PANNOCCHIESCHI d'ELCI, Angelo Maria
PANNOCCHIESCHI d’ELCI, Angelo Maria. – Angelo Maria Giuseppe Ambrogio, conte d’Elci, nacque a Firenze il 7 dicembre 1754, dal marchese Ludovico, patrizio senese, e dalla marchesa Lucrezia di Angelo Niccolini.
Ricevette un’educazione domestica, da due precettori sacerdoti, Antonio Arrigoni per i primi studi e Angelo Sgrilli per un corso di filosofia di due anni, intorno al 1772. Verso il 1780 prese lezioni di francese e inglese, e nel maggio di quell’anno vestì l’abito di cavaliere gerosolimitano; nel 1782 andò a Malta per fare le ‘carovane’ dell’Ordine, di cui però non giurò mai i voti.
Nel 1783 visitò per la prima volta Parigi, Vienna, Praga e Berlino, ancora Parigi nel 1788 e poi Londra, dove rimase alcuni mesi, seguendo le tappe classiche del viaggio erudito settecentesco. Fino a 35 anni visse nella Toscana di Pietro Leopoldo, il cui dispotismo illuminato garantiva un elevato livello culturale, sebbene caratterizzato da una certa stagnazione. Nel 1777 entrò in Arcadia con il nome di Antimaco Tespiense e si cimentò con il genere tragico. Compose la Narzane regina di Persia e il Manlio Torquato (Firenze 1777); la prima fu rappresentata con successo dalla compagnia di Pietro Ferrari nel teatro di S. Maria, a Firenze. Le due tragedie furono recensite nelle Novelle letterarie dello stesso anno e annotate anche nelle Efemeridi di Giuseppe Pelli Bencivenni (Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Nuovi Acquisti, 1050.II.V, c. 800v) con un giudizio fondamentalmente positivo, che però si ribaltò dopo la stampa. Alla débacle contribuì il parere sfavorevole di Vittorio Alfieri nel 1783, quando il conte d’Elci già cominciava a far circolare manoscritta la sua seconda fatica poetica, le Satire.
La contesa segnò la carriera letteraria del conte d’Elci rimasto celebre più per la rivalità con il grande astigiano che per i suoi versi. Ma nei salotti fiorentini riuscì a coltivare anche amicizie. Nel 1738 collaborò con i residenti inglesi al The Florence Miscellany, una raccolta di testi in rima stampata per stabilire rapporti più solidi con il paese che li ospitava. I due sonetti con cui partecipò (pp. 123 s.) meritarono il ringraziamento particolare di Nicholas Guglielmo Parsons, che lo elogiò come un novello Giovenale, paragone di cui non si liberò più per tutta la vita. Effettivamente, lo spirito sarcastico gli era congeniale e si manifestò con costanza nella sua produzione poetica.
Nel maggio 1789 era a Milano, dove rimase per sette anni, legato a Costanza Brusati dei marchesi di Settala, vedova dal 1785 del marchese Giacomo Fagnani e madre della Antonietta cantata da Foscolo. La situazione economica non florida di Pannocchieschi, oltre alla fama di spregiudicatezza che circondava la nobildonna, non favorirono inizialmente la relazione. Superate le difficoltà, nella primavera del 1796 si prospettarono le nozze, ma a seguito dell’arrivo delle truppe francesi Pannocchieschi, di sentimenti conservatori al limite del reazionario, il 7 marzo lasciò la città e la compagna per fare ritorno a Firenze, portando con sé il figlio della marchesa, Federico, per evitargli l’arruolamento.
Durante il soggiorno milanese, oltre a proseguire la lunga e sofferta composizione delle Satire, si dedicò in particolare alla raccolta di edizioni principi di autori classici, già intrapresa negli anni precedenti. Nel 1792 la raccolta doveva essere già quasi completa, tanto che la poté proporre in dono al governo toscano, scegliendo come sede la allora Imperiale e Reale Biblioteca Mediceo Laurenziana, di cui conosceva il prefetto, Angelo Maria Bandini, con il quale mantenne sempre ottimi rapporti. Tra la fine del 1790 e l’inizio del 1791 fu accolto nell’Accademia senese dei Rozzi (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Z.201 sup., n. 235, lettera di Pietro Sarti a Pannocchieschi, Siena, 20 dicembre 1790).
