PANE (fr. pain; sp. pan; ted. Brot; ingl. bread)
Prodotto alimentare, ottenuto dalla cottura di una pasta lievitata composta di farina, acqua, sale e lievito.
Cenno storico. - I monumenti figurati ci mostrano tipi di pane presso gli antichi Egiziani, di cui già Erodoto notava l'uso d'impastare con i piedi; sono pani (quasi certo, per la maggioranza del popolo, di orzo e spelta, essendo il pane di grano riservato ai ricchi) in piccole e tonde pagnotte, o in sfilatini con semi a una delle estremità, in modo che ricordano l'attuale pane viennese. Accenni di poeti e descrizioni di eruditi ed antiquarî (come Ateneo, Plinio il Vecchio, Gellio) ci informano sui tipi e le qualità del pane presso i Greci e i Romani; dalla galletta (μᾶζα) di farina d'orzo disseccata, al vero e proprio pane (ἄρτος) di farina di grano, diffusosi dapprima nella Ionia, passato poi in Grecia, e più tardi venuto a soppiantare il puls, il vecchio cibo nazionale romano. Secondo una notizia pliniana, i primi forni (pistrina) pubblici sotto il controllo degli edili furono aperti solo dopo la vittoria di Roma sulla Macedonia (168 a. C.); ma certo già prima la cottura del pane doveva essere praticata nei forni domestici delle grandi case private, di cui a Pompei si sono conservati esemplari. Il lavoro dei pistores romani, a cui erano adibiti spesso schiavi, e che nell'impero compare organizzato in corporazione, è rappresentato nei rilievi della tomba del capo pistore Eurisace, a Porta Maggiore a Roma.
Dopo la caduta dell'impero romano si tornò alla preparazione casalinga del pane. Anche a questa, però, finirono per estendersi i diritti dei signori feudali, i quali imposero l'uso del proprio molino e del proprio forno, arrivando a proibire che i dipendenti ne impiantassero per loro uso personale. Gli operai specializzati non scomparvero mai del tutto; nel Medioevo i sovrani e i signori ne tennero sempre al proprio servizio e vanno ricordati, p. es., quelli della corte papale. Quando nelle città tornò a svilupparsi l'attività economica, vi riapparvero i fornai come artigiani indipendenti e presto si raggrupparono in corporazioni. In molti casi la loro opera si limitava ancora alla cottura del pane preparato in casa dal consumatore stesso; in altri casi il cliente forniva la farina o addirittura il grano, che il fornaio portava al mugnaio. Per alcuni secoli, però, le famiglie agiate preferirono avere il forno in casa.
A partire dal Rinascimento il progresso economico si rifletté anche nella qualità del pane; prima che altrove in Italia. Nel 1600 Maria dei Medici portò al proprio seguito dei fornai italiani, i quali insegnarono ai parigini i nuovi metodi di panificazione. In seguito, il primato nella preparazione del pane di lusso passó a Vienna.
La sostituzione di macchine al lavoro a mano cominciò nell'antichità. I Romani usavano già una rudimentale impastatrice meccanica, illustrata nel monumento a Vergilio Eurisace (v. sopra) costituita da un truogolo circolare e da un agitatore collegato a un albero verticale mosso da un maneggio a cavalli. A Pompei sono state trovate impastatrici formate da vasche di pietra, a sezione circolare, nelle quali si muoveva un grosso pezzo di legno, verticale, che portava tre pezzi trasversali. Alle pareti della vasca erano fissati pioli sporgenti, destinati a contrariare il movimento. In Spagna, sotto il nome di brega, e nell'Italia meridionale sotto altri nomi (sbria, in Sicilia) per la seconda fase dell'impastamento si usava un apparecchio simile alla gramola a stanga (v. pasta alimentare), costituito da una tavola levigata e da una stanga fulcrata alla tavola stessa. In un altro modello medievale di questo apparecchio, usato anticamente in Inghilterra, la stanga era mossa indirettamente, per mezzo di un sistema articolato di due leve. Questi apparecchi servivano a completare l'impastamento, come la gramolatura della pasta; con essi si otteneva una pasta dura, non aerata.
I primi tentativi moderni di creazione d'impastatrici meccaniche datano dal 1760, quando il fornaio parigino Salignac tentò di eseguire l'impasto con una specie di erpice girante attorno a un asse verticale per l'azione di un motore animale. Ma questa macchina non ebbe fortuna, come non ne ebbero quelle del Cousin (1761), del Keferstein (1785), del Parmentier e di altri inventori, alcuni dei quali italiani. Nel 1810 un altro fornaio parigino, il Lembert, stimolato da un concorso, creò la prima impastatrice pratica. Come le precedenti e come quelle che immediatamente la seguirono (Fontaine, Noverre, Ferrand, Muchot) essa presentava l'inconveniente di far avvenire l'impasto in un ambiente chiuso, quindi poco aerato. Più tardi furono applicate con successo l'impastatrice Boland (1847), che aveva il pregio di non lacerare la pasta ma di stirarla e aerarla, la Rolland (1850) e la Deliry (1867).
L'uso di polveri di panificazione cominciò nel 1838 in seguito a proposta del Whiting, ripresa poi dal Liebig. Nel 1850 comparvero sul mercato le polveri a base di acido tartarico e nel 1856 Horsford propose quelle a base di fosfato. Nello stesso anno Dauglish studiò e presentò il tipo di pane detto aerato. Le scoperte del Pasteur (v.), attraverso la conoscenza della fermentazione alcoolica, portarono all'uso dei moderni lieviti compressi.
I continui perfezionamenti delle vecchie macchine e la creazione di nuove hanno portato oggi all'impianto di panifici completamente automatici.
La produzione del pane per la vendita a terzi è stata quasi sempre assoggettata, da parte delle autorità, a norme miranti proteggere i consumatori nei riguardi sia del prezzo, con i calmieri (v.) sia della qualità del pane. In Turchia e in Egitto si giunse a eccessi barbari: nei periodi nei quali il pane raggiungeva prezzi particolarmente elevati, si impiccarono dei fornai; chi risultava colpevole di aver venduto pane adulterato veniva inchiodato per un orecchio alla porta della sua bottega.
