PANDOLFO DI FASANELLA
È documentato per la prima volta nel maggio 1231, quando, già feudatario di Fasanella, in provincia di Salerno, trasferisce al monastero di Cava de' Tirreni un vassallo che si è spostato con la sua famiglia da Pantoliano in un casale del monastero sul fiume Tusciano. In tale occasione si dice figlio di Guglielmo e fratello di Riccardo. Suo padre Guglielmo è documentato una sola volta in una donazione in favore di Montevergine.
Contrariamente a quanto si è sempre ritenuto, egli non è un discendente dell'antica famiglia longobarda dei Fasanella, perché questa si estinse con il connestabile Lampo di Fasanella. Costui era titolare, nel cosiddetto Catalogus Baronum, di un'ampia connestabilia che comprendeva tutto il territorio che aveva costituito il principato longobardo di Salerno al momento della conquista da parte di Roberto il Guiscardo nel 1076. Lampo, esponente della nobiltà longobarda, nell'ottobre del 1134 si diceva figlio del quondam Guaiferii comitis de Fasanella, e marito di Emma, figlia di Giovanni, figlio di Pandolfo, figlio del principe longobardo Guaimario di Salerno. Fedelissimo dei conti di Principato, partecipò nel 1155 con il suo senior, il conte Guglielmo III, alla ribellione contro re Guglielmo d'Altavilla, capeggiata dal cugino del re, il conte Roberto III di Loritello. Fu per questo motivo privato della sua carica di connestabile regio e dei suoi feudi di S. Angelo di Fasanella, Pantoliano, Castelcivita, Sicignano degli Alburni. È molto probabile che Lampo sia morto durante la ribellione, perché i suoi feudi entrarono in parte in possesso della Curia regia e in parte furono venduti a "Guillelmus de Palude".
Guglielmo de Palude e suo fratello Gisulfo erano milites di Silvestro, conte di Marsico Nuovo, già signore di Ragusa, e nipote del gran conte Ruggero d'Altavilla. Nel 1154 furono tra i sottoscrittori di un diploma del conte. Il loro cognomen toponomasticum derivava da Paludis, l'attuale Padula in provincia di Salerno. Guglielmo era già morto nel 1184, quando Tancredi, suo figlio e successore, signore di Fasanella, donò la chiesa di S. Lorenzo di Fasanella al monastero della SS. Trinità di Cava de' Tirreni.
Le vicende successive dei possessi di Tancredi de Palude sono così riassunte nel Liber Inquisitionum Caroli I: "Hec baronia [scil. de Fasanella], fuit antiquitus d. Guillelmi de Postilione [sic, corrige: Palude], qui habuit duos filios, Tancredum et Guillelmum; et dictus Tancredus habuit duas filias: Alexandram uxorem Pandulfi de Fasanella, et aliam, que fuit uxor d. Riccardi de Fasanella fratris dicti d. Pandulfi. Philippa, secundogenita [sic, corrige: filia secundogeniti Guil-lelmi] fuit maritata tempore Friderici Thomasio domino Saponarie, qui mortuus fuit, et ipsa fuit exul a Regno, et cepit in virum d. Gilbertum de Fasanella" (Capasso, 1874, p. 346).
P., dunque, acquistò i suoi possessi feudali grazie al matrimonio. Non era un esponente dell'antica nobiltà salernitana, ma un homo novus, entrato nell'entourage di Federico.
Nel 1238 fu nominato podestà di Novara. Nell'inverno 1239-1240 fu designato capitano generale della Toscana. Si trattava di un ufficio completamente nuovo, sottoposto al legato imperiale re Enzo. P. gestì la carica con grande abilità, riuscendo a sfruttare al meglio le risorse finanziarie della ricca provincia. Grazie al suo instancabile attivismo percorse la regione e impose con fermezza i tributi dovuti all'Impero. La Toscana divenne così, in breve tempo, una vera e propria provincia dell'Impero, dotata di autonome strutture politiche. P., infatti, dislocò sul territorio una fitta rete di funzionari subalterni, insigniti tutti del titolo di vicario. Contestualmente insediò un tribunale permanente, in cui operavano giudici e notai toscani, e organizzò un sistema finanziario affidato a esperti funzionari siciliani. Anche i grandi comuni di Siena, Firenze, Pisa, Lucca furono imbrigliati all'interno del nuovo sistema amministrativo creato da P., pur conservando intatta la loro libertà interna e non essendo ostacolati nella loro espansione economica. In breve tempo il nuovo capitano generale riuscì a raccogliere grandi risorse economiche per le necessità dell'Impero e a organizzare un regolare reclutamento militare.
