LEOPARDI, Paolina
Nacque a Recanati il 5 ott. 1800, terzogenita del conte Monaldo e di Adelaide del marchese Filippo Antici.
Le redini del disastrato patrimonio familiare erano state giudizialmente affidate alla madre, la quale, sia pur con le migliori intenzioni e salvaguardando il lustro esteriore della casa, instaurò un ferreo regime di economie e di mortificanti limitazioni, reso ancor più oppressivo dalla rigidezza della sua esasperata religiosità. Il padre, distinto studioso e bibliofilo, si occupò in prima persona (coadiuvato dal precettore don Sebastiano Sanchini) degli studi dei figli, ed ebbe il merito d'aver voluto per la figlia la stessa educazione data ai maschi: tanto che, appena giovinetta, le fece ottenere la dispensa papale dall'Indice, facoltà davvero singolare per una ragazza in periodo di Restaurazione, e grande prova di stima. Volle inoltre che ancora bambina partecipasse, con il nome di Doralice, alle sedute dell'accademia da lui ospitata per qualche tempo nel suo palazzo.
È possibile trovare tracce del vivo e precoce ingegno della L. nei "saggi" a stampa degli studi svolti negli anni 1808-12, dei quali i ragazzi dovevano periodicamente fornire la documentazione pubblica davanti a parenti e conoscenti: la L. si distingueva in scienze, storia, musica e latino, ma soprattutto eccelleva in francese, lingua che arrivò a possedere perfettamente. Anche dei giochi vi è documentazione, e si sa che davano vita a tenzoni culturali (spesso ispirate alla storia romana) in cui alla L., per via dell'abbigliamento scuro e severo impostole dalla madre, veniva attribuito dai fratelli il nomignolo affettuoso di "don Paolo". Gli studi della L. furono quelli di un'autodidatta di qualità, sempre guidata dal padre, ma con qualche margine di autonomia.
Negli scritti della L. non mancano dichiarazioni di insofferenza per il regime vigente in casa, ma alle sue critiche nei riguardi della madre, talvolta davvero amare anche se sempre rispettose, si contrappone un vivo e indulgente affetto nei riguardi del padre; certo a ciò la portarono il comune interesse per la cultura e per le letture (la L. ha lasciato un elenco di 2043 libri da lei letti negli anni, fra cui molti romanzi dei principali autori romantici), nonché la collaborazione che prestò al padre nelle sue ricerche e nelle sue attività politiche e giornalistiche, specialmente dopo il maggio 1832, quando Monaldo divenne direttore e redattore unico del giornale da lui fondato, La Voce della ragione. Ad attestarlo è lo stesso Monaldo nelle sue Memorie della "Voce della ragione", laddove ricorda che la L. "leggeva libri, fogli e giornali francesi, rimarcandovi gli articoli opportuni; essa ha fatto tutte le traduzioni da quella lingua; essa correggeva gli stamponi, e travagliava giorno e notte a quest'impresa, con uno zelo e un disinteresse" (Memorie…, a cura di C. Antona Traversi, Roma 1886, p. 3).
Tuttavia la L. svolse tale impegno non solo per le necessità del padre ma anche per se stessa, e per molti altri periodici, fra i quali si ricordano: La Voce della verità (Modena), L'Amico della gioventù (Modena), La Gazzetta di Milano, La Gazzetta di Genova, Il Cattolico (Lugano), La Gazzetta privilegiata di Bologna, La Gazzetta privilegiata di Venezia, La Gazzetta di Modena.