Nell'Europa occidentale non si giunse a tanto; ma il Manzoni, nei Promessi Sposi, mostra quali fossero, ancora nel secolo XVII, la condizione dei fornai e i sentimenti del popolo verso di loro. In Inghilterra, per la stretta sorveglianza delle autorità, l'arte del fornaio era ritenuta una di quelle nelle quali era difficile arricchire.
Questo stato di cose si modificò soltanto nel sec. XVIII, col diffondersi delle nuove idee economiche.
In Francia, nel 1773, il Tillet e il Desmarais, in un rapporto presentato all'Accademia reale delle scienze, misero in evidenza la difficoltà di calmierare il pane in base al prezzo delle farine e alle spese di fabbricazione, facendo rilevare particolarmente che la calmierazione conduceva alla confezione di un pane cattivo. Nel 1791, tuttavia, fu sancito il diritto dei comuni di stabilire provvisoriamente il calmiere sul pane e sulla carne. Napoleone I, per eliminare le fluttuazioni nel prezzo del pane, progettò l'istituzione di una "cassa di garanzia", alla quale i fornai avrebbero versato l'eccedenza di guadagno nei periodi di diminuzione del prezzo delle farine e dalla quale avrebbero prelevato nei periodi di rincaro delle farine. Tale sistema incontrò gravi difficoltà e si dovette rinunciarvi, limitandosi a calmierare il prezzo. Solo nel 1863 vennero aboliti tutti i vincoli cui i panettieri erano soggetti. In Italia nel sec. XIX la regolazione del commercio del pane seguì da vicino le sorti di quella francese.
Il controllo fu ripreso durante la guerra mondiale: quasi tutti i paesi adottarono la politica del pane a buon mercato, cioè venduto a un prezzo (prezzo politico) inferiore al costo. Questa politica, che portò a forti perdite per i bilanci statali, venne ben presto abbandonata.
Panificazione.
Il cereale più adatto alla fabbricazione del pane è il frumento (v. grano). Le farine di frumento, per acquistare le qualità più adatte a una buona panificazione, hanno bisogno di un certo riposo (stagionatura) e cioè di essere conservate, dopo la macinazione, per un certo tempo (da qualche settimana a due mesi e più) in un ambiente asciutto e sufficientemente aerato. Durante la stagionatura gli enzimi contenuti nelle cellule del chicco del grano (in maggioranza diastasi) operano la trasformazione di parte dell'amido in zuccheri, quegli stessi che serviranno più tardi, durante la lievitazione della pasta da pane, per essere trasformati in alcool e anidride carbonica. Le trasformazioni diastasiche della farina durante la stagionatura avvengono lentamente: esse sono tanto più rapide quanto più ricche sono le farine di enzimi e umidità. Anche la temperatura ha la sua importanza e non dovrebbe essere inferiore ai 16°.
Una farina che possiede buone qualità per la panificazione (forza della farina) non è caratterizzata soltanto da una forte percentuale di diastasi e di altri enzimi utili alla fermentazione panaria, nonché di glutine, ma soprattutto dal valore panificabile di tale glutine, ossia dalla sua capacità di ritenzione dei gas di dilatazione. È ormai accertato che tale valore non dipende da un determinato rapporto reciproco della gliadina e della glutenina (principali componenti del glutine), ma in quanto entrambi abbiano una buona forza di gonfiamento, da cui risulterebbe una grande superficie e, quindi, una grande energia superficiale e una forte attrazione reciproca.
La forza delle farine, perciò, è la risultante di diverse attitudini e cioè: forte elasticità e distensione del glutine, sufficiente quantità di glutine, proporzionata abbondanza di diastasi e di zuccheri, diastasi di buona qualità, non elevata percentuale di ceneri. La forza delle farine viene misurata con varî apparecchi, i quali però generalmente misurano solo qualcuna delle caratteristiche delle farine, non tutte: tali sono, ad esempio, l'estensimetro Brabender, il pneumodinamometro Borasio e De Rege, l'ergometro Issoglio, l'espansimetro nel vuoto (sistema Orlandi), ecc.
Lieviti e fermentazione panaria. - Il lievito ha lo scopo di provocare la fermentazione panaria, favorendo, in tal modo lo sviluppo di anidride carbonica che fa rigonfiare la pasta rendendola spugnosa e di conseguenza più idonea alla cottura.
I lieviti più comunemente usati in panificazione sono due: il lievito naturale o lievito di pasta acida e il lievito compresso.
Il primo si ottiene impastando, a una temperatura di 20°-30°, farina con acqua e rinnovando poi, per tre giorni, tale impasto con altrettanta acqua e farina dopo il riposo di una giornata. Questa pasta lievitata naturalmente si chiama anche lievito capo. Essa è ricca di microrganismi capaci di riprodursi abbondantemente e rapidamente in una nuova pasta, facendola entrare in fermentazione.
Il lievito compresso, impropriamente chiamato lievito di birra, perché un tempo si usava allo stesso scopo il lievito che si deposita al fondo dei tini di fermentazione dei mosti di birra, viene preparato da case specializzate, attraverso un lungo processo di coltura e di germinazione delle cellule di lievito selezionato, dal melasso di barbabietola, residuo della fabbricazione dello zucchero, che contiene dal 45 al 50% di saccarosio; esso è messo in commercio in pacchetti da 1/4 a 1/2 kg.
Appena immesso il lievito (compresso o ordinario) nella pasta, s'inizia la fermentazione panaria, la quale è sostanzialmente una fermentazione alcoolica, associata in misura più o meno notevole a fermentazioni acide. Questa fermentazione è prodotta dall'azione catalitica degli enzimi (zimasi) presenti nelle cellule del lievito; per effetto di tale azione gli zuccheri delle farine, provenienti dalla trasformazione dell'amido e che nel frattempo si sono sciolti nell'acqua dell'impasto, penetrando nelle cellule del lievito, si trasformano in alcool e anidride carbonica. Quest'ultima è trattenuta dal glutine umido molto elastico, formando gli alveoli, che determinano la spugnosità caratteristica dell'impasto lievitato e del pane cotto, mentre l'alcool contribuisce a dare al pane, insieme con la crosta che si caramellizza, il suo sapore.
