazio e nell'Umbria e nella preparazione della conquista del Regno da parte di Carlo d'Angiò.
Già nel 1260 si distinse, accanto agli Orvietani e ai conti di Santa Fiora, in fortunate azioni militari dirette contro Todi e Foligno, allora ribelli alla Chiesa. Quando poi nel marzo del 1264 Urbano IV bandì la crociata contro Pietro di Vico, che, appoggiato da truppe di Manfredi, minacciava le località guelfe del Lazio, l'A., che aveva sposato una sorella del cardinale Matteo Rosso Orsini, Giovanna, si unì alle forze romane e ai contingenti guidati dall'inviato di Carlo d'Angiò, Giacomo di Cantelmo. Nel maggio le forze guelfe, su iniziativa dell'A. e con l'appoggio di una rivolta popolare, rioccuparono Sutri, di cui Pietro di Vico s'era impossessato con un colpo di mano, e quindi assediarono il capo ghibellino, nella sua stessa rocca di Vico. Ma i Romani abbandonarono l'assedio nel giugno, proprio mentre i ghibellini stavano per cedere, permettendo in tal modo a Pietro di Vico di uscire di nuovo con i suoi fedeli e di unirsi a forze inviate in suo soccorso da Manfredi. L'A. fu così assalito dai ghibellini mentre si trovava accampato nei pressi di Vetralla e, battuto, fu fatto prigioniero. Vanamente il pontefice e il cardinale Matteo Rosso Orsini si adoperarono per ottenerne la liberazione. Ad essa Pietro di Vico acconsentì solo dopo che, nel giugno del 1265, giunto a Roma lo stesso Carlo d'Angiò, egli si fu sottomesso a Urbano IV. Né l'A. riuscì a ottenere dal successore di questo, Clemente IV, il risarcimento dei danni patiti nell'interesse della Chiesa. Ciononostante egli rimase fedele al partito guelfo Alla fine dell'aprile 1268, infatti, l'A. fu tra quei capitani di Carlo d'Angiò che invano tentarono di impedire l'entrata di Corradino a Roma.
Nel 1274 e nel 1275 l'A. fu eletto podestà del Comune di Viterbo, promuovendovi la lotta contro gli eretici (con atto del 7 genn. 1274) e la pacificazione degli animi. Due lapidi conservate nel museo comunale di Viterbo, ambedue del 1275, ricordano l'opera da lui in questo senso prodigata (Sora, pp. 415 s.).
Dieci anni dopo lo si ritrova tra i difensori del suo vecchio amico, il conte di Santa Fiora, che disputava a Guido di Monfort - colui che uccise a Viterbo Enrico d'Inghilterra - l'eredità di Ildebrandino di Santa Fiora (il "Comes Rubeus"), suocero del Monfort e parente del conte di Santa Fiora stesso.
Tale atteggiamento aperto e coraggioso, fruttò all'A. l'elezione, appoggiata dal partito ghibellino, alla podesteria di Orvieto (15 ott. 1284). Tuttavia i dissidi e le contese tra ghibellini e guelfi gli impedirono di assumere effettivamente la carica di podestà. Da quell'anno non si hanno altre notizie dell'A., morto tra il 1291 e il 1294, forse nel 1293. Infatti il presunto testamento, con la data 14 apr. 1321, è una falsificazione fabbricata dal famigerato Ceccarelli nel sec. XVI per lucro, come, nel suo saggio (p. 419, nota), ricordò la Sora.
Fonti e Bibl.: C. Calisse, I Prefetti di Vico, in Arch. d. soc. romana di storia patria, X(1987), pp. 32, 34, 37, 44; V. Sora, I conti di Anguillara, ibid., XXIX(1906), pp. 410-20;E. Jordan, Les origines de la domination angevine en Italie, Paris 1909, pp. 510 s.; D. Waley, Medieval Orvieto, Cambridge 1952, p. 56.