Fondamentale per la formazione e lo sviluppo della personalità della L. resta il rapporto con il fratello Giacomo, da lei teneramente amato al di là della profonda differenza di vedute in campo filosofico e religioso. Finché egli rimase in famiglia, la L. gli fu vicina, non solo affettivamente ma a livello pratico, quasi una segretaria e un'assistente: fin da bambina gli faceva da copista, ne seguiva per quanto poteva gli studi, passava con lui lunghe ore nella stanza buia quando egli era tormentato da disturbi agli occhi, discorrendo di sogni, di progetti e di fantasie d'evasione. Quando lasciò la casa paterna, Giacomo divenne il filo che collegava la L. al grande mondo esterno un tempo vagheggiato insieme; con lui ella cercò in tutti i modi possibili di rimanere in contatto, esultando dei suoi successi e tormentandosi per le sue malattie, con tutte le incertezze e i disguidi che le poste dell'epoca (ma a volte anche qualche negligenza epistolare del fratello, e la sua reticenza a parlare delle proprie condizioni nei momenti di disagio) comportavano.
Di Giacomo restano 56 lettere alla sorella "Pilla" dal 1822 al 1835, che testimoniano sempre la stima che egli aveva per lei e per la sua cultura, in un dialogo paritario nel quale lo stile della L., spigliato, limpido, spesso arguto e garbatamente ironico nella sua amarezza, non sfigura mai, mentre egli tenta di farle giungere la sua esperienza dell'altrove, senza tuttavia prospettive di palingenetici risarcimenti. Pubblicate in gran parte (in nota all'Epistolario leopardiano curato da F. Brioschi e P. Landi, Torino 1998), le lettere della L. a Giacomo, di cui alcune accompagnano lettere di Monaldo o dei fratelli, rispecchiano il fortissimo legame di complicità che rimase sempre fra loro, anche a livello di sostegno pratico.
I rapporti della L. con gli altri fratelli furono affettuosi ma meno intensi. Di Luigi (1804-28), scomparso prematuramente, non si sa molto; Carlo (1799-1878), l'unico che le sopravvisse, il più vicino a Giacomo nella giovinezza, aveva sposato la cugina Paolina Mazzagalli (una delle pochissime persone di Recanati care alla L., che pure dopo il contrastato matrimonio con Carlo le fu vietato d'incontrare) ed era andato a vivere in casa dei conti Mazzagalli; mortagli la moglie nel 1850 e la madre nel 1857, egli si risposò, attraverso vicende romanzesche, con Teresa Teja vedova Pautas, una signora torinese decaduta, istitutrice in casa Carradori, che divenne intima della L.; sui loro rapporti, nonostante recenti studi, non sembra sia stata ancora detta l'ultima parola; infine Pierfrancesco (1813-1851), marito di Cleofe dei conti Ferretti di Ancona, appassionato d'arte e collezionista, fu il continuatore della famiglia e morì trentottenne, seguito nel 1852 dalla moglie. Sopravvissero solo due suoi figli, Giacomo e Luigi, dei quali la L. divenne tutrice.
Tra le fonti biografiche sulla L. i carteggi restano senza dubbio la principale e la più diretta: va però ricordato che la rigidezza della madre arrivò a proibirglieli (salvo quelli con i più stretti familiari), perché li riteneva pericolose e inutili dissipazioni. Così la L., praticamente reclusa in casa, per mantenere in vita i rapporti epistolari cui teneva di più dovette ricorrere alla complicità dell'antico precettore don Sanchini, che abitava poco lontano (in posizione visibile dal palazzo Leopardi), mediante un complicato sistema di segnali con vasi di fiori e appuntamenti notturni in biblioteca, seguiti da trepide letture segrete nella sua stanza.
Di tali corrispondenze la prima consta di 71 lettere dal 17 genn. 1823 al 25 dic. 1868, datate da Recanati - salvo l'ultima da Pisa - e indirizzate a Vittoria (o Vittorina) Lazzari di Pesaro, dal 1829 maritata Regnoli, una procugina di Monaldo, che la L. aveva conosciuto a Recanati alla fine del 1817 e per la quale aveva concepito un affetto fortissimo, che volle prolungare disperatamente fino alla morte, anche quando la vicende delle loro vite così diverse (Vittoria Lazzari, sposata a un medico di successo, fu madre di diversi figli e visse una normale vita sociale) resero la loro corrispondenza irregolare e a volte un poco convenzionale.