L'acqua dell'impasto, che si aggiunge durante la lavorazione, deve essere sufficientemente calda in modo che l'impasto mantenga una temperatura sui 25-30°, la migliore per una rapida fermentazione panaria. D'altra parte, durante la fermentazione, per effetto delle numerose reazioni che avvengono in seno all'impasto si produce un aumento di temperatura che porterebbe, come conseguenza, allo sviluppo di fermentazioni dannose, di cui alcune intralciano l'azione dei lieviti, altre, come quella proteolitica (che ha l'attività massima fra i 37° e i 39°) portano all'intaccamento e alla solubilizzazione delle sostanze proteiche, compromettendo conseguentemente l'elasticità e la tenacità del glutine.
Occorre quindi procedere con cautela durante il processo della fermentazione panaria, facendo lavorare l'impasto nelle migliori condizioni di temperatura e di aerazione, incorporando cioè nell'impasto la massima quantità d'aria per creare un ambiente favorevole allo sviluppo delle cellule lievito e sfavorevole allo sviluppo delle fermentazioni nocive, che sono per la maggior parte anaerobiche.
Surrogati e ausilî del lievito alla panificazione. - Oltre ai lieviti (ordinario e selezionato) esistono in commercio delle polveri di panificazione (fr. poudres boulangères; ingl. baking powders), miscele di prodotti chimici che, impastati con la farina e l'acqua, sviluppano, in seno alla pasta, anidride carbonica. Di tali prodotti ve ne sono di numerose qualità: di essi, quelli attualmente più usati in commercio sono composti di bicarbonato di sodio mescolato a cremor tartaro, oppure a cremor tartaro e acido tartarico, a fosfati di sodio o di calcio, ad allume, ecc., e a farina oppure a fecola, queste ultime in proporzione del 10-40%. Alcune di queste polveri sviluppano anidride carbonica in due tempi, e cioè, anche durante la cottura del pane, mentre il gas formato in un primo tempo si dilata. Nell'Impero Britannico tutte queste polveri sono largamente usate nella panificazione; sul continente europeo, invece, sono preferiti i lieviti, i quali dànno un pane perfetto sia per le condizioni della mollica e della crosta, sia per il sapore al quale contribuisce la fermentazione panaria; mentre le polveri di panificazione dànno al pane un sapore particolare che non è gradito a tutti, sebbene sia appena percettibile. L'uso delle polveri è, invece, nettamente vantaggioso quando la pasta non è fatta di sola farina e acqua o latte, ma contiene ingredienti che ostacolano la fermentazione panaria: grassi, uova, spezie, zucchero in quantità superiore a una certa percentuale, ecc.; per queste ragioni esse sono largamente usate nella pasticceria. In Italia, una legge del 17 marzo 1932, n. 368 (art. 4 e 9) ne vieta l'introduzione, sia nella costituzione delle farine, sia nella preparazione del pane.
Oltre ai surrogati sono entrate nell'uso altre sostanze che, aggiunte alla pasta, servono a rendere più energica l'azione del lievito.
L'estratto di malto (v.), usato nella panificazione sotto il nome di diamalt, è un estratto ricco di diastasi che solubilizza l'amido della farina e ne saccarifica una parte formando maltodestrina, che dà al pane un sapore gradevole, serve d'alimento ai fermenti alcoolici e rammollisce il glutine. Però occorre usarlo con una certa attenzione, perché, se male usato, o con farine troppo deboli, può provocare la solubilizzazione del glutine essendo anche ricco di proteasi. Il maggiore sviluppo che prendono i fermenti alcoolici con l'aiuto dell'estratto di malto fa sì che a pari durata della fermentazione il rigonfiamento è maggiore e viene abbreviata la cottura, perché la pasta meglio lievitata e più spugnosa si cuoce meglio. L'uso dell'estratto di malto riduce, inoltre, la durata della lievitazione.
Recentemente E. Monti è riuscito a preparare del succo d'uva attivato, estratto a freddo nel vuoto, il quale oltre ad attivare la fermentazione conferisce al pane un sapore gradevole e ne aiuta la conservazione.
In certi paesi si usano anche molti sali, che contribuiscono ad alimentare i fermenti e consentono loro uno sviluppo più vigoroso analogamente a quanto avviene con gli estratti di malto: questi sali sono i fosfati acidi di calcio e magnesio, di ammonio, alcuni persolfati, percarbonati, perborati, bromati, iodati, ecc.
Un sistema che ha trovato largo uso in Gran Bretagna è quello del pane aerato, ottenuto senza l'uso di lieviti, gonfiando la pasta con insufflazione di anidride carbonica. Le impastatrici sono dei recipienti di forma sferica che possono resistere alla pressione di 20 atmosfere e dentro le quali è mandata, durante l'impasto, e sotto pressione l'anidride carbonica sciolta in acqua. I pani, infornati in forme di lamiera, gonfiano durante la cottura per la dilatazione del gas.
Impasto. - L'impasto del pane ha per fine d'idratare perfettamente tutto il glutine contenuto nella farina, di gonfiare i granelli d'amido e di ottenere infine una pasta elastica, omogenea e non attaccaticcia.
La massa di pasta deve costituire la base di una fermentazione, il cui agente è rappresentato dal lievito immesso nell'impasto, costituito, come si è visto, da cellule aerobiche, che si servono anche dell'ossigeno dell'aria per una sana e vigorosa riproduzione; perciò è necessario che l'impasto racchiuda in sé stesso la maggiore quantità possibile di aria.
Nel compiere l'impasto, la mescolanza e idratazione degli elementi deve essere compiuta il più rapidamente possibile, purché avvenga senza surriscaldamento della pasta, ciò che causerebbe il deterioramento del glutine. Però, il glutine non deve essere strappato e maltrattato, se si vuole che esso faccia da involucro alle forme senza soluzioni di continuità.
