MALATESTA (de Malatestis), Pandolfo
Figlio di Malatesta, meglio noto come Malatesta dei Sonetti di Pesaro, e di Elisabetta da Varano, nacque a Pesaro probabilmente nel 1390. Scarsamente incline alle armi, fu avviato giovanissimo alla carriera ecclesiastica e nel volgere di un decennio gli furono affidate importanti sedi vescovili.
Già nel 1407 il M. acquisì la carica di arcidiacono di Bologna, oltre a essere governatore e amministratore dell'abbazia di Pomposa. Il 13 ott. 1413 fu nominato amministratore apostolico del vescovato di Brescia; solo successivamente raggiunse tale sede, ove aveva affidato le sue funzioni a un procuratore. Prese parte tra i deputati delle nazioni, al concilio di Costanza e al conclave che l'11 nov. 1417 elesse Oddone Colonna papa Martino V. Il nuovo pontefice creò il M. vescovo di Coutances in Normandia (7 ott. 1418), ma non sappiamo se egli vi risiedette stabilmente.
L'elezione vescovile del M. rientrava in un progetto ben più ampio: deciso ad attuare una politica di accentramento dei poteri ecclesiastici anche e soprattutto sul piano territoriale, il nuovo pontefice aveva bisogno di validi e fedeli sostenitori. Per consolidare i rapporti tra il M. e il papa, che lo designò anche suo cappellano e referendario (22 marzo 1418), venne concluso il matrimonio del fratello del M. Carlo con la nipote del papa Vittoria Colonna. Anche l'unione della sorella del M., Cleofe, con Teodoro II Paleologo, despota di Morea e secondogenito dell'imperatore di Costantinopoli, Manuele II, celebrata in Grecia il 19 genn. 1421, rientrava nella strategia papale, in quanto i Paleologi erano sostenitori della riunione fra le Chiese latina e greca, tanto osteggiata in ambiente ortodosso.
Il 10 marzo 1424, il M. fu designato arcivescovo di Patrasso, città che era ancora dominio veneziano; vi risiedette nel periodo compreso tra il 1424 e il 1430. Le carte d'archivio attestano, infatti, che nel 1430 il M. tornò a Pesaro, ove governò insieme con Carlo e Galeazzo fino alla morte.
Non sono note le ragioni che spinsero il M. ad abbandonare così repentinamente la diocesi greca e a rientrare in Italia. La letteratura erudita (Clementini, Tonini) sostiene che la fuga dell'arcivescovo fu dovuta alle controversie sorte con Venezia, perché il M. non aveva adeguatamente tutelato gli interessi della Serenissima nel Peloponneso, di fronte ai successi militari dei Paleologi. Tra le motivazioni del rientro in patria si potrebbe senz'altro annoverare il compromesso e pericoloso clima politico-religioso della diocesi, ove i cattolici costituivano un'esigua minoranza, costantemente minacciati dagli ortodossi soprattutto quando nel 1430 l'intera Morea cadde in mano paleologa. Vi era, inoltre, per il M. la necessità di affiancare i fratelli nella direzione congiunta del potere pesarese che, dopo la morte del padre (1429), era divenuto facile preda di potenti vicini.
Il M., pur mantenendo sempre il titolo di archiepiscopus Patracensis, chiese subito al pontefice il riconoscimento e la tutela dei suoi diritti territoriali contro le pretese dei cugini di Rimini, ma la sua posizione fu indebolita dalla morte di Martino V (20 febbr. 1431) e dall'elezione al soglio papale del veneziano Eugenio IV (3 marzo), a lui avverso. Questi, infatti, favorì la sollevazione di Pesaro del giugno 1431, che portò alla prima cacciata dei Malatesta e a un breve periodo di dominazione pontificia (1431-33). Fu con l'aiuto di Guidantonio da Montefeltro e di Filippo Maria Visconti, duca di Milano e oppositore di Eugenio IV, che nel febbraio 1432 il M., Carlo e Galeazzo iniziarono la riconquista dei castelli del contado di Pesaro. Solo il 15 sett. 1433 si raggiunse la pace: Eugenio IV restituì Pesaro ai tre fratelli secondo un accordo che prevedeva anche la consegna temporanea, e a garanzia di certe somme depositate presso alcuni mercanti ferraresi, della rocca di Gradara nelle mani di Sigismondo Pandolfo Malatesta.