Dopo il rientro a Firenze divenne socio urbano dell’Accademia della Colombaria (13 maggio 1798), con il nome di Spigolante. Nel 1798 Costanza lo raggiunse per riprendere con sé il figlio e confermò il progetto di sposarsi alla fine della guerra. Ma il conflitto ricominciò quando Pannocchieschi si era già trasferito a Vienna, nel dicembre dello stesso anno, con il priore Lorenzo Corsini. In quella città si stabilì fino alla morte, allontanandosene per recarsi, tra il 1803 e il 1805, in Olanda e nella Germania meridionale, e poi in Italia e a Firenze, soprattutto dopo il 1814. Durante un incontro a Padova con la Fagnani, nel 1804, progettarono le nozze per l’anno seguente, a Firenze, ma il 24 gennaio 1805 Costanza morì. Pannocchieschi, su richiesta del figlio, la commemorò nell’Epicedium in Constantiam Fagnianiam (Brescia 1805).
Nel 1809 sposò a Vienna la contessa Marianna Zizendorf vedova Thurn-Valsassina. Il matrimonio, tuttavia, per motivi finanziari legati alla funzione di tutrice e amministratrice del patrimonio Thurn della contessa, non fu reso pubblico prima del 1815 (Modena, Biblioteca Estense universitaria, Autografoteca Campori, c. 28r, lettera di Pannocchieschi a ignoto, Firenze, 27 dicembre 1815) e, da allora, il numero 1071 di Krugerstrasse divenne la residenza definitiva di Pannocchieschi, dal 17 novembre dello stesso anno registrato anche come ciambellano dell’imperatore d’Austria.
La sua raccolta di edizioni principi degli autori latini e greci, stampati nel primo secolo della tipografia, estesa nel corso degli anni anche a quelle «in qualunque secolo siano state fatte, purché prime» (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, D’Elci, 1, c. 194r, lettera a Battini, Vienna, 2 giugno 1802), era nel frattempo cresciuta.
Basata su un’approfondita conoscenza di bibliografia antiquaria e su una eccellente cultura classica, sostenuta da una prodigiosa memoria, la collezione fu costituita non con l’intento del filologo, bensì con la dedizione del bibliofilo. Al corrente degli inventari e dei cataloghi più noti e dell’andamento del mercato librario, Pannocchieschi si destreggiava con abilità utilizzando i suoi numerosi doppi per scambi con i privati e con le biblioteche delle corporazioni religiose esistenti nel Granducato di Toscana, dopo un rescritto di Ferdinando III a suo favore nel 1793, o con quelle dei conventi soppressi da Napoleone (1808). Ciò non gli impedì tuttavia di pubblicare l’edizione critica della Pharsalia di Lucano (Vienna 1811), tratta da codici ed edizioni viennesi.
Alla lontana proposta del 1792 di donazione della raccolta alla Laurenziana, l’atto formale fece seguito solo il 15 luglio 1818. Per accogliere la collezione fu costruito un locale, addossato al fianco occidentale della Biblioteca; nel luglio del 1816 il progetto fu affidato dal granduca Ferdinando III all’architetto Pasquale Poccianti a spese dell’Erario. Depositate in via transitoria al numero 15 di borgo Albizi, negli appartamenti del senatore Giovanni Alessandri, le casse con i libri arrivate da Vienna vi restarono fino all’inaugurazione della Rotonda d’Elci, avvenuta solo il 15 settembre 1841.
Il Catalogo de’ libri donati dal Conte Angiolo Maria d’Elci alla Imperiale e Reale Biblioteca Mediceo-Laurenziana, da lui preparato ma mai completato, fu dato alle stampe a Firenze nel 1826 da Giovanni Grazzini, a cui erano rimasti in consegna i libri nel palazzo Alessandri, che pubblicò un semplice indice dei 1199 pezzi (oggi 1221).
Nel 1817 ebbe luogo a Firenze la sospirata pubblicazione delle dodici Satire in ottave che procurarono all’autore la patente di commendatore dell’Ordine di S. Giuseppe, sebbene all’opera non mancassero critiche severe. Esaurita la prima tiratura, si parlò anche di una seconda edizione con note, richieste dall’editore Guglielmo Piatti, forse per ovviare all’oscurità di un testo venuto alla luce a troppi anni dalla sua origine, ma il progetto andò in porto solo postumo, probabilmente a causa della proverbiale lentezza e dei continui ripensamenti dell’autore (Firenze 1827; preceduta da notizie biografiche a cura di G.G. De Rossi, Napoli 1827; poi a cura di G.B. Niccolini, in Raccolta dei poeti satirici italiani, Torino 1853, pp. 497-607).