L'impasto si esegue generalmente secondo tre metodi diversi, o, meglio, secondo tre tradizioni distinte.
Impasto di lievito naturale, che parte da un pezzo di lievito capo rinfrescato in due o tre impasti successivi. I rinfreschi sono impasti aumentati da una a tre volte rispetto alla quantità precedente, lasciati opportunamente lievitare (alcune ore) prima di giungere all'operazione successiva. Di solito non viene superata la terza fase (impasto definitivo). Nel terzo impasto si mette anche il sale. Tale sistema, che è molto laborioso, per quanto dia un pane di ottima qualità, è ormai assai poco usato.
Impasto diretto: da lievito compresso. S'impasta la farina con l'acqua, col lievito e col sale in una sola volta. Tutt'al più si ripiega su sé stessa la pasta a lievitazione avanzata per rinnovare d'aria l'ambiente e rimettere a contatto fra loro le cellule del lievito. La pasta deve essere lavorata a giusto punto, prima cioè che abbiano a degenerare le fermentazioni (caratteristico odore di acido).
Impasto indiretto: da lievito compresso. Si prepara il primo impasto (biga) impastando parte della farina con parte dell'acqua e tutto il lievito compresso (da 0,8 a 2% del peso totale della farina da panificare, a seconda della stagione, forza della farina, ecc.). A lievitazione vigorosa si aggiunge il resto dell'acqua e della farina. Il sale si aggiunge sempre ultimo data la sua proprietà contrastante la fermentazione. È il sistema attualmente più in uso.
L'impasto, che una volta era compiuto a mano nelle madie, dando luogo a numerosi inconvenienti, si compie ora quasi dappertutto per mezzo delle impastatrici meccaniche. Essenzialmente quasi tutte le impastatrici meccaniche si assomigliano. Gli organi principali sono: la bacinella metallica e il braccio o le braccia di impastamento. La bacinella in alcuni tipi d'impastatrici resta ferma ma in molti altri si muove di moto rotatorio per ricambiare continuamente la pasta sotto il braccio, che si muove di moto alternativo o rotatorio. Le sagome del braccio o delle braccia d'impastamento sono diverse a seconda delle varie case costruttrici. La pasta viene tolta dalla bacinella, rovesciandola, oppure si porta via la bacinella su un carrello e si sostituisce con altra già pronta.
Nelle impastatrici ad alta velocità, usate in America, la bacinella, chiusa, resta ferma durante la lavorazione. La pasta, che per effetto della velocità di lavorazione tende a riscaldarsi eccessivamente, viene raffreddata in diversi modi: o aggiungendo l'acqua sotto forma di ghiaccio; o facendo circolare dell'acqua fredda in una camicia intorno alla bacinella o nelle braccia; oppure insufflando aria raffreddata. Quest'ultimo metodo è il migliore ed è assai spesso applicato insieme con il secondo.
Molte impastatrici di questa categoria vengono munite di uno speciale dispositivo il quale ferma automaticamente gli organi lavoranti quando la temperatura della pasta supera un certo limite.
I pani di pasta dura, tipo ferrarese, cremonese, mantovano, ecc., richiedono impasti facili perché duri; non sono necessarie per essi farine molto forti, ma sopratutto è necessario l'accorgimento tecnologico del panettiere, il quale deve preoccuparsi di rendere liscia e continua la superficie delle forme e sana e vigorosa la fermentazione. Tale pane va lievitato lentamente, perché l'effetto sia uniforme su tutta la massa, altrimenti si hanno, dopo la cottura, bolle nere, pellicole staccate alla superficie e strutture alveolari compatte e difformi.
Il pane di pasta molle (rosette, filoncini, pane francese, ecc.) richiede un impasto soffice, di farina avente un glutine plastico ed elastico; perciò la sua lievitazione non deve essere fatta troppo rapidamente e va opportunamente sorvegliata.
Spezzatura dell'impasto e formatura dei pani. - Quando l'impasto ha raggiunto il punto optimum di fermentazione, si procede alla sua divisione nelle pezzature volute, che vengono subito dopo foggiate nella forma desiderata.
La spezzatura a mano è opera di personale specializzato, il quale suddivide prima l'impasto in porzioni più maneggevoli che arrotola e allunga a guisa di filone cilindrico per poi strozzare in tante parti uguali con veloce impugnatura e strappamento dei pezzi. La regolarità del peso è ottenuta a seguito di una lunga esperienza nell'impugnare ad ogni pezzo una quantità uguale di pasta.
Tale sistema è destinato ad essere sostituito dalla macchina e già in Italia, nei centri superiori ai 10.000 abitanti, il decr. legge 29 luglio 1928, num. 1843, vieta l'apertura di nuovi forni senza impastatrice meccanica, spezzatrice, formatrice e impianto a riscaldamento indiretto; e impone tale trasformazione nei centri superiori ai 20 mila abitanti (quest'ultima disposizione è stata prorogata a tutto il 1936).
Le dividitrici automatiche della pasta da pane sono costituite da tramoggia di alimentazione dell'impasto, di capaetà variabile a seconda delle costruzioni. La capacità della tramoggia ha una influenza notevole in certe spezzatrici, sia perché assoggetta la pasta a una pressione variabile secondo il peso di pasta caricata, sia perché deve servire quale organo alimentatore continuo, non ostante le condizioni variabili di scorrevolezza o incollamento della pasta. Subito dopo la tramoggia viene l'organo misurante e spezzatore, costituito da una ruota o disco a palette ad altezza variabile contro un fondo ad altezza regolabile.
In taluni casi, e specialmente nelle macchine americane e inglesi, l'organo misurante e spezzatore è costituito da un tamburo con camere a pistoni, che si muovono nelle rispettive camere secondo l'asse del tamburo in maniera da far da parete di fondo alle camerette di misurazione da un lato, mentre dall'altro spingono i pezzi divisi fuori dal tamburo. La pasta della tramoggia è spinta contro le camerette del tamburo da altro pistone più grande.
