GIUSTINIAN, Pantaleone
Figlio del patrizio Filippo signore delle isole di Ceo e Serifo, nelle Cicladi, nacque probabilmente agli inizi del XIII secolo. Fu fratello di Federico, del ramo di S. Giovanni in Bragora, al quale passò la signoria paterna. Il G. compare la prima volta nel 1229 come pievano della chiesa veneziana di S. Paterniano.
Nel 1242 divenne pievano di S. Polo e fu chiamato dal doge Giacomo Tiepolo a redigere insieme con altri patrizi veneziani (Tommaso Contarini, Giovanni Michiel, Stefano Badoer) un nuovo corpus statutario, che fosse più consono alle vigenti forme del potere e soprattutto all'esigenza d'una indiscutibile supremazia dello Stato su "tutte le forze interne potenzialmente concorrenti" e, come sottolinea ancora il Cracco, "costoro svolsero perfettamente il compito assegnato, scegliendo tra le norme esistenti le più utili e ordinandole, divise per rubriche, in 5 libri". Il doge rimase soddisfatto del lavoro compiuto e il 25 sett. 1242 i nuovi statuti furono promulgati ufficialmente.
In seguito il G. compare come pievano di Ss. Maria e Donato di Murano, in qualità di procuratore in un atto del 27 marzo 1246 e, sempre in tale ruolo, sottoscrisse un altro documento il 9 apr. 1248 (cfr. Corner, Ecclesiae Torcellanae…, pp. 66, 110).
Divenuto cappellano papale, il 15 febbr. 1253 il G. fu elevato da papa Innocenzo IV al seggio patriarcale di Costantinopoli, su richiesta del doge e del Senato veneziani, essendosi resa vacante la sede per la morte del piacentino Nicola di S. Arquato. Secondo il Fedalto, l'elezione di un veneziano alla sede patriarcale di Costantinopoli si spiega con la coscienza, da parte pontificia, sia del declino ormai inarrestabile dell'Impero latino d'Oriente, sia del ruolo che Venezia poteva ancora giocare nel suo destino: "Un veneziano, e di famiglia nobile, poteva rappresentare quantomeno la garanzia che si sarebbe fatto certamente quanto si poteva, per salvare il salvabile" (p. 280). Da questa situazione di emergenza derivò anche il conferimento, il 28 giugno 1253, dell'ufficio di legato papale al G. (come già ai suoi due predecessori): un ufficio che soprattutto Innocenzo III aveva voluto tenere sempre ben distinto dalla persona del patriarca, affinché questi fosse sottoposto allo stretto controllo di legati papali residenti a Costantinopoli (Carile).
Il 22 marzo il G. appare ancora electus, quando il papa lo incaricò di seguire la nomina di Pasquale, cantore della chiesa di Creta, all'episcopato di Melos (Les registres d'Innocent IV, n. 6431). Il 1° luglio dello stesso anno la notizia ufficiale della nomina del G. veniva comunicata al capitolo di S. Sofia (ibid., n. 6668). Il giorno successivo il pontefice affidava al G., in quanto legato della Sede apostolica, la predicazione della crociata a Venezia e nella Romania veneziana in difesa della Terrasanta, e la remissione di tutti i peccati per quanti vi avessero preso parte (ibid., n. 6676). Ne seguivano i consueti diritti, compreso l'uso del pallio anche a Venezia, oltre alla possibilità di contrarre un mutuo cospicuo il 14 settembre di quello stesso anno.
Intanto però le condizioni del dominio veneziano andavano ulteriormente deteriorandosi, sotto la pressione degli eserciti bulgari e di Giovanni III Ducas Vatatze. Il pontefice cercò allora di contrastare l'esodo degli ecclesiastici da Costantinopoli e il 7 luglio dello stesso anno dava dispensa ad Antonio, cappellano del G. e arcidiacono di Torcello, di ottenere un altro beneficio proprio nella Romania, mentre l'11 luglio cercava di imporre la residenza ai canonici e ai chierici delle sedi dell'Impero latino d'Oriente, pena la perdita dei loro proventi. Al G. il pontefice concedeva la facoltà di assolvere i pirati che avessero portato armi e legname ai Saraceni, e di utilizzare a sostegno della legazione i proventi delle sedi vescovili e abbaziali e delle chiese vacanti presenti nel territorio dell'Impero di Costantinopoli, vista la drammatica condizione finanziaria dell'Impero latino (ibid., n. 6831).
