Petrucci, Pandolfo
Nacque a Siena nel 1452 da un’influente famiglia dell’aristocrazia mercantile; la madre era Cristofana Bellanti, figlia di Ghino, e il padre Bartolomeo di Giacoppo, imparentato con il condottiero Antonio di Checco il Rosso. P. fu non solo uno scaltro politico (promosse l’unico progetto mai realizzato di signoria a Siena), ma anche un facoltoso imprenditore, che diede notevole impulso all’industria siderurgica e bellica della città, intrecciando affari e politica. Lo sviluppo della siderurgia comportò un incremento di altri tipi di industrie, da cui trassero profitto le famiglie imprenditoriali senesi, che di conseguenza appoggiarono Petrucci. Come tutta la sua casata, P. militava nella fazione politica del Monte dei Nove, i cosiddetti noveschi, appartenenti alle famiglie illustri per censo e anche per cultura. A causa dell’esilio del padre, trascorse gran parte dell’infanzia lontano da Siena, dove rientrò brevemente tra il 1480 e il 1482. Nel 1481 ricoprì la carica di risieduto per il Terzo di Città. Nel 1483, a causa delle lotte intestine, si ritrovò anch’egli bandito da Siena; ma il 22 luglio 1487, insieme agli altri esiliati appartenenti al Monte dei Nove, fece ritorno in città con il colpo di Stato che portò la sua fazione politica al potere. Iacopo, suo fratello maggiore, ebbe un ruolo politico rilevante all’interno della Balìa, mentre Pandolfo ebbe un incarico nei Nove di guardia, a prima vista di non particolare rilievo, ma che fu l’inizio della sua ascesa al potere, come ricorda M. nei Discorsi:
Pandolfo Petrucci tornò, con altri fuora usciti, in Siena e gli fu data la guardia della piazza con governo, come cosa mecanica e che gli altri rifiutarono; nondimanco quelli armati con il tempo gli dierono tanta riputazione che in poco tempo ne diventò principe (III vi 174).
Nel 1488 il matrimonio con Aurelia Borghesi, figlia di Niccolò, uomo politico di spicco, ne accrebbe il prestigio politico ed economico. Nel 1497 il fratello Iacopo morì e P. divenne signore di Siena, controllandone la Balìa. La politica che condusse risentì del suo temperamento pragmatico: tale impronta fu evidente sia in politica interna sia in quella estera, che fu autonoma e talvolta antitetica rispetto a quella ufficiale della Repubblica di Siena. Nei confronti di Firenze P. inaugurò una politica ambigua e spregiudicata, il cui fine ultimo era quello di arginare le pretese dell’eterna rivale e porre Siena in una posizione centrale sulla scena politica internazionale. Strumento e al contempo artefice di questa linea fu Antonio da Venafro (→), una mente sottile e acuta, che fu ministro e consigliere di P. e che M. ricorda con toni elogiativi in Principe xxii 3 (v. infra). Antonio da Venafro, inoltre, fu tra quanti sottoscrissero le capitolazioni che si ritiene P. avesse stipulato con alcune famiglie dell’oligarchia di Siena, le quali successivamente vennero ricompensate a vario titolo.
Quando nel 1494 il re di Francia Carlo VIII iniziò la sua discesa alla conquista del Regno di Napoli, l’equilibrio che si era creato a Siena a partire dal colpo di Stato del 1487 subì un duro colpo. Il re pretese il rientro dei fuoriusciti, e ciò creò forti contrasti all’interno della Balìa. Alla fine la linea più morbida e decisamente pragmatica appoggiata da P. risultò vincente: il raggruppamento degli intransigenti, capeggiati da Luzio Bellanti, risultò sconfitto. La rivalità tra P. e Bellanti si accrebbe con il secondo passaggio di Carlo VIII, tanto che Bellanti, aiutato da Firenze, nel 1495 ordì una congiura contro Petrucci. Dopo il fallimento della congiura, Bellanti si rifugiò a Firenze, ma fu assassinato per ordine di P., nel 1499.
In questo periodo P. divenne l’arbitro incontrastato della politica senese, intessendo rapporti con il ducato di Milano e divenendo il referente principale di Ludovico Sforza. Nella politica cittadina egli si batté per un rafforzamento della Balìa, in cui, di conseguenza, accrebbe la sua influenza. Consapevole del potere raggiunto, P., con un comportamento ardito fatto di corruzione di membri della Balìa e con una trattativa condotta al di fuori degli usuali canali diplomatici, nel settembre del 1498 stipulò la tregua di cinque anni con Firenze. Contro questa decisione si schierarono i Borghesi e i Bellanti, in particolar modo suo suocero Niccolò Borghesi, il quale denunciò la situazione di illegalità in cui venivano concessi gli incarichi pubblici e, per questo motivo, per volontà di P., venne assassinato nel 1500. P. riteneva, a torto in verità, di non avere più nemici all’interno della città. Egli aveva tentato una riconciliazione con i Bellanti, promettendo in sposa sua figlia Sulpizia a Giulio Bellanti. Il mancato rispetto della promessa da parte di P. mosse i Bellanti a ordire nel 1508 una congiura contro di lui, che non andò a buon fine solo per un caso fortuito. L’episodio è riportato da M. nei Discorsi (III vi 146-50) nel capitolo dedicato alle congiure, per mostrare come il principe, per non provocare le congiure, deve evitare di offendere i rivali nell’onore, soprattutto in fatto di donne: «Iulio Belanti da Siena [...], per lo sdegno che aveva contro Pandolfo che gli aveva tolto la figlia che prima gli aveva data per moglie, diliberò d’ammazzarlo» (§ 146).
