PANDOLFO della Suburra
PANDOLFO della Suburra (de Subura, de Suburra, de Segura). – Attivo nei primi decenni del secolo XIII, fu senatore di Roma e podestà in alcune città comunali dell’Italia centrale.
Di lui si possono ricordare in primo luogo i forti legami con il pontefice Innocenzo III, il cui testo biografico ricorda esplicitamente come egli «per omnia domino pape favebat» (Gesta Innocentii pape III, col. 185).
L’assenza di un nome di famiglia o di un patronimico in associazione al suo nome di battesimo sembra indicare che Pandolfo non appartenesse ad alcun casato romano di rilievo; ma piuttosto che egli fosse un esponente del nuovo ceto dirigente romano, in forte evoluzione nel corso della seconda metà del XII secolo e nella prima parte del Duecento. L’appellativo de Subura, de Suburra, de Segura, che accompagnava il suo nome derivava dalla omonima area cittadina nella quale egli risiedeva (e dove presumibilmente era nato), ovvero un settore del rione Monti (antica Suburra), e più precisamente nell’area denominata Magnanapoli. È stato comunque ipotizzato (Dykmans, 1975, p. 24) che Pandolfo fosse legato da vincoli di parentela con la famiglia di Innocenzo III, i Conti; in ogni caso egli appare comunque più volte tra i testimoni di alcuni importati atti riguardanti il casato dei Conti, e un atto rogato nel novembre 1228 nella residenza del cardinale prete del titolo di S. Maria in Trastevere, Stefano Conti, indica certamente un suo rapporto diretto con il porporato, nipote del defunto pontefice Innocenzo III.
Per il rilievo sociale e politico che aveva assunto, Pandolfo poteva fregiarsi dei titoli di nobilis vir e di proconsul Romanorum.
È stato ipotizzato (Vendettini, 1782, p. 199; Pompili Olivieri, 1840, p. 205, e altri in seguito, tra i quali Gregorovius, 1941, p. 41, e Brezzi, 1947, p. 394), che Pandolfo a cavallo tra il 1199 e il 1200 ricoprì la carica di senatore di Roma, e come tale fu al comando dell’esercito romano nella seconda guerra contro Viterbo, ma la circostanza è tutt’altro che dimostrabile (Bartoloni, 1946, p. 58, n. 1).
Sicuro risulta, invece, che nel complesso periodo in cui alla guida del Comune capitolino si alternarono ancora per qualche tempo il tradizionale senatorato collegiale composto da cinquantasei membri e la carica di senatore unico, Pandolfo ricoprì tale incarico almeno tra l’aprile e il novembre del 1203. Stando al racconto dei Gesta del pontefice Innocenzo III, durante il suo mandato senatoriale Pandolfo prese durissimi provvedimenti nei confronti dei filii Ursi, nipoti del defunto pontefice Celestino III, abbattendo una loro torre urbana, dopo averli accusati di essere perturbatori della pace cittadina.
Tra il 7 aprile e il 3 maggio del 1203 fu convocato in Campidoglio il Parlamento, presieduto dallo stesso Pandolfo, e in tale occasione Oddone di Poli e la sua famiglia concessero al popolo romano la proprietà di quei possedimenti che tempo addietro avevano dato in pegno a Riccardo Conti, fratello del pontefice Innocenzo III; l’operato di Oddone scatenò un grave conflitto tra le fazioni cittadine; Pandolfo venne assediato in Campidoglio e iniziarono scontri durissimi nelle strade della città, con epicentro tra la basilica di S. Giovanni e il Colosseo, che videro tra i protagonisti proprio Pandolfo, schierato tra i fautori del papa, contrapposti alla fazione capeggiata da Giovanni Capocci.
Il dettagliato racconto di quegli scontri offerto dal testo della biografia di Innocenzo III indica con chiarezza che Pandolfo era uomo avvezzo all’uso delle armi e con spiccate attitudini di comando. In previsione di un possibile assalto al suo caposaldo nel rione Monti, Pandolfo procedette a munirlo di ulteriori fortificazioni provvisorie, che gli permisero di respingere un primo attacco sferratogli da Giovanni Capocci, il quale, sconfitto, fu costretto a lasciare temporaneamente Roma. Rientrato in città qualche mese dopo, Capocci sferrò un nuovo attacco alle fortificazioni di Pandolfo, riportando questa volta un pieno successo, ma di portata limitata, visto che non gli riuscì di sopraffare gli Annibaldi, suoi principali avversari.
Dopo che fu raggiunto un fragile accordo tra le parti, il pontefice, suo malgrado, acconsentì che si istituisse nuovamente il senatorato plurimo di cinquantasei membri, ma la decisione si rivelò rapidamente un fallimento e nella primavera del 1205 si tornò alla nomina di un senatore unico.
È stato sostenuto (Vendettini, 1782, p. 199, Pompili Olivieri, 1840, pp. 206 s., e altri successivamente, tra i quali Gregorovius, 1941, pp. 56 s., e Brezzi, 1947, p. 398), che il nuovo senatore fosse proprio Pandolfo della Suburra, ma l’ipotesi non è confortata da elementi certi (Bartoloni, 1946, p. 65, n. 3).
Pandolfo fece parte di quel consistente numero di cittadini romani dall’elevato profilo sociale e politico chiamati in varie città comunali dell’Italia centrale a ricoprire l’ufficio di podestà. Egli infatti fu podestà di Perugia negli anni 1209-10, 1217-18 e Viterbo nel 1223-24; purtroppo però nulla si conosce del suo operato alla guida di tali organismi comunali.
Un ultimo incarico nell’ambito della politica della sua città, Pandolfo lo ebbe nel febbraio del 1230, quando fece parte della delegazione inviata dal Comune capitolino a Perugia per chiedere al pontefice Gregorio IX di ritornare a Roma, dopo che quest’ultimo nella primavera di due anni prima si era visto costretto a lasciare la città a seguito dello scoppio di moti antipapali.
Anche Gregorio IX dovette avere in grande considerazione Pandolfo e le sue opinioni; in una lettera dell’8 aprile 1233 (Rodenberg, Epistolae, I, p. 419, n. 522) il pontefice rammenta come gli avesse richiesto un parere in merito a una delicata questione relativa all’istituzione di nuove confraternite religiose romane e ai rapporti di queste con la Romana fraternitas.
Un atto del 12 ottobre 1256 sembrerebbe indicare Pandolfo come ancora vivente, rammentando alcuni debiti che egli aveva contratto con Paolo Conti, francescano e vescovo di Tivoli, a garanzia dei quali aveva dato in pegno vari beni immobili tra i quali le proprie domus situate presso il Laterano.
Furono figli di Pandolfo certamente Matteo, il quale figura tra i testimoni di un rogito notarile del 1249, e Giacoma, badessa del convento romano dei Ss. Cosma e Damiano in Trastevere, ricordata come tale in un atto del 1276.
È incerto, invece, benché possibile, che fosse figlio di Pandolfo anche il suo omonimo Pandulfus de Subura, votato a una brillante carriera ecclesiastica, essendo stato arciprete della chiesa di S. Maria ad Martyres (Pantheon), canonico di Châlons-sur-Marne, cappellano papale, arcidiacono della Chiesa di Tripoli, canonico della basilica di S. Pietro in Vaticano, vescovo di Patti, arcivescovo di Torres, con attestazioni dal 1248 al 1304.
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