Pane
Il pane, alimento ottenuto dalla cottura nel forno di una pasta lievitata preparata con farina di frumento o di altri cereali, acqua e, generalmente, sale, è uno dei cibi il cui uso è documentato, in forma più o meno simile a quella odierna, fin dai tempi antichi. Come elemento fondamentale della dieta, nella cultura del mondo occidentale ha assunto in ogni epoca una notevole valenza simbolica.
Il pane e l'arte di produrlo hanno origini assai remote. L'importanza di questo alimento come base della dieta ne ha fatto il cibo per eccellenza, e anche il simbolo più rappresentativo del 'dono divino' reso alimento grazie al lavoro dell'uomo. Veniva impiegato tradizionalmente, in molte culture, come offerta rituale alla divinità e come dono tra gli uomini, e inoltre come merce di scambio. Nella tradizione cristiana, sotto forma di ostia consacrata, è la materia stessa, insieme al vino, del sacramento dell'eucaristia, e contiene la presenza reale di Cristo, costituendo contemporaneamente nutrimento materiale e cibo spirituale, vero apportatore di vita. Il primo rudimentale sistema per produrre pane fu senz'altro quello di macinare il frumento tra due pietre, mescolando poi con acqua la farina risultante e mettendo l'impasto a seccare al sole. Nel Neolitico, il processo di panificazione fu perfezionato riscaldando le pietre che servivano da supporto all'impasto e quindi coprendo lo stesso con ceneri roventi. Il prodotto di questi sistemi primitivi era un pane azzimo, ovvero non lievitato; infatti, solo in epoca successiva, intorno al 2500 a.C., fu appresa l'arte della preparazione del pane lievitato.
La tradizione vuole che ciò sia avvenuto in Egitto, in conseguenza di un'inondazione del Nilo, quando le acque bagnarono della farina conservata sulle rive del fiume; questa divenne così un impasto che, a causa delle adatte condizioni di temperatura, di umidità dell'ambiente e dell'inseminazione microbica naturale, si trasformò in terreno di coltura di microrganismi i quali, moltiplicandosi, ne alterarono l'aspetto, rigonfiandolo. Per non sprecare questa farina andata a male, si pensò di recuperarla mescolandola con altra; nacque dunque, casualmente, la lievitazione con lievito naturale, o lievito di pasta acida. Il pane così ottenuto risultò più gustoso, digeribile e conservabile del pane azzimo usato fino a quel momento, e la tecnica divenne via via più diffusa.
In Grecia la lievitazione naturale degli impasti panari veniva effettuata aggiungendo succo d'uva, e il pane ottenuto in questo modo rappresentava una ricercatezza che veniva consumata durante le feste più importanti. Anche presso i galli il pane lievitato era molto diffuso, grazie all'abitudine all'uso dell'orzo fermentato e quindi della birra. La farina infatti veniva impastata con birra chiara o scura, e ben presto si scoprì che quanto più la birra si presentava torbida tanto più la pasta gonfiava. A Roma l'arte della produzione del pane si impose precocemente, all'inizio soprattutto come preparazione casalinga, andando a sostituire la primitiva maza, la focaccia di farina non lievitata. L'arte della panificazione venne affidata in un secondo momento agli immigrati greci che avevano una tradizione molto più consolidata alle spalle e che finirono per costituire una vera e propria corporazione, in cui il mestiere veniva tramandato di padre in figlio.
Con il crollo dell'Impero Romano e il dominio delle popolazioni del Nord, poco dedite all'agricoltura, le tecniche di produzione del pane subirono un arretramento. Tra il Medioevo e il Rinascimento l'industria panaria riprese tuttavia vigore. Appaiono in quest'epoca anche i primi prodotti di pasticceria (v. dolci) e le prime sofisticazioni della farina con allume di rocca, tanto che la presenza di questa sostanza nei locali di una panetteria era sufficiente per far condannare il panificatore alla frusta e alla gogna. Nel 17° secolo, con l'introduzione del lievito di birra, esplose in Francia una disputa: furono i fornai italiani, al seguito di Maria de' Medici, a portare questa consuetudine, diffondendo l'uso del pane della regina, in piccole forme, lievitato con lievito di birra, in contrapposizione al pane di campagna, fatto con lievito madre in grandi forme per il popolo. La controversia riguardante l'impiego dei due tipi di pane assunse toni accesi e ampie dimensioni, tanto che il re convocò i medici di sua fiducia per stabilire se il lievito di birra fosse nocivo; quattro medici si dichiararono ostili al nuovo, affermando che il lievito di birra non solo non era né necessario né utile per fare il pane, ma, considerato tanto in sé quanto nei suoi effetti, era anche dannoso alla salute e pregiudizievole al corpo umano: affermazione smentita però dal fatto che il re, Maria de' Medici e i grandi della corte consumavano unicamente questo tipo di pane senza alcuna conseguenza.