L'altro filone, forse più importante, è costituito da 164 lettere; si tratta di un carteggio, che va dal 1829 al 1869, con le sorelle Marianna e Anna Brighenti, figlie dell'avvocato Pietro, che fu legato a Giacomo. Protrattasi per quarant'anni (trentacinque senza che le protagoniste si conoscessero personalmente), tale corrispondenza creò fra loro una grande intimità. Marianna Brighenti (la sorella Anna, Ninì, ebbe un ruolo minore nel rapporto) era una donna intelligente, versata in letteratura e filosofia, che aveva intrapreso con successo la carriera di cantante lirica e che, appunto per questo, aveva viaggiato molto, anche fuori d'Italia, e conosciuto artisti famosi e persone colte e interessanti: insomma, un miraggio per la L., chiusa tutta la vita a Recanati e nutrita di speranze e di sogni mutuati anche dalle letture stendhaliane (in una lettera del 31 ag. 1832 da Firenze, Giacomo annota con affettuosa ironia: "ho riveduto qui il tuo Stendhal").
A questa amica la L. si abbandona con fiducia, confidandole le pene delle sue giornate, intrecciate al motivo ricorrente in tutta la sua giovinezza, la struggente attesa di evadere dalla schiavitù domestica attraverso il solo modo concesso a una ragazza di provincia del suo tempo e della sua condizione, il matrimonio.
Quella dei molti negoziati falliti per la "collocazione" della L. è una storia davvero crudele di speranze e di cocenti frustrazioni: ella era ben cosciente di non essere bella e di avere una dote mediocre, ma anche di non avere rivali per intelligenza e per cultura, e non solo nel suo ambiente. La prima trattativa seria, nel 1821, con un maturo vedovo di Sant'Angelo in Vado, Andrea Peroli, nobile di Urbino (la questione della nobiltà, conditio sine qua non per Monaldo, complicava ulteriormente le prospettive) si spinse tanto avanti da divenire occasione della celebre canzone di Giacomo Nelle nozze della sorella Paolina, e tuttavia naufragò. Si susseguì poi una lunga serie di ipotesi nuziali più o meno fondate, tutte di pura convenienza e tutte abortite, fino a quella di un certo "signore" bolognese che risultò, con sdegno della L., un ex maestro di casa. In certi momenti ella giunse a tale punto di esasperazione che, richiesta ripetutamente da un giovane di Recanati di bassa condizione e di modestissima cultura, scrisse il 9 luglio 1832 alla Brighenti "mi è venuta la diabolica idea di dargli mente".
Un solo amore le si conosce, concepito per tale Raniero Roccetti di Filottrano, residente a Bologna, questo finalmente giovane, prestante e coltivato, ma notoriamente dedito alla galanteria e "di poca entrata", con il quale nel 1823 le nozze parvero decise. "L'ho amato, tu non puoi immaginare con quale amore", ella scriverà ad Anna Brighenti il 14 apr. 1832, "io era sua sposa […] tutto era combinato[...] egli era quale io lo avevo desiderato nei miei sogni[…] pure Nina mia, lo crederesti? io lo ricusai". Infatti, informata della leggerezza sentimentale di lui, nella lucida e spietata consapevolezza della propria incapacità di riuscire a ispirargli un vero amore, ella preferì la rinuncia, dando una non comune prova di carattere. In seguito subentrò in lei una rassegnazione melanconica e amara.
