NUVOLONE, Panfilo
NUVOLONE, Panfilo. – Figlio di Michele, nacque tra il 1578 e il 1581 verosimilmente a Cremona.
Pur in assenza di attestazioni d’archivio, tutto concorre infatti a riconoscere la sua città di origine in Cremona, luogo che indica costantemente come propria patria nelle firme dei suoi dipinti. La notizia della nascita cremonese è del resto ribadita da tutte le fonti sei e settecentesche, che a più riprese sottolineano anche le nobili origini della famiglia: una circostanza che non trova però alcun concreto riscontro.
Secondo Bresciani (1665, ed. 1976, p. 48), la sua formazione avvenne nella città lombarda presso «uno de’ Campi». Arisi (inizi XVIII sec., c. 138), Orlandi ([1704], 1753) e Zaist (1774, p. 72) individuano invece il primo maestro nel concittadino Giovan Battista Trotti, detto il Malosso.
Considerato che i più longevi tra i pittori cremonesi con quel cognome, Bernardino e Vincenzo Campi, scomparvero già nel 1591, l’indicazione di Bresciani risulta poco verosimile. Decisamente più praticabile appare in ogni caso l’eventualità di un discepolato presso il Malosso, anche se la definizione di queste precoci esperienze di Nuvolone si deve tuttora scontrare con la mancanza di opere riferibili ai suoi primi anni cremonesi, tra le quali la più significativa dovette essere la decorazione ad affresco del coro della distrutta chiesa di S. Nicolò, databile con ogni probabilità prima del 1600 e ricordata dalle fonti locali come cruciale momento di affermazione dell’artista nella propria città natale.
Di fatto, piuttosto labili si rivelano i debiti nei confronti del Malosso individuabili nelle prime opere sicure, da riconoscere nella Crocefissione con i ss. Rocco e Sebastiano, firmata e datata 1603, comparsa sul mercato antiquario nel 1984 e successivamente donata alla parrocchia di Villasanta (nei pressi di Monza), e nella pala con la Beata Vergine dei miracoli di San Celso e ss. Nicola da Bari e Costanzo da Perugia, firmata e datata 1607, della chiesa di S. Giovanni Evangelista a Canonica d’Adda, che anche in questo caso non può essere però riconosciuta come sua sede originaria.
Entrambe contraddistinte da un impianto severo, di esplicita ispirazione controriformata, le tele si caratterizzano per un linguaggio stentato e attardato, che specie nel caso della Crocefissione, pervasa da un accademismo affine a quello di Giovanni Ambrogio Figino, si fonda sul riutilizzo di modelli centroitaliani di pieno Cinquecento, recepiti con ogni probabilità per il tramite di traduzioni incisorie. Ne consegue la difficoltà di confermare a Nuvolone la pala con le Ss. Cecilia, Agnese, Maddalena e Caterina d’Alessandria della chiesa di S. Maria Annunziata a San Secondo Parmense, che le vicende di committenza permettono di datare con sicurezza al 1609. Concordemente riferita al pittore nella letteratura recente, sulla scorta anche della notizia infondata che il dipinto sia firmato, l’opera rileva infatti una cultura schiettamente malossesca che non trova riscontro nelle prove all’incirca coeve di Nuvolone, comprese quelle di poco successive.
Sia Arisi (inizi XVIII sec.) sia Zaist (1774) riferiscono che Panfilo, successivamente al discepolato presso il Malosso e alla perduta impresa di S. Nicolò, si trasferì stabilmente a Milano. In assenza di certezze in merito alla data esatta di questo passaggio decisivo, non si può escludere che avvenne già a monte delle due opere del 1603 e del 1607, tanto più che un indizio in tal senso è fornito dal soggetto del dipinto oggi a Canonica d’Adda, che chiama in causa il culto tipicamente milanese e borromaico della Beata Vergine di San Celso. L’approdo nel capoluogo lombardo avvenne comunque prima del 1608-09, anni entro i quali si colloca la nascita, avvenuta a Milano, del figlio Carlo Francesco. Poco più tardi il radicamento nella città è ribadito da uno stato d’anime del 1610, che registra la presenza presso la parrocchia di S. Calimero del suo nucleo famigliare, composto dalla moglie Isabella ventenne e da tre figli (Besta, 1933, pp. 458 ss.).
In coincidenza con questi fatti le informazioni sulla carriera del Nuvolone aumentano significativamente, consentendo di percepire la solida affermazione conquistata nella Milano di Federico Borromeo, documentata per esempio dalla commissione della perduta pala con il Transito di s. Diego d’Alcalà, un tempo nella chiesa di S. Maria del Giardino, che i documenti permettono di collocare tra il 1609 e il 1611.
Pressoché coincidente è l’avvio della più significativa impresa pittorica, tra quelle superstiti, di Nuvolone, da riconoscere nella decorazione della cappella Sansoni della chiesa francescana di S. Angelo, sempre a Milano, commissionata nel 1610. Per il sacello realizzò la pala d’altare con la Madonna in gloria e ss. Michele Arcangelo e Girolamo, e un articolato ciclo di tele e di affreschi dedicato a illustrare le Storie di Sansone: una singolare scelta tematica evidentemente suggerita dal nome della famiglia committente.