Le migliori dividitrici automatiche hanno una certa precisione nei pesi, servono per pesi regolabili su una scala da uno a cinque circa e per quantitativi orarî pure regolabili. Tali macchine costituiscono il punto delicato della lavorazione meccanica della pasta, in quanto si pretende da esse che suddividano uniformemente una pasta che per effetto della fermentazione non è a volume costante e che operino senza danneggiare la struttura fisica e tanto delicata del glutine.
Dopo la spezzatura, i pezzi di pasta vengono formati a mano o a macchina nelle fogge più svariate. Anche la manipolazione della formatura è destinata a scomparire o almeno a ridursi notevolmente. Le formatrici automatiche hanno aspetti differenti e rispondono a soluzioni diverse secondo la forma da dare alla pasta.
Lievitazione delle forme. - Il panettiere di piccola e media importanza produttiva colloca le forme di pasta a proseguire la lievitazione su tavole rivestite di tela, che vengono, secondo la stagione, poste nella stufa attigua al forno o su scaliere collocate alle pareti del laboratorio. Le forme di pasta dopo la loro formatura impiegano da 20 a 60 minuti circa a lievitare, secondo il loro peso e formato.
Alcuni tipi di pane vengono formati in due tempi. Ad esempio le rosette con vuoto centrale ricevono la prima formatura sferica dopo la spezzatura della pasta, quindi la stampatura a pressione con uno stampo apposito a un terzo circa di lievitazione e dopo l'ulteriore riposo in posizione capovolta vengono infornate raddrizzate.
Negl'impianti automatici a ciclo continuo, la lievitazione avviene durante il trasporto delle assicelle, stampi, o altro mezzo che porti le forme per un percorso determinato, in ambiente riscaldato e umidificato (armadio con vetrata, saliscendi a catena, tappeto trasportatore, ecc.). Questi trasportatori automatici, o camere di fermentazione, dispongono di meccanismi atti a regolare la velocità o l'intermittenza di traslazione delle forme, in maniera da presentarle a giusto punto di lievitazione alle bocche del forno.
Processo di cottura. Nel forno, il pane è sottoposto a una temperatura di 200-300°, la quale non si propaga, però, al di là dei suoi strati superficiali. In questi strati dapprima una parte dell'amido si trasforma in destrina; man mano che essi assumono la temperatura del forno, le destrine si caramellizzano e una parte del rimanente amido comincia a torrefarsi. Si forma così una crosta più o meno spessa e di colore più o meno scuro. Se la superficie dei pani è stata spalmata di acqua, oppure se si fa evaporare dell'acqua dentro il forno, l'amido si trasforma in amido solubile, si ha una maggiore formazione di destrina e la crosta diventa lucida.
Nell'interno del pane la temperatura si mantiene sempre relativamente bassa (100° circa). Finché la temperatura nell'interno del pane non ha raggiunto i 50° i fermenti continuano a vivere e anzi la loro azione è più intensa; si ha una maggiore produzione di anidride carbonica e questa, riscaldandosi, si dilata; il pane si gonfia, ma più nel senso dell'altezza che in quello della larghezza, perché la parte inferiore diventa rapidamente dura e incapace di dilatarsi. Al di sopra dei 50° i fermenti muoiono, la fermentazione si arresta e l'amido in presenza dell'acqua si trasforma in salda d'amido; i granuli di amido si gonfiano e si saldano fra loro e una piccola parte di essi passa in soluzione sotto forma di destrina. Fra 50-60° la diastasi agisce energicamente, trasformando la salda d'amido in destrina e maltosio, ma a 80° anche quest'azione si arresta. Quando la temperatura arriva a 100°, l'acqua contenuta nella pasta si trasforma in vapore. La mollica una volta cotta contiene, però, quasi tanta acqua quanto prima della cottura, perché quest'acqua rimane trattenuta negli alveoli prodotti dalla fermentazione.
Forni di cottura. - La tecnica dei forni di cottura ha subito un graduale progresso soltanto negli ultimi decennî. A prescindere, infatti, dalla cottura del pane del periodo arcaico, compiuta a mezzo di pietre calde, i forni da pane conosciuti nella storia (ad es., quello scoperto a Pompei) sono eguali ai forni in muratura a riscaldamento diretto, che sino alla fine del sec. XIX costituivano l'unico tipo di forno da pane conosciuto nel mondo e che ancora oggi sono molto diffusi nei centri di campagna. Il principio è quello di accumulare il calore in una massa, la quale poi lo riverbera sulla pasta da cuocere, principio ripreso in tempi recenti dal forno ad accumulazione elettrica. Verso la fine del sec. XIX entrarono nell'uso i forni a riscaldamento indiretto, a carbone, aerotermici, a gas; recentemente si sono introdotti i forni elettrici a radiazione diretta e quelli ad accumulazione termoelettrica.
Il diagramma della temperatura richiesto per una razionale cottura del pane è il seguente: temperatura alta alla base del forno quando s'inforna e bassa quando si sforna, per ritornare alta al caricamento successivo; temperatura bassa inizialmente al cielo del forno e più alta a fine cottura per permettere dapprima il massimo sviluppo delle forme senza formazione rapida della crosta (involucro contrastante lo sviluppo) e poi la caramellizzazione delle sostanze zuccherine, che deve avvenire nell'ultima fase di cottura. Allo scopo, quindi, di ottenere nell'interno dei forni una certa elasticità termica, la tecnica costruttiva si è negli ultimi anni rivolta a diminuire il volano termico, alleggerendo le masse murarie dei forni o sostituendole addirittura con un sistema costruttivo metallico, come nei forni elettrici a radiazione diretta. L'elasticità termica che in tal modo si ottiene permette inoltre di passare indifferentemente da un tipo di pane a un altro e può essere utile per correggere inconvenienti d'impasto o di lievitazione (passata o deficiente lievitazione).
Secondo il sistema di riscaldamento i forni da pane moderni si possono dividere in f0rni a combustibile e forni elettrici. I primi, a loro volta, in forni a riscaldamento diretto e forni a riscaldamento indiretto; i secondi in forni a radiazione diretta e forni ad accumulazione termoelettrica.