Dei suoi molti lavori di traduzione, la L. diede alle stampe uno dei testi più significativi della Restaurazione, il Voyage autour de ma chambre di X. de Maistre (Viaggio notturno intorno alla mia camera, Pesaro 1832), recentemente riproposto, a cura di E. Benucci, con presentazione di F. Foschi e prefazione di L. Felici (Viaggio notturno… e altri scritti, Napoli 1987 e 1990; Venosa 2000). Tradusse poi anche la Vie de Mozart di Stendhal, che fu pubblicata dalla famiglia Compagnoni Marefoschi in occasione delle nozze Carradori-Simonetti (Bologna 1837), e redasse la memoria Monaldo Leopardi e i suoi figli, poi pubblicata da G. Piergili (Lettere scritte…, pp. VII, X), mentre è rimasta tra gli inediti, insieme con molti volumetti di traduzioni, una bizzarra compilazione, Statistica delle persone morte in vari accidenti nel corso dell'anno 1859. Nel 1838-39 non ebbe esito la trattativa con il tipografo G. Vincenzi per pubblicare un volume di lavori suoi.
Con la morte della madre (1857) la L. si trovò a capo dell'amministrazione domestica - il fratello superstite Carlo viveva altrove - ed ebbe la tutela dei due figli minori di Pierfrancesco, con i quali però, forse per gli intrighi della cognata Teresa Teja, i rapporti divennero così tesi da arrivare alla lite giudiziaria. Quasi a riscattare la parsimonia materna, furono intrapresi grossi lavori di abbellimento del palazzo, degli arredi e delle suppellettili, fu arricchita di libri moderni la biblioteca di Monaldo, accresciuta la scuderia, incrementata la servitù, e aboliti finalmente gli abiti scuri. Risulta comunque che, proseguendo nel cammino di fede che non aveva mai abbandonato, la L. fu anche larga di beneficenze.
Tuttavia il cambiamento più atteso arrivò con i tanto vagheggiati viaggi: nel 1864 fu a Reggio Emilia, a Parma e a Modena, dove incontrò finalmente le Brighenti, che versavano in ristrettezze finanziarie e che aiutò generosamente ricavandone però qualche cocente delusione. Nel 1865 visitò Foligno e Assisi e si recò a Bari. Nel 1867 finalmente andò a Napoli, a pregare sulla tomba di Giacomo. Purtroppo la sua generosità si esercitò anche sugli autografi di lui, non pochi dei quali disperse in varie direzioni. Nel 1868, memore degli entusiasmi del fratello per il clima invernale di Pisa, pensò di dare sollievo ai suoi dolori svernandovi; invece un'infreddatura presa durante una breve gita a Firenze sfociò in broncopolmonite, e morì a Pisa, dove era accorsa Teresa Teja, il 13 marzo 1869. Venne sepolta a Recanati, nel cimitero adiacente alla chiesa di S. Maria di Varano. Aveva testato il 3 apr. 1868 (notaio R. Leoni), legando alla cognata mobili e arredi, e nominando suo erede il nipote più giovane, Luigi.
Fonti e Bibl.: Recanati, Centro naz. di studi leopardiani (ricca documentazione bibliografica); Archivio privato Leopardi, Lettere a Giacomo dai parenti (circa 30 lettere della L., da sola o con altri familiari, dal 1° dic. 1822 al 23 apr. 1828); Napoli, Biblioteca nazionale, Carte Leopardi, b. XVII; Pavia, Bibl. universitaria, Fondo manoscritti di autori moderni e contemporanei (lettere a Vittoria Regnoli).