Con il re di Francia, Luigi XII, P. strinse un’importante alleanza – scelta astuta ed efficace, per arginare Firenze di cui la Francia era alleata –, che gli costò 40.000 ducati (M. a Piero Soderini, 4 sett. 1502, LCSG, 2° t., p. 307), ma che si rivelò utilissima nel momento in cui P. fu messo alle strette da Cesare Borgia. Inizialmente P. si era accordato con il Valentino, ma quando si rese conto che le mire del duca si sarebbero rivolte contro Siena, organizzò una lega contro di lui. Tra il settembre e l’ottobre del 1502 si incontrarono sul Trasimeno, nel castello di Magione, per allearsi contro Cesare Borgia, Vitellozzo Vitelli, Paolo, Francesco e il cardinale Giambattista Orsini, Giampaolo Baglioni, Oliverotto Eufredducci da Fermo, Ermes Bentivoglio in rappresentanza del padre Giovanni, Antonio da Venafro in qualità di ministro di P. e i rappresentanti di Guidubaldo I da Montefeltro, duca di Urbino. La reazione del Valentino è narrata da M. nell’operetta Il modo che tenne il duca Valentino (→). P., diffidando delle offerte di pace e degli inviti del duca, riuscì a sfuggire alla sua vendetta, abbandonando Siena (28 genn. 1503) prima che vi giungessero le forze del nemico: «Sentì Perugia e Siena ancor la vampa / dell’idra e ciaschedun di quei tiranni / fuggendo innanzi alla sua furia scampa» (Decennale I, vv. 403-05). Grazie all’appoggio del re di Francia e di Firenze (che richiese però la restituzione di Montepulciano), P. poté rientrare nella sua città già nel marzo (e a quel punto rifiutò di ritirarsi da Montepulciano). Oramai da tutti riconosciuto come defensor libertatis, come colui che aveva salvato la città dai propositi del Valentino, P. continuò a tramare sia contro Firenze sia contro la Francia: strinse alleanza, contro Firenze, con l’imperatore Massimiliano d’Asburgo, da cui acquistò il titolo di conte palatino, e con papa Giulio II in funzione antifrancese. Nel 1511, su pressioni del papa, P. si accordò con i fiorentini per la restituzione di Montepulciano, mentre stringeva un’alleanza con il re di Spagna Ferdinando il Cattolico. Morì a San Quirico d’Orcia il 21 maggio 1512.
M. conobbe personalmente P.: il profilo che ne traccia nelle lettere di legazione è quello di uomo abile «nel raggiro e nella frode, sempre impegnato nei più bassi intrighi, simulatore e dissimulatore grandissimo» (Sasso 1993, p. 183). M. incontrò P. una prima volta nell’agosto del 1501; ma di questa legazione (finalizzata a sondare P., in un momento in cui la Repubblica era stretta tra la minaccia del Valentino e il riacutizzarsi della crisi con Pistoia) non rimane che la lettera di credenziali per M., del 18 agosto 1501. Una valutazione di P. si trova nella lettera dell’8 gennaio 1503: «un uomo di assai prudenzia in uno stato tenuto da lui con grande reputazione e sanza aver drento o fuora capi inimici di molta importanza, per averli o morti o riconciliati» (M. ai Dieci, 8 genn. 1503, LCSG, 2° t., p. 540). M. compì un’altra legazione a Siena il 26 aprile 1503 in vista di una lega voluta da Luigi XII, iniziativa che però non ebbe seguito. Durante la terza legazione a Siena (1505), fatta per contrastare la minaccia su Firenze di Bartolomeo d’Alviano, M. mostra al suo governo che nessun accordo può realizzarsi a causa della doppiezza di P., che si mostra amico sia di Firenze sia di Alviano. Esemplare, a tale proposito, è la missiva del 18 luglio 1505, nella quale P. viene così descritto da un interlocutore di M.:
E qui si distese in su le sue qualità, ritornando in sul credito grande che lui si aveva acquistato per tutto, e che teneva el piè sempre in mille staffe, e tenevalo in modo da poternelo trarre a sua posta (M. ai Dieci, 18 luglio 1505, LCSG, 4° t., p. 554).