Il forno a riscaldamento diretto e intermittente è, come abbiamo visto, il più antico e tende a scomparire. Quelli di tipo più vecchio consistono in camere di mattoni con suola inclinata dal fondo verso la bocca, vòlta a cupola col camino dalla parte anteriore della vòlta, comunicante solo con la bocca. Altri hanno un camino che comunica con la camera di cottura per mezzo di finestre praticate nella vòlta, richiamando le fiamme; in tal modo nei diversi punti della camera di cottura si ha una temperatura più uniforme. Il combustibile adoperato è la legna (generalmente fascine). In alcuni forni più moderni il tiraggio è regolato con valvole e il forno è munito di tubazioni d'immissione del vapore, per la produzione dei pani viennesi. Altri forni sono riscaldati con gas od olio pesante; un becco tipo Bunsen proietta nell'interno della camera di cottura, dalla bocca, la fiamma, e l'aria necessaria alla combustione si fa giungere sotto pressione per ottenere un dardo così lungo da raggiungere il fondo della camera. Il tipo di forno a riscaldamento diretto presenta molti inconvenienti: forte consumo di combustibile, impossibilità di regolare la temperatura e necessità di riscaldare a ogni infornata.
I forni a riscaldamento indiretto (con sorgente di calore esterna alla camera di cottura) eliminano gl'inconvenienti della intermittenza e della irregolarità della cottura. Possono essere scaldati: con i prodotti della combustione di un focolare esterno, ad aria (forni aerotermici, a vapore, a gas, ecc.). Ve ne sono a suola fissa, a suola mobile (girevole o scorrevole), a galleria. I forni a suola girevole pemettono il caricamento delle forme a mezzo di pala più corta. I forni a suola scorrevole servono per le grandi produzioni: la suola è costituita da una larga piattaforma in lamiera, che poggia su un carrello scorrevole su rotaie: essa si estrae per il caricamento delle forme e per lo scarico dei pani cotti. Nei forni automatici a galleria la suola è divisa trasversalmente in settori, montati su catene senza fine e si muove con velocità regolabile in modo che il tempo che trascorre fra il carico e lo scarico, che avviene nella parte posteriore del forno, sia proprio quello necessario alla cottura.
La camera di cottura dei forni a riscaldamento indiretto ha diversa forma a seconda dei tipi (semicilindrica, semiellissoidica, emisferica, parallelepipeda); a volte si hanno due o più camere sovrapposte. Il focolare può essere superiore, inferiore, anteriore, posteriore, laterale alla camera di cottura.
Nei forni aerotermici una corrente d'aria circola per differenza di temperatura, in circuito chiuso, in canali che rivestono la camera di cottura, quella del fornello di combustione e lo scappamento dei gas caldi.
Nei forni con riscaldamento a vapore due fasci di tubi (tubi Perkins) contenenti una piccola quantità d'acqua distillata o acqua e glicerina, sporgono dal lato inferiore nel fornello di combustione, mentre dall'altro rivestono la platea e il cielo della camera di cottura a guisa di radiatori. Il vapore, fortemente surriscaldato, giunge nella parte superiore dei tubi ove cede il calore e torna nella parte inferiore.
Nei forni elettrici ad accumulazione termoelettrica, grandi blocchi di ghisa, che costituiscono la suola e la vòlta del forno e in cui sono annegate le resistenze elettriche, formano la massa che accumula il calore fornito dall'energia elettrica anche soltanto per alcune ore della giornata. È perciò rossibile in questi forni fruttare l'energia elettrica nelle ore in cui minore è la richiesta della rete cittadina, facendoli funzionare egualmente nei periodi di mancanza della corrente.
I forni elettrici a radiazione diretta con camere di cottura abbinate e sovrapposte, metalliche, hanno le resistenze elettriche nell'interno della camera di cottura, sopra e sotto la platea, costituita da materiale refrattario. Facendo variare l'intensità elettrica nei circuiti con la manovra di speciali commutatori, si ottiene l'immediata variazione della temperatura irradiata da ciascun radiatore: in tal modo il forno si può adattare immediatamente e indipendentemente al cielo e alla platea alle condizioni richieste per il ciclo di cottura di ogni singolo tipo d'impasto o formato di pane.
Carattere di un buon pane. - Un buon pane deve essere poroso, leggiero, di odore gradevole; deve avere la crosta sottile superiormente e più grossa e sonora alla base. La superficie deve essere di color vivo e dorato, la mollica soffice ed elastica.
L'umidità del pane, in Italia, è fissata dai regolamenti d'igiene e dalle prescrizioni della citata legge 17 marzo 1932, n. 368. L'apprezzamento d'umidità deve però essere sempre relativo al peso specifico del prodotto e alla sua spugnosità. L'umidità del pane infatti, considerata da sola, non dà un giudizio sufficiente sul valore igienico di esso, in quanto che un pane con minore umidità e di peso specifico più alto può essere meno digeribile di un pane che, pure essendo più umido, è meglio lievitato e meglio cotto.
Il peso specifico del buon pane è inferiore a 0,300; è ritenuto pessimo il pane che ha un peso specifico superiore a 0,370.
L'assimilabilità del pane e la sua digeribilità sono in dipendenza, oltre che della sua qualità, del suo coefficiente d' imbibizione, che a sua volta è in stretto rapporto con la porosità e col peso specifico.
Inoltre, a parità di peso specifico, riesce tanto più digeribile il pane che ha il maggior numero di alveoli e con la migliore o meglio uniforme distribuzione di essi.
I tipi e le forme di pane cambiano non solo da un paese a un altro, ma anche da regione a regione nello stesso paese.
In Francia il pane viene preparato specialmente in forme grosse da uno a due ehili. Il pane di peso inferiore ai gr. 700 in forma di filoncini (baguettes) è chiamato pane di lusso e quello inferiore ai 300 grammi pane "fantasia".
In Germania è di uso comune il pane fatto con farina di grano e di segala.