Nell’aprile 1819 il conte d’Elci, tramite l’amico Alessandri, concorse con le Satire al premio annuo di mille scudi bandito dalla Crusca per la migliore opera italiana: arrivò primo, ma non gli fu tributata la vittoria, per cui gli fu consegnata solo la metà del premio. In realtà la valutazione era stata onesta e riecheggiava quella di autorevoli contemporanei, primo fra tutti Ugo Foscolo, che non gli negavano la purezza della lingua, lo stile vibrato, la soffusa arguzia, ma non potevano esimersi dal rilevare l’imitazione pedissequa di Giovenale, l’assenza di ispirazione, l’oscurità della costruzione e, soprattutto, la mancanza di genio, perché «né per letture, o per dottrina, o speculazioni o consuetudini di mondo, il Genio s’acquista mai» (Foscolo, 1956, pp. 292 s.).
Anche i 600 Epigrammi, divisi in sei libri, risentono delle stesse caratteristiche. Sono la rielaborazione delle prove giovanili (36 Epigrammes echapees [sic] du portefeuille de deux amis erano stati tirati anonimi a Firenze nel 1783 in sei esemplari, di cui una copia a Firenze, Biblioteca nazionale centrale, De Gubernatis, B.3.115). Venuto a capo del lungo lavoro di rielaborazione il 21 febbraio 1823, Pannochieschi non riuscì a dare alle stampe l’opera, benché l’autografo conservato in Laurenziana (D’Elci, 22) appaia pronto per la stampa. Il suo più affettuoso biografo ed editore, il nipote Giovan Battista Niccolini, da lui ‘ammaestrato’ fin dall’adolescenza e poi sempre consultato, ne fece una selezione severa, scartandone ben 317 per motivi che andavano dal buon gusto all’opportunità sociale e politica, e li pubblicò a Firenze nel 1827.
Morì a Vienna il 20 novembre 1824 e fu sepolto dal nipote Francesco nel camposanto della città.
Oltre alle opere citate, sono a stampa, in italiano, gli Epitaffi (Firenze 1827) e le Ottave sulla morte del Redentore (ibid. 1834), già lette in Arcadia (D’Elci, 24, cc. 161r-163r); in latino In tumulum Pii VI, stampato senza indicazioni tipografiche, ma posteriore al 1799, De reditu Ferdinandi III Magni Ducis Etruriae (Firenze 1814, poi 1827, con la versione italiana a fronte dell’abate Melchiorre Missirini); un tetrastico sul ritorno di Francesco I imperatore a Vienna è nel Giornale italiano, 10 luglio 1814; restano anche un Hodoeporicon e due elegie In obitu Antonii de Turre e In obitu Mariae Santiniae (Firenze 1827). Sono inediti la versione del primo libro e circa trecento versi del secondo dell’Iliade (D’Elci, 52, cc. 1r-34r, 65r-85r, 94r-110r); la traduzione in ottave del primo degli otto libri degli Argonautica di Valerio Flacco, eseguita per esercizio e inviata a Niccolini (ibid., 24, c. 195r); traduzioni dell’Olympia e Pythia di Pindaro (ibid., 52, cc. 113r-150r) e del De sublimitate di Longino (ibid., 52, cc. 311r-324r), non datate, così come la versione in prosa e in sciolti dei The Pleasures of Imagination di Mark Akenside (ibid., 52, cc. 154r-216r). Le Lettere bibliografiche sono edite con note di V. Capialbi, Messina 1851.