Lettere della L. sono state pubblicate in alcune fondamentali opere di C. Antona Traversi: Il conte Carlo Leopardi. Cenni, Roma 1885; I genitori di G. Leopardi. Scaramucce e battaglie, I-II, Recanati 1887-91; La giovinezza di P. L. (1800-1822), in La Rivista femminile, II (1888), 4, pp. 229-255; 6, pp. 357-391 (ripubblicate: Milano-Roma 1888); P. L., in Vita italiana (Roma), 10 sett. 1896, pp. 100-111; P. L.: note biografiche condotte su documenti inediti recanatesi, Città di Castello 1898. Inoltre: Lettere scritte a Giacomo Leopardi dai suoi parenti, con giunta di cose inedite e rare, a cura di G. Piergili, Firenze 1878; Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti, a cura di E. Costa, Parma 1877 (poi ibid. 1887 e 1888); T. Teja Leopardi, Notes biographiques sur Leopardi et sa famille, Paris 1881 (trad. ital., Milano 1882); E. Costa, P. L. e la figlia di Pietro Brighenti, in Giornale storico della letteratura italiana, VIII (1886), pp. 399-409; P. L., in Strenna italiana, LIII (1887), pp. 83-89; G. Cimbali, P. L., in Gazzetta letteraria, XI (1887), 33, pp. 261 s.; E. Boghen Conigliani, P. L., in Id., La donna nella vita e nelle opere di G. Leopardi, Firenze 1898, pp. 59-116; F. D'Ovidio, P. L., in Corriere della sera, 12-13 genn. 1898; U. Dalla Vecchia, Gli ultimi anni di P. L.: notizie inedite, in Sicania, rivista mensile illustrata, 1906, n. 2, pp. 21 s.; M. Branca, Lettere inedite di P. L. a Vittoria Regnoli, in Rivista d'Italia, XIII (1910), febbraio, pp. 206-229; G. Larigardie - C. Antona Traversi, Notebiografiche sopra la contessa Adelaide Antici Leopardi, Recanati 1915; C. Pascal, La sorella di Giacomo Leopardi, Milano 1921; M. Montanari, Un carteggio inedito di P. L. (con Antonietta Tommasini), Parma 1926; R. Barbiera, P. L., in Id., Diademi: dame e madonne dell'Ottocento, Milano 1927; A. Baldini, P. è ancora qui, in Corriere della sera, 8 genn. 1931; F. Zerella, Monaldo Leopardi giornalista, Roma 1967, p. 25; Lettere inedite di Paolina (a Vittoria Regnoli), a cura di G. Ferretti, con introd. di F. Fortini, Milano 1979; R. Irti, Pilla, Verona 1989; P. Leopardi, Io voglio il biancospino: lettere 1829-69, a cura di M. Ragghianti, Milano 1990 (poi ibid. 2003); E. Testi, La sorella: vita di P. L., Palermo 1992; M. Leopardi, Autobiografia, a cura di A. Leopardi, Ancona 1993, ad ind.; C. De Martino - M. Bruzzese, Le filosofesse, Napoli 1994, pp. 273 s.; G. Leopardi, Paolina mia, lettere alla sorella, con introd. di M. Muscariello e note di F. Foschi, Venosa 1997 (56 lettere dal 1822 al 1835); D. Alberti, P. L. lettrice di Stendhal: affinità elettive fra le famiglie Beyle e Leopardi, Montichiari s.d. [ma 1998]; A. Panajia, Teresa Teja Leopardi: storia di una scomoda presenza nella famiglia del poeta… In appendice note biografiche, Pisa 2002; P. L. Atti del Convegno di studi, Recanati… 2001, a cura di E. Benucci, Pisa 2004 (comprendono: N. Bellucci, P.: la storia, il destino; E. Peruzzi, P. L. "buon copista"; L. Felici, Una canzone per nozze…; I. Marchegiani, La corrispondenza imperfetta; L. Melosi, P. e le altre; P. Landi, Aspetti e forme delle lettere fra Giacomo e P. L.; A. Panajia,… T. Teja Leopardi (1826-1898); F. Foschi, P. L. redattrice…; N. Fantoni, P. traduttrice…; E. Benucci, Tra le letture francesi e il viaggio immaginario; F. Ceragioli, P. lungi dal "patrio nido"; M. Marzullo, L'italiano di P. L. nel suo epistolario; E. Saracino, "Notte ricopri la ria sventura"…; M. Andria, La presenza di P. nelle carte napoletane; L. Ghidetti, Per una storia della fortuna critica; D. Donati, P. e il pensiero della differenza; A. Prete, Sul margine d'una lettera; P. Palmieri, "O lei beata, signora contessa" (G. Carducci…); M. Modesti, Pilla, un sogno perduto).