In Ungheria sono in uso forme grosse da 2 a 3 kg. di pane misto di farina di grano e farina di patate; è di buon sapore, ma di peso specifico piuttosto elevato.
In Italia le forme di pane sono numerosissime, tutte generalmente inferiori ai 500 gr. Sono stati fatti alcuni esperimenti per mescolare alla farina di grano la farina di riso: la percentuale massima tollerata è del 7%.
Il pane viennese è in piccole forme (da 20 a 300 gr.), di pasta molto molle e con crosta di colore e lucentezza caratteristici, ottenuti spalmando la superficie delle forme con burro sciolto e poi mantenendo nei forni una forte umidità.
Alterazioni del pane. - Il pane, dopo uscito dal forno, si dissecca lentamente ed il suo volume diminuisce, finché l'umidità non si è ridotta al 12-14% e cioè alla percentuale che normalmente si osserva sia nel grano sia nella farina. Contemporaneamente la crosta perde la sua fragilità e diventa flessibile e tenace; la mollica si disgrega e riesce più facile ridurla in briciole. In tal modo il pane diventa raffermo e duro. Però, se lo si rimette al forno, riacquista quasi completamente i caratteri originali.
Queste trasformazioni dipendono da diversi processi. Dopo lo sfornamento, parte dell'umidità della mollica passa nella crosta che è la prima a raffreddarsi. Inoltre, la mollica perde la sua untuosità e tenacità e vi si formano delle fessure, perché, secondo Doutroux, l'amilodestrina, che si forma durante la cottura e subito si scioglie nell'acqua calda, resta per qualche giorno allo stato di soluzione soprasatura, ma poi si va lentamente separando dall'acqua, mentre, secondo L. Lindet, anche l'amido fa lo stesso contraendosi. Quando si rimette il pane nel forno, amilodestrina e amido riassorbono l'acqua e quella contenuta nella crosta evapora parzialmente.
Altre e più gravi alterazioni del pane sono dovute a batterî, a muffe, ad insetti, ecc. I batterî più comuni del pane sono il Micrococcus prodigiosus che produce delle macchie rosse sulla mollica, il Bacillus violaceus, la Monilia variabilis. Nei periodi di forti calori, per lo sviluppo del Bacillus mesentericus o del Bacillus panis viscosi, il pane può trasformarsi in una massa viscosa e filamentosa di odore repugnante. Si tratta di germi che, portati dalla farina, sotto forma di spore, sono rimasti nel pane resistendo al calore della cottura.
Pane integrale. - È un pane (nero, bigio) preparato con farina non abburattata. Conosciuto e usato già al tempo dei Greci e dei Romani, esso ha sempre avuto attraverso i secoli numerosi fautori, che ne hanno patrocinato l'uso mettendone in rilievo la sua ricchezza in proteine e fosfati.
È ormai infatti accertato che gli strati periferici (strato aleuronico) e la gemma (embrione) del chicco di frumento, che vengono scartati nella macinazione ed entrano nella crusca, sono i più ricchi di elementi nutritivi; ma è anche certo che, accanto a questi, esistono nella crusca altri elementi dannosi a una buona panificazione e cioè la cellulosa che rende poco digeribile il pane e inoltre sostanze grasse e certi enzimi che perturbano la fermentazione panaria, compromettono la conservazione delle farine e alterano le qualità del glutine.
Molti sperimentatori moderni hanno proposto di fabbricare il pane nero col grano decorticato (pane senza farina) e con opportuna miscela di segala (sistema Steinmetz, pane di Merano, ecc.). Altri hanno proposto la fabbricazione del pane integrale macinando le cariossidi allo stato di germinazione iniziale (pane Fruges del dottor Perico). Tale sistema è stato recentemente perfezionato dal Wurth, il quale assicura che esponendo gli strati aleuronici all'influenza dei raggi ultravioletti, dopo che il grano ha iniziato la germinazione, le cellule vengono dischiuse durante il processo panificatorio, tanto che all'analisi tale pane integrale presenta un contenuto di estratto solubile (fosforo organico) assai superiore a quello contenuto nel pane integrale comune.
Altro sistema (Rivoche) è quello di fare il pane direttamente da grano decorticato germinato, macinato a umido e scoppiato all'autoclave. Tale metodo chiede di essere perfezionato, perché lo scoppio per depressione all'uscita dell'autoclave altera le proprietà fisiche del glutine.
Il sistema Monti dà un pane leggiero ma più costoso, la disintegrazione del cruschello avvenendo a parte con acido lattico e mosto d'uva attivato. Il cruschello essiccato e finemente macinato viene poi introdotto nell'impasto. Il metodo di macinare finemente il cruschello è ottimo in quanto che la struttura lamellare della cellulosa cruscale ha un'importanza enorme sulla digeribilità della stessa.
Attualmente è in esperimento nei laboratorî della mensa del Ministero dell'aeronautica il processo Orlandi, che scinde l'operazione di disintegrazione delle cellule aleuroniche per via biochimica da quella di fermentazione dell'impasto. Dal grano decorticato viene separato il campo aleuronico, che viene ridotto a polvere minutissima e fatto fermentare in vaso chiuso in presenza di una piccola percentuale di farina di grano germinato. La fermentazione del cruschello assume un'acidità sufficiente a predisporre l'apertura delle cellule senza nuocere al glutine della farina aggiunta nell'impasto definitivo assieme ad una piccola percentuale di lievito. È eliminato così l'inconveniente principale della riduzione del glutine in proteine più solubili (globulina) che si ha con l'adoperare nell'impasto grano germinato e macinato a umido, mentre l'aggiunta di una lieve percentuale di farina stabilizzata, di grano germinato, migliora le condizioni di fermentazione, come l'aggiunta di piccolissime dosi di sali catalitici.
Panifici meccanici. - In alcune grandi città d'Europa e in America funzionano panifici completamente automatici, nei quali il trasporto, sia della farina sia della pasta in corso di lavorazione, si compie per mezzo di trasportatori meccanici oppure per gravità. Si preferiscono i fabbricati a diversi piani per affidare quanto più è possibile questi trasporti alla gravità.