Fonti e Bibl.: Vienna, Osterreichisches Staatsarchiv, Oberstkämmereramt, F.22, E.11; Arch. di Stato di Firenze, Acquisti e doni, 92, 4; Firenze, Biblioteca Marucelliana, B.III. 31-36, 38, 39; Biblioteca Medicea Laurenziana, D’Elci, 1, 22-24, 50-52, 91; Biblioteca nazionale centrale, Nuovi Acquisti, 1050.II.V; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Z.201 sup., nn. 1-272; Z. 202 sup., nn. 8-71; Z.203 sup., nn. 275-334bis; Novelle letterarie, 25 luglio 1777, coll. 465-470; A. Medici, Ad Angelum Delcium et Laurentium Collinium ut inchoatum «De machina aerostatica» carmen absolvant et in lucem edant, s.l. né a. (ma 1784); G. Capponi, Scritti editi e inediti, a cura di M. Tabarrini, II, Ricordi (1796-1803), Firenze 1877, pp. 3, 8; V. Alfieri, Lettere, Torino 1903, pp. 317 s.; V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, IV, Firenze 1929, p. 171; V, ibid. 1930, p. 76; U. Foscolo, Epistolario, a cura di P. Carli, V, Firenze 1956, pp. 291-293, 296 s., 302, 322 s.; L. Di Breme, Lettere, a cura di P. Camporesi, Torino 1966, pp. 171 s., 541 s. 648 s., 651 s.; V. Alfieri, Epistolario, a cura di L. Caretti, II, Asti 1981, pp. 110, 112; Atti dell’Accademia della Crusca. Ruolo degli accademici residenti e corrispondenti, anno 1815-1816, Firenze 1816, p. 155; G.B. Zannoni, Rapporto ed elogi, Firenze 1828, pp. 160 s.; Th.F. Dibdin, Reminiscences of a Literary Life , II, London 1836, pp. 535, 539-543; C.A. Villarosa, Notizie di alcuni Cavalieri del Sacro Ordine Gerosolimitano illustri per lettere e per belle arti, Napoli 1841, pp. 140-144; G. Brunet, Correspondances bibliographiques du Comte d’Elci relatives à quelques livres précieux imprimés au XVe siècle, in Bulletin du bibliophile, XII (1855-56), pp. 269-277, 400-411; V. Alfieri, Il Misogallo, le Satire e gli Epigrammi editi e inediti, a cura di R. Renier, Firenze 1884, pp. LXXI-LXXIII; Due grandi bibliofili emuli ed amici: Lord Spencer e Angelo d’Elci, in Rivista delle biblioteche e degli archivi, n.s., I (1923), pp. 91-94; G. Natali, Il Settecento, II, Milano 1929, pp. 693 s., 764 s.; U. Cossuto, Gli incunaboli ebraici della collezione delciana della R. biblioteca Mediceo-Laurenziana, in Rivista israelitica, V (1908), pp. 219-226; R. Zagaria, Le satire e gli epigrammi di A. M. d’Elci, in La Favilla, XXVIII (1909), pp. 69-77, 144-164; C. Frati, Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari e bibliofili italiani dal sec. XIV al XIX, Firenze 1933, pp. 192 s.; C.A. Vianello, Pagine di vita settecentesca con scritti e documenti inediti, Milano 1935, pp. 187-210; V. Alfieri, Rime, a cura di F. Maggini, Asti 1954, p. 181; G. Avanzi, Appunti bibliografici sul bibliofilo Angelo Maria d’Elci nel centenario della nascita (1754-1954), in Corriere librario, IX (1954), pp. 137 s., 151, 153 s., 163 s.; Mostra di «edizioni principi» della collezione d’Elci, Firenze 1954; M. Parenti, Aggiunte al Dizionario… del Frati, I, Firenze 1967, pp. 16, 19; A.M. Giorgetti-Vichi, Gli Arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon, Roma 1977, p. 23; E. Bogani, Vittorio Alfieri e Angiolo d’Elci amici e rivali, in Annali alfieriani, IV (1985), pp. 89-127; La collezione di Angelo Maria d’Elci (catal.), a cura di A. Dillon Bussi et al., Firenze 1989; I.G. Rao, Per la biografia di Angelo Maria d’Elci, in Archivio storico italiano, II (1991), pp. 375-449; L. Bigliazzi, In margine alla collezione delciana: le «edizioni extravaganti», in Rara volumina, VII (2000), pp. 5-18; Id., Ad uso e decoro pubblico della mia patria Firenze: storia di una donazione. La collezione di A.M. d’Elci e la Biblioteca Medicea Laurenziana, ibid., XIV (2007), pp. 63-72; E. Baldasseroni, I Pannocchieschi d’Elci in età moderna: le origini, le ammissioni al patriziato senese, il contributo all’Ordine di Santo Stefano ed i personaggi illustri, tesi di dottorato, Università di Pisa, 13 maggio 2008, http://etd.adm.unipi.it/theses/ available/etd-04072008-143031/.