PANTELLERIA (A. T., 27-28-29)
È l'antica Cossyra, isola a SO. della Sicilia, della quale si considera una dipendenza, sebbene sia più vicina all'Africa; dista infatti da Mazara del Vallo 110 km. e dal Capo Mustafà, in Tunisia, solo 70. Ha forma ellittica irregolare, e il suo asse maggiore corre in direzione NO.-SE. Dall'estremo nordoccidentale, Punta della Croce, sino alla costa sudorientale, Punta Salina o meglio Punta Limarsi, ha una lunghezza di circa 14 km. e misura più di 8 km. nella parte più larga a SE.: la sua superficie è poco meno di 83 kmq. Morfologicamente essa può dividersi in due parti: l'una a SE. più ampia, tondeggiante, con le coste prevalentemente alte e più sviluppata anche in altezza; l'altra, a NO., pianeggiante e collinosa. Non è facile, se si riflette che l'isola è quasi per intero costituita da terreni vulcanici, distinguere nettamente la prima dalla seconda; ma si ha un limite approssimativo partendo dalla Cala dei Cinque Denti e arrivando presso il Capo di Sataria, attraverso alcune depressioni interne. Quasi al centro della parte di SE. è l'avanzo del più alto cratere di Pantelleria, appena riconoscibile per quell'informe e lunga cresta a cui si dà il nome di Montagna Grande (m. 836). Qui culmina l'isola, offrendo la più ampia vista sulle sue terre e sul mare. Sconvolto verso occidente da altre eruzioni, attestate da rialzi come quello di Cuddia Mida (m. 591), il cratere ora, pur rivelando in più di un punto l'orlo primitivo abbassato, come presso il villaggio della Madonna del Rosario, si manifesta in genere come un ampio declivio, che cessa col sollevamento del M. Gelfiser (m. 394), a cui tengono dietro, verso NO., le lave dello stesso nome. Qui e altrove tra le varie specie di trachite è più degna di nota quella vetrosa bigioverdognola, detta ossidiana.
Più evidente verso E. è l'opera di devastazione e insieme di ricostruzione dovuta al prorompere della materia vulcanica. Già subito di fronte alla cresta della Montagna Grande, dalla parte di E., dopo un ripido scoscendimento, si nota alto sull'orizzonte un cono vulcanico, che mostra il cratere dell'isola meglio conservato, il quale prende nome di M. Gibelè (m. 700). In seguito, sempre verso oriente, si osserva una prima e meno ampia chiostra di alte colline disposte a ferro di cavallo, a cui ben si adatta il nome di Serraglia, limitato però alla parte di SE. Meno regolare e meno chiaramente visibile è un'altra più ampia e più bassa chiostra; e finalmente, oltre il piano detto del Barone, se ne vede una terza amplissima, che all'esterno declina, più o meno ripidamente, sulla costa. Caratteristica è questa parte verso E., dove è limitata da un'ampia depressione detta Piano della Ghirlanda, nome che più propriamente è dato alla serra che la domina. Altre depressioni del genere, tra colline arcuate, sono in questa regione dell'isola; a mezzogiorno della quale, il terreno, innalzandosi a mo' di cupola, raggiunge l'altezza di 560 m., e il nome cuddia ci aiuta a ravvisare anche in questo luogo l'avanzo di un antico cratere: Cuddia Attalora. Qui la costa quasi sempre alta, dal Capo di Tramontana a NE., alla Punta Molinazzo a S., descrive un'ampia curva più o meno parallela alla già rilevata cerchia di colline, dalla quale la regione litoranea sembra quasi tagliata fuori dall'isola; e si chiama infatti, per un buon tratto, Dietro Isola. Quella costa poi è come merlettata da una numerosa serie di punte. Non meno torturata appare a N. dell'isola la breve regione a oriente del Bagno dell'Acqua, un basso cratere invaso dalle acque, e qui sono varie distese di lava, come quelle di Khagiar, le quali, declinando, si frastagliano in modo assai pittoresco fino alla Punta dello Spadillo e assumono forme fantastiche sulla ricordata Cala dei Cinque Denti.