Dopo la morte di papa Innocenzo (1254), il successore Alessandro IV proseguì la politica d'alleanza con Venezia rinnovando il 25 febbr. 1255 l'incarico di legato al G. (Les registres d'Alexandre IV…, n. 182). Ma l'aggravarsi della situazione comportò presto la fine della corrispondenza papale con il patriarcato latino. L'ultima lettera inviata da Alessandro IV, il 15 luglio 1257, accoglieva la richiesta d'aiuto del patriarca e incaricava il ministro provinciale dei francescani della Romania di impegnarsi affinché i prelati delle Chiese di Morea versassero 500 marchi d'argento annui a sostegno del patriarca, ormai schiacciato dalle forze bizantine, fino a che questi non fosse stato in grado di accedere nuovamente ai propri redditi (ibid., n. 2072). Tuttavia la fine fu presto resa ineluttabile dall'alleanza di Genova con l'imperatore niceno, tra la fine del 1260 e l'estate del 1261. Nel 1261, mentre i crociati (e il G. era con loro) assediavano l'isola di Dafnusia, Costantinopoli rimasta indifesa veniva assalita dai Greci e conquistata. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio il G. riuscì a mettersi in salvo giungendo a Negroponte dove i fuggitivi venivano accolti da Lorenzo Tiepolo. Nella sede patriarcale rimaneva un vicario, nella persona di Antonio, già designato dal G., la cui nomina venne ratificata dal pontefice il 31 ott. 1263.
Con la fine dell'ultimo patriarcato latino residenziale di Costantinopoli, i patriarchi continuarono a risiedere altrove, sotto la protezione veneziana: a Negroponte o, più tardi, a Venezia. Il 25 genn. 1285 il Maggior Consiglio deliberava la concessione di un prestito di 60 lire di grossi a favore della Chiesa di Costantinopoli, con la precisazione che il patriarca risiedeva a Negroponte. Da una lettera di papa Clemente IV si apprende che almeno dal 31 luglio 1268 il G. dimorava a Venezia (Les registres de Clement IV, n. 649); si sa inoltre che nel 1274 egli prese parte al concilio di Lione.
Non si hanno ulteriori notizie sul G. fino al 1282 quando, il 10 maggio, in seguito a una richiesta avanzata dallo stesso patriarca, Martino IV ordinava all'arcidiacono di Torcello di assolverlo dalla scomunica inflittagli dall'arcivescovo di Creta per non avergli versato la decima che, nella quantità di 19 lire, 18 soldi e 4 denari grossi veneti, il G. preferì pagare direttamente alla Sede apostolica. La petitio del G. presso il papa si spiega bene con la richiesta di ottenere la facultas testandi, concessa il 17 aprile di quell'anno. Di lì a poco infatti, il 1° luglio 1282 a Rialto, il G. dettava il suo testamento nel quale istituiva una cappellania nella chiesa di S. Pantalon, che egli dotava di una somma di 1000 iperperi.
Una forte solidarietà parentale emerge dalla nomina dei commissari testamentari nelle persone dei nipoti Niccolò, Pantaleone, Pietro e Federico, figli del fratello Federico e residenti a S. Giovanni Battista, e degli altri nipoti Pietro Foscarini residente a S. Polo e Marco a S. Pantalon. Alla Chiesa di Costantinopoli lasciò la cappella patriarcale con i paramenti di pertinenza dell'altare e con la clausola che fosse "in obediencia sancte Romane ecclesie"; il G. lasciò inoltre il suo patrimonio librario ai nipoti, a eccezione della sua "summa de viciis et virtutibus" e del suo breviario destinati ad Antonio, suo padrino e cappellano, incaricato in vita di recitare le messe di suffragio per l'anima sua e dei suoi familiari. Infine, ricordava il suo medico, "magister Padavino" e destinava un lascito di 10 denari veneti grossi a ciascuna delle chiese di cui era stato pievano, chiedendo di essere sepolto presso S. Maria dei Frari, in Venezia.
La morte avvenne nel 1286 e, con la motivazione "ob. Pantaleonis", veniva eletto alla sede patriarcale, il 23 ag. 1286, un altro veneziano, Pietro Correr. In una pergamena dell'Archivio di Stato di Venezia, datata 18 luglio 1353 (Procuratori di S. Marco de ultra, b. 159: Commissaria Pantaleone Giustinian, perg. 14), il prete Marco di San Cassiano attestava di aver celebrato quotidianamente una messa in suo suffragio dalla data della morte fino a quel giorno, nella chiesa di S. Pantalon (Fedalto, p. 475).
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