Reintegrati nei possessi marchigiani, il M., Carlo e Galeazzo cercarono di rafforzare le loro posizioni di vicari apostolici, sia appoggiandosi a Gianfrancesco Gonzaga e a Niccolò (III) d'Este, già garante della pace stipulata il 27 apr. 1435 tra il M. e i cugini di Rimini, sia perseguendo al pari del padre una politica interna volta ad affermare con estrema decisione la sovranità signorile.
A fronte di una convivenza non sempre distesa fra i tre fratelli da un lato e i signori e i sudditi pesaresi dall'altro, il M., in particolare, si impegnò per una pacificazione concreta, attuata anche mediante il recupero degli assai lacerati rapporti vicariali e beneficiali con la S. Sede; legami che, pur richiedendo come contropartita precisi obblighi politici, finanziari e personali nei confronti della Chiesa, conferivano nondimeno una certa garanzia giuridica all'auctoritas domini. Si giunse così a un accomodamento mediato dal M., pochi anni dopo il suo ritorno definitivo in Italia: egli infatti si recò personalmente più volte a supplicare presso Eugenio IV il sospirato rinnovo per sé e per i suoi fratelli del titolo congiunto di signori sulle città di Pesaro, Fossombrone e Senigallia.
A seguito di una serie di trattative diplomatiche condotte a Firenze, sotto l'egida medicea, tra il M. e il papa - rapporti tra l'altro attestati dai preziosi carteggi di Mantova e di Firenze -, il 26 sett. 1435 Eugenio IV rinnovò i vicariati malatestiani di Pesaro, Senigallia e Fossombrone, ma non riuscì a convincere il signore di Rimini alla restituzione della rocca di Gradara ai cugini. Sempre il M., nonostante le rimostranze del pontefice, ottenne nel 1435 una proroga per il pagamento degli arretrati del census annuale che i Malatesta, in quanto vicarii, avrebbero dovuto erogare alla Camera apostolica.
Il M. si prodigò, altresì, per elaborare precise linee di governo, elencate dettagliatamente in un prezioso documento (1434 circa) rinvenuto nell'Archivio Gonzaga di Mantova - dov'è conservato un carteggio autografo del M. in parte scritto in codice cifrato -, al fine di conseguire la tanto auspicata pax familiare e cittadina.
L'intento, o piuttosto il meditato "esperimento", di una politica garante della sicurezza e della stabilità interna si sarebbe attuato, secondo le intenzioni del M., ponendo innanzitutto i punti strategici del territorio signorile, che già contava sul protettorato di Guidantonio da Montefeltro, sotto il controllo militare del cognato, Gianfrancesco Gonzaga, dal momento che Venezia, alleatasi a Eugenio IV, non aveva più interesse a perorare la causa malatestiana.
Con un atto di formale traditio al marchese di Mantova fu quindi consegnata almeno per un triennio la custodia dei castelli strategici di Pesaro, Fossombrone e Montelevecchie (Belvedere Fogliense); per la difesa dei predetti fortilizi, le cui spese di presidio avrebbero continuato a gravare sulle ormai esautorate casse malatestiane, il Gonzaga, quale giudice imparziale, doveva intervenire nel caso in cui fossero sorte divergenze o discordie tra il M., Galeazzo e Carlo; a lui, inoltre, spettava per ciascuna città sottoposta al loro dominio la nomina di un depositario. Questi provvedeva a riscuotere ogni tre mesi le entrate dai capitani dei castelli comitali e a redigere il bilancio delle entrate e delle uscite, ripartendo equamente gli utili fra i tre fratelli e trattenendo ogni anno una somma per saldare i vecchi debiti con il signore di Mantova. Spettavano, invece, ai Malatesta la nomina dei castellani e la facoltà di cancellare le condanne e di incamerare le entrate pecuniarie.
