PROTO, Paolina
PROTO, Paolina (Paola Barbara). – Nacque a Roma il 22 luglio 1912 da padre siciliano e madre romana. Fin da piccola, ammirando i film delle dive del muto, in particolare Francesca Bertini e Pina Menichelli, sognò di diventare attrice. Trascorse un’infanzia serena con la mamma prima a Firenze, poi a Prato. Da adolescente frequentò un collegio fiorentino gestito da suore francesi e in quell’ambiente fece i suoi primi passi da attrice, recitando nel teatrino allestito nel collegio per gli spettacoli scolastici interni e ascoltando i consigli di suor Rosine, appassionata di opere teatrali. Terminati gli studi, frequentò assiduamente i corsi di recitazione alla scuola di Edi Picello, a Firenze, maestra di comportamento sulle scene e di dizione.
Piuttosto bella, simpatica, fotogenica, con fisico attraente e naturale disinvoltura, anche se leggermente timida, appena superati i vent’anni ottenne il piccolo ruolo della governante del re di Roma nel film ‘storico’ sui 100 giorni di Napoleone Campo di maggio (1935), di Giovacchino Forzano, girato a Tirrenia. Negli stabilimenti Pisorno (acronimo da Pisa e Livorno) della stessa città fu la protagonista in un film, finanziato dalla sua benestante famiglia – che ci teneva ad avere un’attrice in casa –, diretto dall’amico Gennaro Righelli: Amazzoni bianche (1936) fu un ottimo lancio per la futura attrice, oltretutto brava sciatrice in una trama che prevedeva una gara di sci femminile con un premio economicamente allettante per la vincitrice. Paola Barbara fu convincente sia nella recitazione sia nella gara, non sfigurando accanto a due attrici che poi diventarono famose, Luisa Ferida e Doris Duranti.
Le critiche abbastanza positive e un certo successo commerciale del film, la convinsero a continuare a credere nelle sue possibilità d’attrice e a recitare in film d’evasione, nelle pellicole dei ‘telefoni bianchi’, anche se non la facevano sentire a suo agio. La commedia non le fu mai congeniale: preferì sempre il genere drammatico o melodrammatico, dove riuscì a dimostrare e far valere le sue ottime doti recitative, ma dovettero passare alcuni anni prima che potesse ottenere quei ruoli dal momento che veniva quasi sempre scelta e utilizzata per la sua eleganza naturale, per la prosperosa avvenenza e per il suo portamento ‘quasi regale’, insomma, per essere una presenza essenzialmente decorativa. Recitò in alcune commedie realizzate nella seconda metà degli anni Trenta, con partner Enrico Viarisio, Antonio Gandusio, Armando Falconi, tutti troppo maturi per poter essere un ‘partner ideale’. Una commedia brillante nella quale si trovò a suo agio per recitare, protagonista assoluta, con malizia e ironia nel doppio ruolo di una ballerina e di una nobildonna fu La granduchessa si diverte (1940), da una pièce teatrale di Ugo Falena, per la regia di Giacomo Gentilomo. Fu un ottimo successo al botteghino e di critica, anche se in una di queste il suo nome fu confuso con quello di Paola Borboni e senza rettifica alcuna. Verso la fine degli anni Trenta debuttò in teatro in una compagnia che la vide in ditta accanto a Loris Gizzi e Corrado Annicelli.
Ma l’anno felice della sua carriera fu il 1940, quando Amleto Palermi, che l’aveva già diretta in due film l’anno precedente, e che aveva intuito le sue possibilità drammatiche, le diede il «suo ruolo»: La peccatrice (1940) fu per l’epoca un film di straziante verità e di struggente commozione, un film quasi ‘realista’, fuori dai canoni delle commedie scacciapensieri e dei film in costumi sfarzosi, un’opera scritta da letterati come Luigi Chiarini, Umberto Barbaro, Francesco Pasinetti e girato a Roma nel Centro sperimentale di cinematografia, inaugurato da non molti anni. Paola Barbara dimostrò qualità espressive nel genere drammatico del tutto insospettate, entrando di diritto fra le grandi interpreti del cinema di regime. Nel film il suo era un personaggio struggente, quello di una donna che, a causa di un destino avverso e di incontri con uomini sbagliati, pian piano scende le scale dell’abiezione, finendo in un postribolo, sfruttata e marchiata dal peccato da esseri malvagi ma che alla fine reagisce e si redime grazie al perdono dell’anziana madre. Presentato alla mostra di Venezia del 1940, La peccatrice fu accolto molto positivamente da critica e pubblico, tanto che si fece addirittura il suo nome fra le candidate alla Coppa Volpi come migliore attrice.
Distaccata dalla politica, non fu mai una delle dive del regime. Di carattere riservato, non volle partecipare al provino per il ruolo di Ginevra ne La cena delle beffe, poiché Blasetti esigeva una scena a seno nudo: oltre a provare vergogna, sapeva che il suo era un seno troppo prosperoso, quasi ingombrante.