Complice anche il crollo della volta dell’ambiente, avvenuto nel 1611, i lavori procedettero a rilento e vennero conclusi solo nel 1617: riguardo alla loro scansione temporale l’unica certezza è fornita da un disegno (Milano, Biblioteca Ambrosiana) relativo proprio al progetto decorativo della volta, corredato da un’iscrizione coeva che data quella parte della decorazione al 1614.
Rispetto alle prove incerte del primo decennio del secolo, il ciclo di S. Angelo rivela uno stile decisamente più maturo, aggiornato sulle prerogative della contemporanea pittura milanese, la cui eco si avverte nella concitazione drammatica che anima la grande tela con Sansone che uccide i filistei, collocata su una delle parete laterali della cappella e segnata dalla retorica teatrale di Giulio Cesare Procaccini e del Morazzone.
Analoghe propensioni si colgono in una tavola, firmata e datata nel 1613, recentemente ritrovata presso il Musée des Beaux Arts di Quimper e da leggersi in stretto rapporto con il ciclo della cappella Sansoni, come indicano anche il suoi contenuti iconografici: il dipinto rappresenta infatti Sansone accecato dai filistei e replica il tema rappresentato da Nuvolone in una delle due lunette al culmine delle pareti laterali della cappella.
È di un certo interesse il fatto che, nel contratto del 1610 relativo alla cappella in S. Angelo, si stabilì che fra i periti ai quali sarebbe stato chiesto un parere circa il lavoro fatto non si poteva convocare alcun membro della famiglia Procaccini, in quanto «esso Panfilo gli sarà per sospetto» (Berra, 2002, p. 74). Piuttosto elusivo, l’accenno sembra indicare che l’eventuale presenza tra i periti di un Procaccini avrebbe insospettito i committenti, evidentemente consapevoli dei rapporti privilegiati tra Nuvolone e gli artisti di origine bolognese.
Si avrebbe così una conferma, sul fronte delle concrete relazioni biografiche, del ruolo sempre più influente giocato nei successivi sviluppi dello stile dell’artista cremonese dai modelli procaccineschi e in particolare da quelli di Camillo Procaccini, il cui eloquio sciolto e misurato divenne un vero e proprio riferimento normativo per Nuvolone. Già avvertibile nella pala d’altare della cappella Sansoni, questo orientamento si coglie con maggiore chiarezza nella grande lunetta con l’Annuncio del transito alla Vergine commissionata a Panfilo sul finire del 1614 dalla confraternita del Rosario della chiesa di S. Domenico a Cremona e ora nella locale Pinacoteca.
Destinata a ornare la grande cappella della congregazione, la tela si distingue per un arioso ritmo compositivo e un rigoroso controllo formale che derivano infatti dalla pittura di Camillo Procaccini, alla quale rimanda in ugual misura la nuova intonazione aggraziata del repertorio tipologico delle figure.
Considerazioni analoghe possono valere anche per l’impegnativo ciclo di affreschi realizzato da Panfilo nell’abside della chiesa di S. Maria della Passione a Milano, culminante nell’Incoronazione della Vergine dipinta nel catino absidale e fedelmente ispirata alle composte declinazioni del tema offerte negli anni precedenti dal maggiore dei Procaccini. In assenza di supporti documentari, il prestigioso intervento in S. Maria della Passione è ascrivibile alla seconda metà del secondo decennio: una datazione che trova supporto anche nella pala con l’Incoronazione della Vergine realizzata per la Kapuzinerkirche di Schwyz, nella Svizzera centrale, sulla quale si leggono la firma del pittore e la data 1620.
Nella zona celeste la pala elvetica replica infatti con poche varianti la scena affrescata da Nuvolone nell’abside della chiesa milanese, lasciando intendere anche la predisposizione dell’artista, in questi anni di considerevole successo, a replicare le proprie invenzioni.
Precede di poco la pala di Schwyz la convocazione di Panfilo nella chiesa dei Ss. Domenico e Lazzaro di Milano, per la quale eseguì due quadroni dedicati alle Storie di Lazzaro e del ricco Epulone, andati perduti con la soppressione della chiesa, ma sui cui tempi di esecuzione fanno luce le tracce documentarie, che parlano di un’impresa commissionata nel 1618 e saldata nel 1621, e la testimonianza delle guide milanesi che segnalano come una delle opere fosse firmata e datata 1618.
Suggellato dalla segnalazione in termini elogiativi dell’artista all’interno del famoso excursus sui pittori milanesi del tempo redatto nel 1619 da Girolamo Borsieri, il secondo decennio del secolo va senz’altro annoverato come il frangente più felice e intenso dell’intera carriera dell’artista, che già a partire dagli anni Venti del Seicento imboccò una parabola discendente sul piano delle sperimentazioni stilistiche non meno che su quello delle occasione professionali.
