TADDEI, Paolino.
– Nacque a Poggio a Caiano (Firenze) il 22 gennaio 1860 da Ferdinando e da Paolina Bindi.
Si laureò in giurisprudenza all’Università di Pisa nel 1883 con una tesi in diritto internazionale. Entrato nel 1886 nell’amministrazione dell’Interno, e destinato inizialmente alla prefettura di Trapani, percorse i successivi gradini della carriera nella sua regione di origine, negli uffici di Volterra, Pisa e Siena, prima di essere trasferito nella capitale, essendosi guadagnato la fama di funzionario intelligente, integerrimo e laborioso: a Roma, nel marzo del 1901, conobbe Giovanni Giolitti; in pochi anni ottenne le promozioni a capo sezione, nel 1904, e poi, proprio grazie a Giolitti che ne apprezzava le capacità e con cui si era stabilito un rapporto anche personale, a direttore capo di divisione nel dicembre del 1907 e solo pochi mesi dopo a ispettore generale.
Nel luglio del 1909 Taddei ricevette da Giolitti, particolarmente attento alla grave crisi politico-amministrativa verificatasi a Torino, il delicato incarico di commissario reggente del Comune. Nel marzo del 1910, grazie alle sue riconosciute capacità di mediatore nelle situazioni più difficili, ottenne la nomina a prefetto e in quella veste, nelle sue successive destinazioni, riuscì a risolvere molte delicate situazioni come, a Ferrara (dove rimase fino al febbraio del 1913), la vertenza tra i braccianti e gli agrari; trasferito a Perugia, il 9 giugno 1914, in seguito ai gravi disordini verificatisi nelle Marche durante la ‘settimana rossa’, fu inviato a sostituire come reggente della prefettura di Ancona il viceprefetto Francesco Cossu-Cossu, colpevole di aver ceduto i poteri all’autorità militare senza la preventiva autorizzazione del ministero; Taddei riuscì in pochi giorni a far cessare i disordini, tanto che il 1° agosto successivo ricevette la nomina a prefetto di quella città.
Nel settembre del 1917 tornò come prefetto a Torino, dove per cinque anni dovette fronteggiare la conflittualità tra gli imprenditori e i sindacati, che chiedevano salari adeguati al crescente costo della vita; grazie alla sua mediazione, nell’aprile del 1920 fu sottoscritto un accordo che prevedeva la riapertura degli stabilimenti e qualche miglioramento salariale in cambio dell’esautoramento dei consigli di fabbrica e della riduzione dei poteri delle commissioni interne dei lavoratori. Quando Giolitti tornò a capo del governo, Taddei ne facilitò il contatto con Giovanni Agnelli per risolvere l’occupazione degli stabilimenti della FIAT, nel mese di settembre del 1920, e questo nuovo intervento gli valse, il 3 ottobre 1920, la nomina a senatore del Regno per la 17ª categoria. In quegli anni nacque anche un’accesa rivalità con il prefetto di Milano, Alfredo Lusignoli, che, al contrario di Taddei, avrebbe scelto la linea di acquiescenza verso il fascismo in ascesa.
Nel clima teso dell’agosto del 1922 Taddei, apprezzato per la sua risolutezza e grande dirittura morale e considerato «capace di seguire una linea di condotta quando l’avesse ritenuta idonea a ristabilire l’ordine del paese fino alle estreme conseguenze» (Ferraris, 1946, p. 31), fu prescelto, forse anche su indicazione di Giolitti, come ministro dell’Interno del secondo governo Facta. La sua azione, nei pochi mesi in cui ricoprì quel ruolo, si esplicò nell’avvicendamento dei titolari di tredici prefetture – il caso più noto è l’allontanamento di Cesare Mori da Bologna, per essere entrato in forte contrasto con i fascisti ‒, nella nomina di un nuovo direttore generale della Pubblica sicurezza, Raffaele Gasbarri, a seguito delle dimissioni di Giacomo Vigliani di cui peraltro Gasbarri era stato capo di Gabinetto, e nell’emanazione di numerose circolari relative all’ordine pubblico, soprattutto contro le azioni squadristiche. Su questa linea trovò un pieno accordo con il guardasigilli Giulio Alessio per individuare eventuali responsabilità degli organi periferici e denunziare i funzionari inadempienti; insieme decisero il reciproco controllo tra le autorità giudiziarie, prefettizie e di polizia in funzione legalitaria e antifascista; contemporaneamente tentò di trovare un interlocutore in Michele Bianchi per riportare il movimento fascista nella legalità.