Anche nel film successivo dimostrò che il genere drammatico le era congeniale: in Confessione (1941), diretta da Flavio Calzavara, fu nuovamente una donna colpita dalle avversità in un ruolo negativo, diabolicamente perverso, da crudele assassina. Sul set di questo film conobbe l’aiuto regista Primo Zeglio, ottimo uomo di spettacolo, che diventò suo marito e dal quale non si separò mai.
Dopo Confessione recitò in film in costume, d’avventura o pseudostorici, dove appariva in forma smagliante, elegantissima, splendidamente truccata ma purtroppo solo come presenza decorativa.
In pieno caos bellico ottenne una scrittura per un film da girarsi in Spagna, in coregia del marito con lo spagnolo José López Rubio, Accadde a Damasco (Sucedió en Damasco, 1943). Sia per la critica sia per il pubblico la pellicola fu un disastro, ma le consentì di sfuggire ai disagi, alle ristrettezze e ai bombardamenti. Recitò comunque in altre pellicole spagnole di buona fattura, apprezzata non solo per la sua avvenenza fisica e il suo sorriso radioso ma anche perché rappresentava un tipo di ‘femme fatale’ differente dalle sue colleghe iberiche, pur della stessa generazione. Con il marito Primo Zeglio recitò in un buon melodramma, Fiebre (1943), cui seguirono una decina di altri, non distribuiti in Italia. Il soggiorno in Spagna fu abbastanza felice anche per un’altra opportunità, quella di svolgere il lavoro di doppiatrice grazie all’incontro con Emilio Cigoli, allora uno dei principi del doppiaggio (giunto a Madrid, esule anche lui, per prendere parte al film Dora, o le spie (1944), film di produzione tutta spagnola anche se il regista era l’italiano Raffaello Matarazzo). Alla fine della seconda guerra mondiale, alcuni dirigenti hollywoodiani ritennero necessario far doppiare in Spagna alcuni film importanti da inviare rapidamente agli schermi italiani, approfittando della presenza in terra iberica di attori italiani: non solo Paola Barbara ed Emilio Cigoli, ma anche Franco Coop, Nerio Bernardi, Anita Farra, Felice Romano.
Della sua carriera da doppiatrice si rammentano Gale Sondergaard in Il segno di Zorro (1940) di Rouben Mamoulian, addirittura due caratteriste, Dame May Whitty e Auriol Lee, nel film Il sospetto (1941) di Alfred Hitchcock, Maureen O’Hara in Com’era verde la mia valle (1941) di John Ford, Kay Francis in La zia di Carlo (1941) di Archie Mayo, Frances Farmer in Il figlio della furia (1942) di John Cromwell e Teresa Wright in L’ombra del dubbio (1943) di Hitchcock, ma fu solo questa la sua presenza nel settore doppiaggio: non continuò più.
Al termine del conflitto, Paola Barbara e il marito tornarono in Italia decisi a riprendere la carriera. Trovarono nel 1947 due discrete occasioni: lui per dirigere Genoveffa di Brabante, mentre lei fu scelta come protagonista per La monaca di Monza, per la regia di Raffaello Pacini; il ruolo era adatto alle sue corde drammatiche, ma il film fu realizzato modestamente e mal distribuito. Dopo un breve ritorno in Spagna, nel 1949 la coppia si stabilì definitivamente in Italia. Da doppiatrice in Spagna a doppiata in Italia, Paola Barbara apparve in un discreto melodramma, Torna a Napoli, di Domenico M. Gambino dove, con la voce di Giovanna Scotto, diede spessore a un personaggio doloroso di moglie offesa e madre derelitta, ma anche questo film fu mal distribuito e poco visto, probabilmente offuscato dal successo planetario di un melodramma simile, Catene (1949), di Matarazzo.
Come tante attrici del Ventennio stentò a trovare ruoli consoni al suo temperamento, perfino quelli di donna perduta che la ‘perseguitavano’, pur avendo qualche anno in più ma conservando ancora la sua bella presenza e il suo sorriso radioso.
Pur di restare attiva e presente in un cinema italiano ormai cambiato, si adattò a ruoli di secondo piano, quasi da caratterista, dando ottime prove di buona professionalità in drammoni a fosche tinte, film d’avventura e commediole frivole. In un film di discreto gradimento diretto dal marito, Nerone e Messalina (1953), si adattò con grazia a impersonare Agrippina, la madre del crudele imperatore sebbene Gino Cervi, che lo impersonava, avesse undici anni più di lei. Ritrovò Cervi, già suo seduttore ne La peccatrice, qualche anno dopo in una gradevole commedia per la regìa di Domenico Paolella, Il coraggio (1955), in cui ebbe finalmente il ruolo giusto, adatto alla sua età, quello di una signora borghese, elegante e un po’ snob.