Le opere certamente riferibili a questo momento, come la decorazione della cappella di S. Stefano all’interno della chiesa eponima di Appiano Gentile o la pala con la Madonna col Bambino in gloria e i ss. Antonio abate e Vittore della chiesa di S. Eustorgio a Milano, entrambe riferibili al 1624, segnano infatti l’assestarsi della pittura di Panfilo su un registro ripetitivo di atteggiamenti e schemi compositivi, sempre ispirati ai prototipi di Camillo Procaccini. Caratteristiche in fondo non dissimili sono presenti nell’ultimo capitolo significativo dell’attività di Nuvolone sul fronte della pittura religiosa, da riconoscere nelle opere realizzate per la chiesa dei Ss. Bartolomeo e Martino a Casalpusterlengo sullo scorcio del medesimo decennio. Il nucleo è innanzitutto composto dalla pala con la Madonna del Rosario e s. Domenico, coronata dai Misteri del Rosario, e dalla tela con immagini di Angeli che incornicia un affresco quattrocentesco raffigurante la Madonna col Bambino, all’interno della cappella della Madonna delle Grazie. Entrambi databili, sulla scorta di indizi documentari, agli anni 1628-29, questi dipinti sono da ritenersi all’incirca coevi alla pala con il Martirio di s. Pietro martire conservata nella medesima chiesa, la cui originaria destinazione per quell’edificio, messa in dubbio negli ultimi studi, è in realtà suffragata da un inventario della chiesa casalese redatto nel 1722, che già registra la presenza dell’opera.
Una conferma in questo senso è fornita anche dallo stile del dipinto, del tutto collimante con quello delle due tele appena ricordate, similmente alle quali il Martirio di s. Pietro martire si caratterizza per l’insinuarsi di una stesura appena più addolcita e di un intenerimento sentimentale che troveranno più convinto accoglimento nella pala dedicata a S. Giuseppe realizzata nel 1631 su committenza di Giovan Pietro Affaitati per l’oratorio eponimo di Grumello Cremonese. Non è da escludere che questo timido avanzamento stilistico del pittore abbia trovato uno stimolo anche nelle suggestioni fornite dalle prove d’esordio del figlio Carlo Francesco, allora ventenne o poco più, la cui calda vena espressiva sembra riverberarsi anche nel bella paletta con S. Sebastiano oggi nella chiesa di S. Maria della Pietà a Cremona e appartenente alle collezioni del locale ospedale, da restituire a Panfilo in prossimità dei primi anni Trenta del Seicento. Del resto che la rapida affermazione di Carlo Francesco avesse coinvolto in prima persona anche il padre lo ribadisce la pala con l’Assunta e santi della chiesa di S. Francesco a Pontremoli, realizzata poco dopo il 1633, nella quale è stata giustamente riconosciuta la collaborazione tra i due esponenti della famiglia Nuvolone.
Se quest’opera segna il termine dell’attività nota nel campo della pittura religiosa, un più esteso sviluppo cronologico ebbe un altro versante della produzione di Nuvolone, da riconoscere nelle ripetute imprese decorative, tutte perdute, eseguite all’interno di palazzo ducale a Milano.
Commissionati dai governatori spagnoli della città, questi interventi presero avvio nel 1625-26, con alcuni lavori per la volta del salone del palazzo, cui fecero seguito opere di carattere minore, che dal 1631 al 1643 videro Panfilo convocato tre volte per dipingere le armi di altrettanti governatori appena nominati, e quindi con la realizzazione nel 1647, sempre per palazzo ducale, del Ritratto del governatore Bernardino Fernandez de Velasco e di un altro personaggio. Sulla poco esplorata attività ritrattistica del Nuvolone al momento getta qualche luce solo il Ritratto di Giovan Battista Bonetti, già presso Finarte a Milano, successivo al 1633 e riconducibile al pittore in virtù dell’iscrizione leggibile sulla lettera tenuta dall’effigiato.
Ben maggiore attenzione merita tuttavia un’ulteriore versante dell’attività di Panfilo, vale a dire la sua specializzazione come pittore di nature morte, documentata dal ristretto ma qualificato nucleo di opere che gli studi degli ultimi decenni hanno affiancato ai due unici esemplari sicuri dell’artista, le due tavole con Alzata metallica e frutta, firmate e datate rispettivamente 1617 e 1620 (entrambe in collezione privata), rese note a suo tempo da Giuseppe De Logu (1931, p. 163; 1962, pp. 28, 163).
Contraddistinte da un impianto compositivo essenziale e rigorosamente simmetrico, le nature morte di Panfilo si pongono, accanto a quelle di Fede Galizia, tra le espressioni più felici, nell’Italia settentrionale dell’inizio del Seicento, di quel nuovo genere artistico. Un primato che trova ragione nell’utilizzo di una stesura preziosa e smaltata, capace di creare impeccabili effetti illusionistici e di garantire alle invenzioni dell’artista un immediato successo collezionistico, documentato dalla precoce attestazione di nature morte di Panfilo nella raccolta dei duchi di Savoia a Torino (1635) e in quella dell’arcivescovo Cesare Monti a Milano (1638).
Morì a Milano il 27 ottobre 1651.
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