La farina dai magazzini di stagionatura passa nei buratti; dopo stacciata viene pesata con bilance automatiche e passa nelle mescolatrici, poi nelle impastatrici, nelle quali viene immessa di volta in volta la quantità di acqua necessaria. Quest'acqua è riscaldata e mantenuta alla temperatura voluta in apparecchi regolati da termostati. La pasta, dopo essere stata per un poco in riposo - talvolta nelle bacinelle di riserva d'impastatrici a bacinella mobile - passa nelle spezzatrici e da queste nelle formatrici. I pani così ottenuti vengono disposti sugli elementi mobili delle stufe di lievitatura definitiva che li scaricano già lievitati; poi vengono infornati, generalmente con dispositivi semiautomatici, in forni continui, dei quali predominano due tipi: quello a galleria, dove il pane entra da una porta per uscire cotto da quella opposta, trasportato da tappeto senza fine a cingoli di materiale refrattario collegati a catene metalliche, e quello a bilancieri, dove il pane, dopo aver percorso due gallerie (la superiore e l'inferiore), viene a scaricarsi cotto nel punto di carico o da una porta laterale ad esso. All'uscita dai forni i pani sono presi da un trasportatore a nastro che corre dentro una camera di raffreddamento, nella quale vengono portati lentamente alla temperatura ordinaria. Infine, vengono versati nelle ceste ed inviati agli spacci di vendita; in certi casi vengono anche incartati a macchina.
Le varie operazioni di un panificio automatico sono controllate e registrate meccanicamente e la velocità delle singole macchine è predeterminata in modo da ottenere, durante le ore di lavoro, una produzione continua di pani pronti per la vendita.
In Inghilterra e negli Stati Uniti l'automaticità nella panificazione data da molto tempo. Negli Stati Uniti a tutto il 1927 figuravano, tra grandi e medî, 18.129 impianti automatici. In Francia e in Italia il problema è apparso più difficile sia per le diverse qualità di pane, sia per le esigenze maggiori della clientela abituata a mangiare pane fresco nelle forme e qualità più svariate. Ciò nonostante sono già molte le istallazioni automatiche di panificazione in Italia, maggiore fra tutte quella elettroautomatica della Alleanza cooperativa torinese.
Pane Militare.
Gli studî per definire un tipo di pane e un particolare modo di panificazione per i militari sono di data relativamente recente. Solo nell'esercito sardo e poi in quello francese si comincia a parlare di pane militare (detto anche pane di munizione); così, mentre Napoleone III incarica il chimico Poggiale di ricercare una formula per un migliore prodotto, negli stati del re di Sardegna si adotta il pane proposto dal chimico Abbene, che, tanto per i caratteri fisici quanto per la composizione, poteva ritenersi ottimo. Le ricerche s'intensificarono presto anche presso gli eserciti degli altri stati: Belgio, Olanda, granducato di Baden, Prussia, Austria, ecc.
In generale il pane militare è in forme di grosse pagnotte di color bigio. Nei forni militari per 99 kg. di farina si ricavano 150 kg. di pane. Specificatamente per quanto ha riguardo al pane militare dell'esercito italiano, bisogna citare la sostanziale modifica apportata alla razione pane nel 1914, la quale fu costituita da una sola pagnotta, mentre prima si preparavano grosse pagnotte di due razioni ciascuna; e la razione del dopoguerra, confezionata in due pagnotte di mezza razione. Quest'ultima modificazione, se comporta un sensibile aggravio al bilancio dello stato, ha conseguito il beneficio di ridurre al minimo la mollica in rapporto alla crosta, questa essendo più digeribile, più gradita e di un valore alimentare notevolmente superiore.
Il pane confezionato negli stabilmenti territoriali di sussistenza ha la crosta dura, compatta e croccante; la mollica è soffice e molto porosa. Per la preparazione del pane militare si procede a mano od a macchina. Normalmente il pane non dev'essere consumato prima che siano trascorse sedici ore dalla sfornata, né distribuito alla truppa dopo le trentasei ore. Durante la guerra tali norme vennero estese anche alla popolazione civile. Comunque, il pane ben confezionato e conservato in locali adatti ha la durata di 5 0 6 giorni. In Francia si fabbricano pani che possono essere conservati per oltre un mese; pesano un chilogrammo e hanno superficie liscia. La loro cottura è alquanto protratta oltre il normale. Appena sfornati vengono incartati con carta speciale e rimessi nuovamente nel forno per un quarto d'ora.
In Italia, la razione giornaliera di pane è di 700 grammi. Ai militari riconosciuti bisognevoli di maggiore nutrimento e ai reparti destinati a vivere in zone di montagna viene concesso il "supplemento pane". Il pane può essere sostituito dalla galletta (v.), più facile a trasportarsi (minor volume e peso) e suscettibile di assai più lunga conservazione.
In guerra la confezione del pane si fa con i forni campali. Nella confezione del pane per le truppe mobilitate si usa unicamente la farina di grano; la miscela di grani diversi (largamente praticata nella fabbricazione del pane del tempo di pace) è un'operazione troppo delicata e difficile per essere attuata presso gli stabilimenti avanzati di guerra. I forni campali vengono impiantati solo nel caso che non sia possibile sfruttare quelli già esistenti in muratura o di circostanza, da costruirsi preferibilmente sotto tettoie. Quando la panificazione avviene in prima linea, vengono assegnate ai corpi d'armata le "sezioni panettieri" con forni rotabili. Le sezioni panettieri si distinguono in: Sezioni con forni Weiss, composte di 25 forni (ciascuno di questi può infornare 18-20 volte ogni 24 ore), il personale e i mezzi per l'amministrazione e la panificazione (10 carri-forni per ogni divisione, 5 carri-forni per le truppe di corpo d'armata); sezioni con forni carreggiati (mod. 1907), che possono attivare ciascuna 24 forni; sezioni con forni someggiati, con 48 forni per sezione, di 13 fornate.
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