Il 3 ottobre, in seguito alla pubblicazione su Il Popolo d’Italia del regolamento per l’organizzazione della Milizia fascista, un corpo armato i cui militi avevano giurato fedeltà al Partito nazionale fascista, Taddei ne propose l’immediato scioglimento, deciso a dimettersi se il decreto non fosse stato approvato in Consiglio dei ministri. Rimasto in minoranza, non più in sintonia neppure con il suo patron Giolitti, fu indotto a ritirare le dimissioni per le pressioni di Luigi Facta, che temeva una crisi di governo proprio nel momento in cui sembravano concludersi le trattative Giolitti-Mussolini per un eventuale ritorno al governo dello statista piemontese.
Gli avvenimenti presero però un diverso corso, e quando al congresso di Napoli i fascisti proclamarono la rivoluzione, predisponendosi alla marcia su Roma, Taddei preparò un piano per resistere, prese accordi con le autorità militari di Roma e predispose l’interruzione delle linee ferroviarie intorno alla capitale. Il 26 ottobre, d’accordo con il ministro della Guerra Marcello Soleri, inviò una circolare ai prefetti invitandoli ad adottare le misure necessarie per difendere gli uffici pubblici, a seguire attentamente i movimenti dei fascisti e, dopo aver accertato l’esistenza di tentativi insurrezionali, a trasferire i poteri alle autorità militari.
Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre, appresa da Facta la disponibilità del re a emanare provvedimenti eccezionali, Taddei mise in atto il piano predisposto per contrastare il programma dei fascisti e affidò la difesa di Roma al generale Emanuele Pugliese, che gli chiese un ordine scritto. Nel Consiglio dei ministri convocato d’urgenza alle sei del mattino del 28 ottobre Taddei sostenne la proclamazione dello stato d’assedio e stilò il documento da sottoporre alla firma del sovrano; concluso il consiglio, inviò a tutti i prefetti una circolare in cui, preannunciando l’imminente firma dello stato d’assedio, chiedeva di arrestare i capi del movimento fascista, ordinava di introdurre la censura telefonica e telegrafica e di tagliare i binari per interrompere le comunicazioni con Roma; inoltre inviò al generale Pugliese l’ordine scritto da lui richiesto, disponendo che il decreto di proclamazione dello stato d’assedio fosse inviato ai prefetti, pubblicato sui quotidiani e affisso sui muri della capitale.
Quando apprese che il re aveva deciso di non firmare il decreto, Taddei fu costretto a revocare tutti gli ordini impartiti. Il giorno successivo fu nominato consigliere di Stato, ma le sue condizioni di salute, gravemente minate dagli eventi drammatici di quel periodo, non gli consentirono un’assidua presenza ai lavori di palazzo Spada.
Taddei rimase celibe e non ebbe una sua famiglia. Morì improvvisamente a Firenze il 15 ottobre 1925.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’interno, Direzione generale degli Affari generali e del personale (versamento 1930), b. 52, n. 244; Archivio storico del Senato, Fascicoli personali dei senatori, n. 2156; Consiglio di Stato, Fascicoli personali, n. 236.
E. Ferraris, La marcia su Roma veduta dal Viminale, Roma 1946, passim; A. Repaci, La marcia su Roma. Mito e realtà, Roma 1963, ad ind.; G. Dal Poggetto, L’ultimo giolittiano al Viminale. Paolo Taddei nel Governo Facta, Firenze 1987; M. Saija, L’alternativa liberaldemocratica di P. T. prefetto e ministro dell’interno (1917-1925), in Storia, Amministrazione, Costituzione, 1999, n. 7, pp. 91-119; Id., I prefetti italiani nella crisi dello Stato liberale, Milano 2001, ad ind.; Id., P. T. prefetto e ministro dell’Interno (1860-1925), Poggio a Caiano 2005; G. D’Agostini, T. P., in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia. Le biografie dei magistrati (1861-1948), Milano 2006, ad ind.; Giovanni Giolitti. Al governo, in Parlamento, nel carteggio, III, 2, Il carteggio (1906-1928), a cura di A.A. Mola - A.G. Ricci, Foggia 2010, ad indicem.