panslavismo
Termine che denota un complesso eterogeneo di posizioni ideologiche e politiche il cui fulcro unificante consiste nell’affermazione dell’esistenza di una comune identità nazionale dei popoli slavi. Le istanze del p. cominciarono a manifestarsi nella prima metà dell’Ottocento all’interno dell’impero asburgico tra le élite intellettuali slave permeate degli ideali nazionali diffusisi in Europa con la Rivoluzione francese e la cultura romantica. Protagonisti della creazione di una coscienza nazionale panslava furono, con i loro studi storiografici, etnografici e linguistico-filologici, il boemo Josef Dobrovský (1753-1829) e gli slovacchi Pavol Josef Šafařík (1795-1861) e Jan Kollár (1793-1852), autore della fortunata opera poetico-patriottica Slávy Dcera («La figlia di Slava»), nostalgicamente volta a idealizzare il passato delle genti slave. Nell’effervescenza rivoluzionaria e nazionalistica del 1848 il movimento panslavista organizzò a Praga il primo Congresso dei popoli slavi. Sotto la presidenza del patriota ceco František Palacký (1798-1876) i 340 delegati – provenienti dall’Ucraina, dalla Polonia, dai Balcani e, in massima parte, dalla Boemia e dalla Slovacchia – approvarono un Manifesto che rivendicava i pari diritti di tutte le nazioni europee, senza però riuscire a elaborare un comune programma di azione politica. Nella seconda metà del 19° sec. il macro-nazionalismo panslavo cedette sotto il peso delle rivalità nazionalistiche tra i diversi popoli slavi. La progressiva disgregazione dell’impero ottomano portò alla nascita di due Stati-nazione, la Serbia e la Bulgaria, nella cui congenita conflittualità naufragò ogni progetto di solidarietà politica tra gli slavi della Penisola Balcanica. Contrasti non meno aspri dividevano gli slavi dell’Europa nordorientale, dove i polacchi – che con il poeta Adam Mickiewicz (1798-1855) avevano contribuito ad alimentare gli ideali emancipatori del p. – pativano le ingerenze imperialistiche degli zar. In Russia le teorie panslavistiche ebbero un’elaborazione ideologica e una coloritura politica del tutto peculiari, dietro cui si scorge il risalente retaggio culturale del mito di Mosca come «terza Roma» e dentro cui si ritrovano i motivi religiosi e antioccidentali dello slavofilismo romantico, incentrato sulla narrazione dell’eccezionalità storica della Russia e della sua missione di civiltà in difesa dell’ortodossia della fede cristiana. Rappresentative di queste tendenze – nel cui orizzonte la Polonia finiva per essere considerata come una «roccaforte dell’Occidente e un’eterna traditrice dei suoi fratelli» (Tjutčev, 1848) – sono le opere storiografiche, filosofiche e poetiche di Alexei Chomjakov (1804-1860), Konstantin Sergeevich Aksakov (1817-1860) e Mikhail Pogodin (1800-1875), il quale, a partire dal 1861, diresse le attività del Moscow Slavic benevolent committee, la prima organizzazione panslava sorta in Russia. Nel 1867 il Committee organizzò un importante Congresso panslavo che vide la partecipazione di molti ospiti stranieri e suscitò l’attenzione dell’opinione pubblica russa, tanto che negli anni successivi il movimento panslavo coinvolse nuovi e numerosi aderenti, giungendo a insediarsi anche a San Pietroburgo, Kiev e Odessa. Disertato ostentatamente dai polacchi, il Congresso di Mosca palesò – al di là della retorica unitaria e identitaria – il diffidente disagio degli slavi occidentali per le visibili tendenze egemoniche dei russi. Nel 1869 il saggista Nicolaj Jakovlevič Danilevskij (1822-1885) diede al p. russo la sua più compiuta espressione ideologica, pubblicando l’opera Russia ed Europa. Esaltando l’autonomia della civiltà slava e dei suoi intatti valori religiosi egli attribuiva alla Russia il compito di conquistare Costantinopoli e liberare i cristiani dei Balcani. Concepiva inoltre il disegno di una Lega panslava che, sotto l’egida dello zar, avrebbe dovuto includere tutti i popoli e i territori a E della linea Stettino-Trieste. In questa versione tendenzialmente imperialistica il p. fornì la base propagandistica alla politica estera zarista, soprattutto in occasione della guerra contro i turchi (1877-78), a sostegno degli slavi dei Balcani. L’insuccesso diplomatico seguito alla vittoria militare produsse grande delusione tra i militanti del p. russo, il cui movimento declinò in maniera assai rapida, come emblematicamente attesta la dissoluzione del Committee nell’anno stesso del Congresso di Berlino (1878). Fuori dai confini dell’impero zarista il p. diede timidi segni di ripresa all’inizio del 20° sec. Due nuovi congressi, il primo a Praga, il secondo a Sofia, si tennero nel 1908 e nel 1910. Tornò in discussione allora il problema dell’ingombrante presenza della Russia nel comune destino dei popoli slavi. Fu propugnata l’unione dei polacchi e degli ucraini (gli slavi dell’Est), quella dei cechi, degli slovacchi e dei moravi (gli slavi dell’Ovest), quella dei serbi, dei croati, degli sloveni e dei dalmati (gli slavi del Sud). Soprattutto emerse l’esigenza di rafforzare la posizione degli slavi di fronte ai tedeschi e ai magiari. In Russia una reviviscenza ideologica del p. accompagnò lo scoppio della Prima guerra mondiale, ma dopo la Rivoluzione di ottobre (1917) la nuova classe politica bolscevica – paladina dell’internazionalismo socialista – screditò le posizioni dei panslavisti come reazionarie e imperialistiche. La coesione solidale dei popoli slavi tornò nell’orizzonte ideologico-politico del governo russo durante la Seconda guerra mondiale, in funzione antinazista. Nel 1941, per volontà di Stalin, si formò a Mosca un comitato panslavo che, sotto la presidenza del generale Gundorov, si dotò di un organo di propaganda (la rivista Slavjane) e organizzò una serie di congressi (a Sofia, Bratislava e Belgrado). La divisione postbellica del continente europeo, con la creazione della vasta area di egemonia sovietica e l’uscita della Iugoslavia dal Cominform, nel giugno del 1948, segnò la fine del p. staliniano.