Ancora nel Seicento il lievito, di qualsiasi origine fosse, non era impiegato comunemente dai panificatori. Al contrario, nella tradizione casalinga contadina esisteva la consuetudine di trasmettere un pezzo di pasta da famiglia a famiglia. Poiché il pane prodotto con questo metodo poteva essere conservato a lungo, anche per 7-10 giorni, ogni famiglia programmava la panificazione con un certo anticipo, sicura di poter ricevere il lievito madre al momento giusto, così come lo aveva in precedenza fornito a chi ne aveva bisogno. I presupposti della panificazione dei giorni nostri si sono creati solo in tempi più recenti, durante la rivoluzione industriale tra il 18° e il 19° secolo, grazie alle scoperte scientifiche verificatesi in quest'epoca. La prima tappa di tale processo fu la scoperta nel 1728, a opera dell'italiano I.B. Beccari, del glutine, complesso proteico che si forma con l'idratazione delle proteine del frumento e ha un ruolo fondamentale nella ritenzione dei gas prodotti durante la lievitazione e quindi nella caratteristica struttura del prodotto finito. Nel 19° secolo i progressi della genetica avviarono l'agronomia alla selezione di nuove varietà di frumento. L'americano C. Hall McCormick, intorno al 1830, introdusse la meccanizzazione dell'agricoltura, con la costruzione di una prima mietitrice. Per quanto riguarda il processo di panificazione, le principali fasi dello sviluppo furono poi l'introduzione dei mulini a cilindri, delle impastatrici meccaniche, dei forni elettrici e del lievito industriale.
Il pane è ricco in special modo di carboidrati, presenti soprattutto sotto forma di amido, e pertanto, insieme alla pasta, può essere considerato la maggiore e più economica fonte di energia alimentare. In esso sono contenute anche altre sostanze di notevole valore nutrizionale, quali proteine, ferro e alcune vitamine come la tiamina (vitamina B₁). Le proteine del pane, contenute nella misura di circa il 9%, consentono, con l'ingestione di 100 g di alimento, di coprire oltre il 10% del fabbisogno di questo nutriente. Inoltre, il pane non contiene lipidi, fatta esclusione per quello di tipo speciale, in cui possono essere impiegati come ingredienti strutto o altri grassi. Per quanto riguarda la fibra alimentare, rappresentata da un gruppo di sostanze che sembrano avere notevole importanza nel favorire la funzionalità intestinale e nel prevenire alcune malattie quali colite, calcolosi biliare ecc., la sua presenza nel pane è condizionata dal grado di raffinazione della farina impiegata. La fibra, che si trova nella parte esterna della cariosside del frumento, viene infatti eliminata in gran parte con la crusca e solo l'uso di farine ad alto tasso di estrazione permette la presenza di quantità nutrizionalmente significative di fibra nel pane. Per avere un congruo apporto di fibra alimentare è necessario quindi consumare pane prodotto con farina integrale o con farine poco raffinate.
Alla produzione del pane contribuiscono diversi fattori: per quanto riguarda gli ingredienti, è da sottolineare l'importanza della qualità e del tipo di farina e di lievito, oltre che delle caratteristiche dell'acqua e del sale. Inoltre, numerose e differenziate tra loro sono le tecniche di panificazione attualmente usate. Dal punto di vista tecnologico, le fasi più importanti del processo di panificazione sono rappresentate da impastamento, riposo, lievitazione e cottura. L'impastamento viene ormai eseguito generalmente a macchina, mettendo nelle impastatrici farina, acqua, sale, lievito ed eventuali altri ingredienti. Il tempo di lavorazione dipende dalla qualità della farina e dal tipo di impastatrice. Durante questo processo, le frazioni proteiche, gliadina e glutenina, a contatto con l'acqua formano il glutine, il cui sviluppo dipende sia dal tempo di impastamento sia dalla durata del successivo riposo dell'impasto stesso. Contemporaneamente inizia la produzione di anidride carbonica, in conseguenza del processo di fermentazione. In tutto il processo è fondamentale che lo sviluppo del glutine avvenga simultaneamente alla produzione di anidride carbonica. Durante la fase di riposo, gli impasti devono essere nuovamente lavorati, a intervalli di tempo più o meno lunghi a seconda del tipo di farina utilizzato, al fine di eliminare l'anidride carbonica e permettere un arricchimento in aria, che esplica un effetto favorevole per la fermentazione. Il processo di lievitazione ha due funzioni, quella di favorire la maturazione dell'impasto e quella di produrre gas, in modo da conferire all'impasto stesso e quindi al pane una struttura soffice e porosa. Nella fase iniziale la fermentazione è lenta, in quanto si ha la moltiplicazione del lievito; successivamente si ha una maggiore produzione di anidride carbonica, che raggiunge il suo massimo tra le 2 e le 4 ore dall'inizio del processo.