La parte più ristretta di Pantelleria, quella di NO., ha anch'essa varî piccoli bassi colli vulcanici; due dei quali sono detti monti, perché ben si distinguono dagli altri: il M. Gelkhamar (m. 289) e il M.S. Elmo (m. 265), altro bel punto per ammirare dall'alto le bellezze naturali della regione nordoccidentale dell'isola e la distesa del Mare Africano sino ai primi monti della Tunisia.
Scarsi ricordi si hanno sulle più antiche eruzioni di Pantelleria: l'ultima famosa fu quella del 1891, che avvenne nel mare adiacente all'isola, dalla parte di NO., a pochi chilometri dalla costa, e fu preceduta da terremoti e dal sollevamento della costa medesima. Il vapore acqueo ed i blocchi di lava, che erano lanciati a notevole altezza dalla superficie del mare, provenivano dal fianco stesso dell'isola; ma nessuna formazione sottomarina emerse dalle acque, come in altre precedenti eruzioni avvenute nel mare tra Pantelleria e la Sicilia, e specialmente in quella del 1831, durante la quale si formò l'isola che fu detta Giulia o Ferdinandea, poi demolita dalle onde.
L'isola di Pantelleria è priva di sorgenti d'acqua potabile: abbonda invece d'acque termali e qua e là anche d'acque salmastre. Il bacino più ampio è il ricordato Bagno dell'Acqua, che è alto all'orlo del cratere circa 50 m. s. m. e alla superficie delle acque circa 2, ed ha un circuito di quasi 500 m.: esso è alimentato da varie caldarelle, sorgenti di acqua calda a temperatura elevata (oltre 50°), di gusto saponaceo per il carbonato di soda e la silice idrata di cui è ricca. Altra acqua per abbeverare gli animali, traggono i contadini e i pastori dalla condensazione di varî e potenti getti di vapor acqueo, che ad intermittenza si sprigionano con fragore dai fianchi e dai crateri del rilievo centrale, segnatamente della Montagna Grande, chiamati, con voce araba, le Favare. Piccole sorgenti d'acqua salmastra, fredda e in qualche punto anche calda, esistono in varî luoghi della parte settentrionale dell'isola, ma più specialmente nella parte costiera che è a NO. del Bagno dell'Acqua. A queste manifestazioni secondarie di vulcanismo debbono aggiungersi qua e là le esalazioni di anidride carbonica, che dànno luogo alle mofette, i depositi e le incrostazioni di zolfo e di silice idrata e infine i getti di vapor acqueo in grotte (stufe), qualcuna delle quali, più famosa (il Bagno asciutto), è usata come luogo di cura. Furono anche osservati fenomeni simili alle macalube di Sicilia (Caltanissetta ed Agrigento).
Prevalgono nei luoghi incolti il bosco e la macchia; ma le colture ne hanno recentemente ristretto l'estensione. Prospera la vite in gran parte dell'isola, con uva assai pregiata sia fresca sia passita, e in qualche luogo si produce anche il cotone. Le capre prevalgono nei luoghi più alti e difficili, ma tra gli animali domestici si distingue, per le belle forme, il notevole sviluppo e la grande resistenza al lavoro, una specie di asini, che viene largamente esportata in Sicilia.
L'isola, scarsa di strade veramente carrozzabili, ha una larga rete di mulattiere, che seguono a tratti le depressioni vulcaniche, ma più le creste e gli orli dei vecchi crateri ora ridotti a lunghe ed arcuate colline, da cui sovente l'occhio spazia sul mare e sulle terre dell'isola.
Il centro si è sviluppato intorno al Castello, l'edificio più cospicuo, con casette generalmente umili, bianche, a un piano, di forma cubica, come sono in massima parte tutte le altre sparse nell'isola o raccolte in gruppi, che nell'aspetto preannunziano i villaġgi dell'Africa mediterranea. Il dialetto reca tracce di arabo, il cui uso è attestato fino al tempo di Federico II. L'unico centro di qualche importanza è Pantelleria, che s'affaccia sopra una piccola insenatura tra la Punta di S. Leonardo e quella della Croce, nell'estrema parte nordoccidentale. Il piccolo porto, mal difeso dai venti, è poco sicuro; e il piroscafo che ogni settimana viene dalla Sicilia, diretto a Tunisi, si ferma al largo. Il comune, cioè tutta l'isola, appartiene alla provincia di Trapani. Troviamo per la prima volta numerata la popolazione nel 1798; anno in cui aveva 6000 ab. Poco più furono nel 1831 (6104), e un secolo dopo, nel 1931, se ne contarono 9679, di cui circa un terzo sono nel paesetto. Il censimento del 1931 non distingue la popolazione del comune da quella del centro, mentre il censimento del 1921 dà per questo 2963 ab.