Forse a causa del passare del tempo, non trovò lo smalto dei primi anni Quaranta, trovando rifugio e soddisfazione nel teatro, dove nel 1956 entrò in una formazione con il nome in ditta da protagonista accanto a Roberto Villa e Carlo Tamberlani.
Alla fine della tournée ebbe l’opportunità di apparire in televisione. Prese parte allo sceneggiato, trasmesso in più puntate nel novembre 1958, Canne al vento, tratto dal romanzo di Grazia Deledda e diretto da Mario Landi, cui circa dieci anni dopo seguì un ruolo di supporto accanto a Ubaldo Lay nell’episodio Processo di seconda istanza, della serie Sheridan, squadra omicidi, per la regìa di Leonardo Cortese.
Pur non di non stare inattiva e lontana dal grande schermo, si convinse a girare altri film, spesso in ruoli da caratterista, secondari, non soddisfacenti al suo temperamento e alle sue qualità d’attrice. Seguendo la moda del momento, apparve in alcune pellicole con il nome curiosamente anglicizzato in Pauline Baards in opere di discreta fattura realizzate in Italia e in Spagna dal marito e da altri cineasti. Un’eccezione fra i tanti mediocri film cui prese parte, fu forse La virtù sdraiata (The Appointment, 1969), diretto da Sidney Lumet, in cui interpretò il ruolo di una madre apprensiva; nonostante un cast di gran rilievo la pellicola fu un mezzo insuccesso. Nel suo penultimo film, Irene Irene (1975), di Peter Del Monte, ebbe un buon ruolo anche se ancora secondario, quello di una misteriosa signora che soggiorna in una clinica per malattie mentali.
Un po’ delusa, amareggiata, scontenta dei ruoli offerti, alla fine degli anni Settanta decise di ritirarsi a vita privata nella sua abitazione di Anguillara Sabazia, sul lago di Bracciano, dove si spense il 2 ottobre 1989.
Filmografia (esclusi i film citati nel testo): 1936: L’antenato, di G. Brignone; 1937: Questi ragazzi, di M. Mattòli; 1938: Orgoglio, di M. Elter; Eravamo sette sorelle, di N. Malasomma; Per uomini soli, di G. Brignone; 1939:L’albergo degli assenti, di R. Matarazzo; Lotte nell’ombra, di D.M. Gambino; Napoli che non muore, di A. Palermi; Follie del secolo, di A. Palermi; 1940: Il ponte dei sospiri, di M. Bonnard; 1941: Il bravo di Venezia, di C. Campogalliani; Turbine, di C. Mastrocinque; Il re si diverte, di M. Bonnard; 1942: Rossini, di M. Bonnard; La danza del fuoco, di G.C. Simonelli; 1943: Quarta pagina, di N. Manzari; 1944: Noche fantastica, di L. Marquina;1945: Leyenda de feria, di J. De Orduña; Sa ultima noche, di C. Arevalo; 1946: L’ultimo amante (La prodiga), di R. Gil; Audencia publica, di F. Rey; 1947: La nao capitana, di F. Rey; Tres espero, di L. Vajda; 1948: I cavalieri dalla maschera nera / I Beati Paoli, di P. Mercanti; Campo bravo, di P. Lazaga; 1949: Por el Gran Premio, di P.A. Caron; El Sótano, di J. De Mayora; 1950: La figlia del mendicante, di C. Campogalliani; 1951: I figli non si vendono, di M. Bonnard; Eran trecento… / La spigolatrice di Sapri, di G.P. Callegari; 1953: La figlia del diavolo, di P. Zeglio; Capitan Fantasma, di P. Zeglio; Cavallina storna, di G. Morelli; 1954: Sua Altezza ha detto: no!, di M. Basaglia; 1956: Storia di una minorenne, di P. Costa; 1960: I piaceri del sabato notte, di D. D’Anza; 1961: Le sette sfide, di P. Zeglio; 1963: Cavalca e uccidi (Brandy) , di J. L. Boray Moradel; Il segno del Coyote, di M. Caiano; 1964: 7-9-18- Da Parigi un cadavere per Rocky (Des pissenlits pour la racine), di G. Lautner; 1965: I due violenti, di A. Greepy [P. Zeglio]; Ménage all’italiana, di F. Indovina;1966: Il delitto di Anna Sandoval (El diablo tambièn llora), di J. A. Nieves Condé; I quattro inesorabili (Los cuatros implacables), di P. Zeglio; 1968: Killer adiós, di P. Zeglio; 1970: Sledge, di G. Gentili - V. Morrow; Tre per uccidere (La banda de los tres crisantemos), di S. McCoy [F. Iquino]; 1978: Scherzi da prete, di P. F. Pingitore.
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