Alla tecnica di impastamento diretto, che prevede il miscelamento iniziale di tutti i componenti, si contrappongono sistemi indiretti, di cui i principali sono il metodo con impasto-lievito e il metodo con lievito naturale. Nel primo, conosciuto anche con il nome di metodo Poolisch, il ciclo di panificazione si compone di due stadi, l'uno relativo alla preparazione di un impasto-lievito e l'altro riguardante l'impasto da infornare: la fase preparatoria ha lo scopo di ottenere una rapida moltiplicazione dei lieviti e quindi un elevato potere lievitante, senza provocare un eccessivo decadimento delle caratteristiche meccaniche dell'impasto; nella seconda fase viene aggiunta la quantità di farina e di acqua complementare. Solo più tardi si addiziona il sale che, se aggiunto prima, avrebbe un effetto frenante sulla fermentazione. L'impasto finale viene poi sottoposto a una seconda lievitazione, della durata di circa 1 ora, e quindi tagliato. Il metodo con il lievito naturale (lievito di pasta) impiega, invece, lievito di pane (lievito capo, o lievito seme) prelevato dall'impasto fatto il giorno precedente, opportunamente fermentato e conservato in ambiente fresco. Questo impasto è una coltura di microrganismi, principalmente saccaromiceti, ma anche batteri lattici, la cui produzione di acido lattico favorisce l'attività fermentativa dei saccaromiceti e di altri batteri, produttori di acido acetico, responsabile, quest'ultimo, dell'aroma del pane. La giusta quantità di lievito di pane viene impastata con successive aggiunte di farina e di acqua (primo lievito) e l'impasto viene lasciato fermentare (5-6 ore), quindi viene di nuovo impastato con aggiunta di altra farina e acqua (secondo lievito). Dopo una successiva fermentazione e aggiunta di farina, acqua e sale, si ottiene l'impasto finale.
Oltre che dalla quantità di lievito, l'attività fermentativa dipende anche dalla temperatura, poiché più bassa è la temperatura di lievitazione, maggiore deve essere la durata del processo e viceversa. Temperature al di sopra di 28 °C vengono usate per fermentazioni brevi, di mezz'ora o 1 ora. I tempi di fermentazione vanno dalle 2 alle 4 ore con temperature di 25-27 °C; a temperature di 23-25 °C, i tempi sono ancora più lunghi. Allorché gli impasti, convenientemente modellati, hanno raggiunto la maturità di fermentazione, in un tempo che può oscillare dai 15 ai 30 min, a seconda del tipo di pane, di farina impiegata e di consistenza dell'impasto, si può iniziare la cottura, con l'operazione di infornatura; questa può avvenire con la pala o sistemi meccanici, per mezzo di telai. La maggior parte dei tipi di pane deve essere cotta con il vapore, al fine di mantenere integra la pellicola formatasi sulla superficie delle forme durante la lievitazione e di evitare una cottura prematura della crosta. Ciò consente anche di ottenere una bella forma e di aumentare per quanto possibile il volume. La durata della cottura e la temperatura del forno, che oscilla tra 200 °C e 275 °C, variano a seconda della pezzatura e del tipo di pane. In pratica, nell'interno della forma non si superano mai i 98 °C: solo per pezzature di 2 kg si possono raggiungere anche i 100 °C, a causa della maggior durata del processo di cottura. Temperature superiori ai 100 °C si raggiungono invece sulla superficie, anche se non si devono superare i 130-140 °C. Durante la cottura avvengono trasformazioni di tipo fisico, chimico e biologico, in funzione della temperatura crescente cui l'impasto viene sottoposto; queste modificazioni consentono di ottenere un prodotto commestibile, dalle eccellenti caratteristiche organolettiche e nutritive.
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