Storia. - Il nome Cossira (gr. Κοσσύρα, lat. Cossyra) si vuole sia stato dato dai Fenici all'odierna Pantelleria, ma l'etimologia ne è ignota. Abitata nell'epoca neolitica da una popolazione, forse di stirpe ligure, alla quale si debbono le rozze fortificazioni del villaggio di Mursia e quei singolari monumenti sepolcrali megalitici a forma di cupola, chiamati sesi (v. fig.), l'isola, forse al principio del sec. VII, fu occupata dai Fenici, dei quali rimangono tracce nelle fortificazioni delle due colline di S. Marco e di S. Teresa, che costituirono l'acropoli contenente edifici pubblici, templi e cisterne; in alcune necropoli del secolo VI e del sec. III a. C., nonché nei resti di un santuario nella parte settentrionale. Nel 255 i Romani tolsero Cossira ai Cartaginesi, ma solo nel 217 poterono occuparla definitivamente, sebbene l'isola conservasse anche in seguito il suo carattere semitico. Gli avanzi romani sono scarsissimi e poche le iscrizioni latine; risale probabilmente a quest'epoca la scogliera artificiale costruita a difesa del porto. Le monete sembrano indicare l'esistenza di un municipium romano.
Passò dai Romani ai Vandali, poi ai Bizantini, infine agli Arabi. Ruggiero II di Sicilia l'occupò (luglio 1123) e la pose alla dipendenza del vescovo di Mazara; ma l'isola fu soprattutto campo di azione dei Basiliani. Vero è che la popolazione rimase musulmana fino allo scorcio del sec. XIII. ma non si può ammettere che l'isola tornasse in dominio dei musulmani. Ai tempi di Federico II dipendeva dall'ufficio del secreto di Palermo. Carlo d'Angiò la tenne tributaria per mille bisanti l'anno, togliendone a volte donativi straordinarî. Nella pace di Caltabellotta toccò a Federico d'Aragona, che la concesse (1306) alla moglie Eleonora, perché costituisse con le altre terre la Camera reginale. Più tardi i Genovesi, profittando dei disordini siciliani, l'occuparono e Bernardo di San Lazzaro se ne fece investire da re Martino nel 1394. Passò poi, sempre per concessione dei re di Sicilia, a Nicola Squarciafico e Francesco di Belvis, dalla figlia del quale fu venduta ai Requesenz (1492), che dal 1620 la possedettero col titolo di principi. Fu spesso saccheggiata da corsari (Dragut, 1553) e Turchi (1556) e vi fu sconfitto il corsaro barbaresco Solimano (1515). Nell'età moderna diventò luogo di relegazione.
Bibl.: V. M. Amico, Lexicon topographicum siculum, II, ii, p. 56 segg.; F. S. Cavallari, Corografia di Cossira e della sua necropoli, in Bull. della Commis. di ant. e belle arti in Sicilia, 1874; A. Mayr, Die antiken Münzen der Insel Malta, Gozo u. Pantelleria, Monaco 1895; id., Pantelleria, in Mittheil. d. arch. Inst., Röm. Abt., XIII (1898), pp. 367-398; P. Orsi, Risultati di una missione archeologica, Roma 1899; id., Pantelleria, in Mon. antichi dei Lincei, IX (1899); O. De Fiore, in Arch. stor. Sic. or., XXVI (1930); S. V. Bozzo, Note storiche siciliane del sec. XIV, Palermo 1882, p. 59 segg.; S. Salomone Marino, I Siciliani nelle guerre contro gl'infedeli nel sec. XVI, in Arch. stor. sic., XXXVII (1912), p. 1 segg.