Nei primi mesi del 1240 P. iniziò una campagna militare contro gli Aldobrandeschi. Interrottala per sostenere la lotta dei popolani senesi, capeggiati da Guido Cacciaconti, contro i magnati, la riprese nell'anno seguente con scarso successo. Nel tardo autunno del 1241 portò aiuto a Federico nell'assedio di Faenza. Nel 1242 marciò contro Perugia, che si era alleata con Roma. Nell'anno seguente aiutò Federico nell'assedio di Viterbo e nell'occupazione della contea degli Aldobrandeschi. Nel 1245 portò nuovamente le sue truppe nella Campagna Romana.
Nel volgere di pochi mesi il potere imperiale in Toscana, grazie all'azione di governo di P., si era consolidato tanto da poter imporre che l'elezione del podestà fosse subordinata al consenso del vicario imperiale. P. scelse personalità politicamente favorevoli alla causa sveva, molte volte dei regnicoli. Nel 1243 fece eleggere suo fratello Tommaso a podestà di S. Gimignano. In due occasioni, nel 1243 a Prato e l'anno seguente a Siena, si fece eleggere egli stesso podestà di questi due importanti comuni.
Nella tarda estate del 1245 P. fu affiancato da Taddeo da Sessa, grande giustiziere del Regno, per gestire una delicata situazione che si era verificata a Firenze. I due riuscirono a far concludere una pace alle fazioni in lotta e a demandare all'imperatore la scelta del nuovo podestà. Federico scelse suo figlio Federico d'Antiochia. Il nuovo podestà di Firenze, al più tardi nel dicembre dello stesso anno, sostituì P. nella carica di capitano generale in Toscana.
Perché P. fu destituito dal suo incarico? Molto probabilmente perché Federico era stato informato della sua partecipazione alla congiura che papa Innocenzo IV stava ordendo per ucciderlo (v. Capaccio [1246], congiura di). Contribuì certamente alla decisione dell'imperatore l'accusa che P. si fosse fatto corrompere. S. Gimignano, ad esempio, gli aveva regalato cinquanta libbre pro sua gratia obtinenda.
Dopo la destituzione P. soggiornò a Grosseto, presso la corte imperiale, da dove fuggì quando il conte Riccardo di Caserta rivelò all'imperatore l'esistenza di una congiura per ucciderlo.
Insieme ai fratelli si rifugiò dapprima a Corneto, poi a Roma, dove il pontefice lo accolse nella speranza che la congiura potesse avere ancora possibilità di successo. Anche se in rapporto con i nuovi legati pontifici, P. fu sorpreso dal tempestivo intervento di Federico in Campania. Rinserratosi in Capaccio fu alla fine costretto alla capitolazione. Ma non fu tra i prigionieri che si arresero e che subirono la durissima punizione dell'imperatore. Riuscì a fuggire a Roma, dove il papa lo investì dei feudi di Campagna e di Giffoni.
Fu al servizio del pontefice fino al 1254, quando, ritornato nel Regno, prese possesso dei suoi feudi. Nemico di Manfredi, fu costretto nuovamente a lasciare il Regno prima del 1258 e a fare ritorno a Roma. Legatosi fin dal 1265 a Carlo d'Angiò, fu con Ruggero Sanseverino alla battaglia di Benevento. Subito dopo la vittoria, fu nominato da Carlo giustiziere della Terra di Bari.
La biografia di P. per gli anni successivi è stata ricostruita con grande precisione, sulla base di una ricchissima documentazione e bibliografia, da Norbert Kamp (1995). È necessario, pertanto, rinviare a questo contributo, per evitare inutili ripetizioni.
P. morì probabilmente nel marzo 1283, mentre era giustiziere di Terra di Lavoro, dopo essere stato un fedelissimo di Carlo d'Angiò, al servizio del quale impiegò, anche in situazioni critiche, il suo indiscutibile talento militare e amministrativo.
Privo di eredi diretti, la sua baronia di Fasanella fu assegnata dal re a Tommaso Sanseverino. La sua unica erede indiretta, Giovanna, figlia della seconda moglie Aquilina di Genzano, conservò come dote il castello di Ricigliano.
Fonti e Bibl.: B. Capasso, Historia diplomatica Regni Siciliae inde ab anno 1250 ad annum 1266, Napoli 1874, p. 346. E. Kantorowicz, Federico II, imperatore, Milano 1976, pp. 521-522, 638-645, 660, 692, 737, 740, 743; L. Kalby, Il feudo di Sant'Angelo a Fasanella, Salerno 1991; E. Cuozzo, La nobiltà dell'Italia meridionale e gli Hohenstaufen, ivi 1995, pp. 152-154; N. Kamp, Fasanella, Matteo di, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLV, Roma 1995, pp. 194-196; Id., Fasanella, Pandolfo di, ibid., pp. 196-202; Id., Fasanella, Riccardo di, ibid., pp. 202-203; Id., Fasanella, Tommaso di, ibid., pp. 203-204.