Già alla fine degli anni Trenta però si stava avviando la parabola discendente dei Malatesta di Pesaro, la cui crisi fu resa più acuta dalla scomparsa, senza eredi, di Carlo (14 nov. 1438) e da una realtà militare che, pur salvaguardata dal Gonzaga, fu messa costantemente a soqquadro dalle minacce di Sigismondo Pandolfo Malatesta, già in possesso di Gradara. Tuttavia la confederazione stipulata dai tre fratelli, poco prima della morte di Carlo, e ratificata il 5 ott. 1438 con il conte Francesco Sforza, signore di vasti domini nella Marca, e con Guidantonio da Montefeltro assicurò, almeno temporaneamente, la continuità della signoria malatestiana.
Gli ultimi anni della vita del M. lo vedono impegnato su due fronti: da un lato egli - al fine di salvaguardare la sua carica arcivescovile - partecipò alle convulse vicende del concilio di Ferrara-Firenze (1438-39), in cui si sarebbero dovute tenere le trattative con i Bizantini per l'unione della Chiesa romana con quella ortodossa; dall'altro fu a capo di uno Stato alla continua ricerca di denaro e di possibili vie per scongiurare l'ormai inarrestabile crisi della signoria malatestiana. Su questa linea politica si erano probabilmente mossi i ripetuti contatti che il M. aveva avviato con gli ambienti della finanza e del potere fiorentino, in particolare con Cosimo de' Medici, ma non ne avrebbe visto gli sviluppi poiché morì a Pesaro il 21 apr. 1441.
L'eredità del M., pur oberata di debiti, si aggirava tra i 20.000 e i 25.000 ducati e si presentava complessa e difficile da gestire tra i familiari. Ne risultò erede universale la nipote Elisabetta, figlia di Galeazzo, che, dopo aver ottenuto il beneplacito della zia Paola, moglie di Gianfrancesco Gonzaga - onde evitare attriti con i potenti parenti signori di Mantova -, acquisì pieni diritti sul patrimonio del defunto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, E.XXVII.2, b. 1081, cc. 59, 61, 93, 122-124, 127-134, 137-141, 144, 145, 147-156, 159-161, 164, 166, 169, 172, 174, 177; Cronache malatestiane dei secoli XIV e XV, a cura di A.F. Massera, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XV, 2, pp. 64, 82; T. Borghi, Continuatio cronice dominorum de Malatestis, a cura di A.F. Massera, ibid., XVI, 3, pp. 85, 89 s.; C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino(, II, Rimino 1627, p. 104; A. degli Abati Olivieri Giordani, Memorie di Gradara terra del contado di Pesaro, Pesaro 1775, pp. 78, 80, 82, 85, 87; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, IV, Rimini nella signoria de' Malatesti, 1, Rimini 1880, pp. 336 s.; G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1973, pp. 282 s., 295-302; G. Bonfiglio Dosio, P. M., vescovo di Brescia, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXVIII (1974), pp. 534 s.; G. Fedalto, La Chiesa latina in Oriente, II, Hierarchia Latina Orientis, Verona 1976, p. 192; A. Carile, Pesaro nel Medioevo, in Pesaro tra Medioevo e Rinascimento, a cura di M.R. Valazzi, Venezia 1989, pp. 44 s.; A. Falcioni, P. Malatesti arcivescovo di Patrasso (1390-1441), in Bizantinistica. Riv. di studi bizantini e slavi, I (1999), pp. 73-89; Id., Le contese dei Malatesti di Pesaro e di Rimini(, in Terra di Gradara, a cura di M.L. De Nicolò, Fano 2001, pp. 13-35; Id., Il progetto dell'arcivescovo P. Malatesti(, in Pesaro città e contà, XVII (2003), pp. 57-70; Id., La "vexata quaestio" sull'eredità dell'arcivescovo P. M. dal carteggio dell'Archivio Gonzaga, in Civiltà mantovana, XXXIX (2004), pp. 53-69; Id., Cleofe Malatesti nelle fonti epistolari mantovane, in Le donne di casa Malatesti, a cura di A. Falcioni, Rimini 2005, pp. 955-968; Hierarchia catholica, I, p. 413.