La condotta di P. è dunque al contempo accorta e ambigua. Nella missiva del 21 luglio 1505 M. mostra di essere rimasto colpito da una frase di P.:
“Io ti dirò come disse el re Federigo ad uno mio mandato in uno simile quesito; e questo fu che io mi governassi dì per dì, e giudicassi le cose ora per ora, volendo meno errare; perché questi tempi sono superiori ad e’ cervelli nostri” (M. ai Dieci, 21 luglio 1505, LCSG, 4° t., p. 569).
Il tema, l’estrema difficoltà di ‘vedere discosto’ e, quindi, di dominare razionalmente i ‘tempi’, verrà ripreso da M. nei Ghiribizzi al Soderino (→) scritti l’anno seguente a Giovan Battista Soderini.
Anche nel Principe M. ricorre alla figura di P., come esempio di principe nuovo che sa acquistarsi con accortezza la fedeltà di sudditi sospetti e sa scegliersi con prudenza i ministri:
Hanno e’ principi, et praesertim quegli che sono nuovi, trovata più fede e più utilità in quelli uomini che nel principio del loro stato sono suti tenuti sospetti, che in quelli che erano nel principio confidenti. Pandolfo Petrucci, principe di Siena, reggeva lo stato suo più con quelli che gli furno sospetti che con gli altri (xx 17-18).
Non è di poca importanza a uno principe la elezione de’ ministri, e’ quali sono buoni o no, secondo la prudenza del principe. E la prima coniettura che si fa del cervello d’uno signore, è vedere li uomini che lui ha d’intorno (xxii 1-2).
P. mostrò di «essere valentissimo uomo», avendo scelto Antonio da Venafro come consigliere.
Un riferimento alla prudenza di P. è anche nelle Istorie fiorentine, dove M., nell’esporre i fatti che portarono P. e il fratello Iacopo al potere, scrive: «Presono più autorità che gli altri Pandolfo e Iacobo Petrucci; i quali, uno per prudenzia, l’altro per animo, diventarono come principi di quella città» (VIII xxxv 12); mentre il primo Decennale accenna alla sua doppiezza ai danni del signore di Piombino, Iacopo d’Appiano (vv. 305-06). Nei Discorsi (III vi 19), P. è chiamato «tiranno» di Siena, probabilmente con accezione neutra del termine.
Bibliografia: G.A. Pecci, Memorie storico-critiche della città di Siena che servono alla vita civile di Pandolfo Petrucci dal MCCCCLXXX al MDXII, 1° vol., Siena 1755; P.C. Falletti-Fossati, Principali cause della caduta della Repubblica senese: due letture fatte alla R. Accademia dei Fisiocritici, Siena 1883; L. Zdekauer, Lo Studio di Siena nel Rinascimento, Milano 1894; U.G. Mondolfo, Pandolfo Petrucci signore di Siena (14...-1512), Siena 1899; M. Ascheri, Siena nel Rinascimento. Istituzioni e sistema politico, Siena 1985; G. Sasso, Niccolò Machiavelli, 1° vol., Il pensiero politico, Bologna 1993; G. Chironi, La signoria breve di Pandolfo Petrucci, in Storia di Siena, 1° vol., Dalle origini alla fine della Repubblica, a cura di R. Barzanti, G. Catoni, M. De Gregorio, Siena 1995, pp. 395-406; C. Clough, Pandolfo Petrucci e il concetto di magnificenza, in Arte, committenza ed economia a Roma e nelle corti del Rinascimento 1420-1530, Atti del Convegno internazionale, Roma 24-27 settembre 1990, a cura di A. Esch, C.L. Frommel, Torino 1995, pp. 383-97; La Toscana al tempo di Lorenzo il Magnifico: politica, economia, cultura, arte, Convegno di studi promosso dalle Università di Firenze, Pisa e Siena 5-8 novembre 1992, 3° vol., Pisa 1996 (in partic. D. Hicks, The Sienese oligarchy and the rise of Pandolfo Petrucci, 1487-97, pp. 1051-72; G. Chironi, Nascita della Signoria e resistenze oligarchiche a Siena: l’opposizione di Niccolò Borghesi a Pandolfo Petrucci 1498-1500, pp. 1173-95; M. Borracelli, Siderurgia e imprenditori senesi nel ’400, pp. 1197-1223); M. Gattoni da Camogli, Pandolfo Petrucci e la politica estera della Repubblica di Siena (1487-1512), Siena 1997; C. Vivanti, Niccolò Machiavelli. Ritratti e rapporti diplomatici, Roma 2000; G. Giorgini, The place of the tyrant in Machiavelli’s political thought and the literary genre of the Prince, «History of political thought», 2008, 2, pp. 230-56.