APROINO, Paolo
Nato a Treviso nel 1586 (se ne ignora il mese e il giorno) da Girolamo, celebre medico, fu avviato dal padre agli studi umanistici e, intorno al 1605, fu iscritto alla facoltà degli artisti dell'università di Padova, dove fu scolaro di G. Galilei, che ne notò la singolare attitudine alle ricerche fisiche e se lo associò in studi di meccanica, in particolare negli esperimenti sulla "forza della percossa". Conseguita la laurea, ritornò a Treviso nel 1608 e si iscrisse al collegio dei dottori della città, mantenendo rapporti personali ed epistolari con Gallieo. Nel 1610 intraprese un lungo viaggio per mare, che durò quasi due anni; tornato in patria nel 1612, abbracciò, con meraviglia dei conoscenti, lo stato ecclesiastico e divenne canonico della cattedrale di Treviso.
La nuova carica pare lo abbia distratto dagli studi scientifici e abbia provocato l'interruzione, protrattasi per oltre un ventennio, dei suoi rapporti con Galileo, già trasferitosi a Firenze. Ne furono causa, secondo quanto egli ne scrisse il 3 marzo 1635 a Gaffleo, i forti dissensi scoppiati nell'ambiente ecclesiastico di Treviso, che lo costrinsero a vivere "in turbulentie di litigii, si può dir da inimico, con due vescovi" (G. Galilei, XVI, p. 219) il vescovo Francesco Giustiniaffi e il nipote suo Vincenzo, ai quali si opponeva il collegio dei canonici, guidato dall'A., che, col suo carattere impulsivo, acuiva i dissensi. Nonostante l'appoggio che gli dettero Paolo Sarpi e, successivamente, Fulgenzio Micanzio, consultori ecclesiastici della Repubblica veneta, l'A. non riuscì ad evitare due processi disciplinari e uno penale, dai quali tuttavia fu prosciolto con assoluzioni piene. Nel 1636, nominato già cardinale F. Giustiniani e trasferito a Brescia suo nipote Vincenzo, l'A. fu eletto vicario capitolare in sede vacante, e le diatribe sembravano dover finire; ma invece, di lì a poco, la fazione avversa montò contro di lui un'ac'cusa di simonia nell'amministrazione di un lascito ospedaliero: ma l'A. riuscì a dimostrare la correttezza della propria amministrazione. Riprese gli studi, ma poté continuarli per poco, perché, recatosi a Venezia, si ammalò improvvisamente e morì dopo breve tempo nella sua casa a S. Polo, sul Canal Grande, il 12 marzo 1638.
L'A. non pubblicò alcuna opera e l'archivio degli Aproino andò disperso sulla fine del Settecento, onde il suo nome sarebbe rimasto pressoché ignorato se nel carteggio galileiano non si fossero trovate sette lettere di lui a Galileo (le lettere di Galileo a lui andarono smarrite) e, specialmente, se Galileo non lo avesse immortalato, introducendolo come interlocutore, insieme con Filippo Salviati e Giovanfrancesco Sagredo, nella così detta Sesta giornata dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, pubblicata per la prima volta soltanto nella prima edizione fiorentina (1718) delle opere del Galliei.
L'idea d'introdurre l'A. come interlocutore fu forse suggerita a Galileo dal fatto che l'A. aveva assistito e collaborato agli esperimenti istituiti a Padova da Galileo sulla "forza della percossa", di cui tratta il dialogo; forse anche da un sentimento d'affetto verso il discepolo e l'amico recentemente estinto; forse, infine, dalle due lettere, rispettivamente del 3 e 13 marzo 1635: nella prima l'A., dopo aver letto alcuni fogli manoscritti dei Discorsi, comunicatigli da Fulgenzio Micanzio, ricordava a Galileo di aver "imbevuto già tanto tempo dalla sua bocca" parte di quelle dottrine e arditamente, con la "vecchia libertà da discepolo", gli manifestava il suo dissenso su alcuni concetti relativi agli "indivisibili" espressi in quei fogli da Galileo; nella seconda lettera consigliava, allo scopo dì diffondere i Discorsi e di sfuggire nello stesso tempo ai rigori dell'Inquisizione, che aveva proibito la stampa di ogni opera di Gaffico, di fame copie manoscritte e collocarle in pubbliche biblioteche d'Italia, di Francia, di Germania e di Fiandra.
Comunque, Galileo fa presentare al Sagredo l'A. non solo come suo uditore a Padova, ma "suo intrinsechissimo familiare e di lunga e continuata conversazione, nella quale, insieme con altri..., intervenne in particolare a gran numero di esperienze che intorno a diversi problemi, in casa esso Accademico [cioè, in casa di Galúeo], si facevano" (G. Galilei, VIII, pp. 321 s.). E che Galileo avesse grande stima dell'A. risulta anche da una sua lettera al Micanzio del 12 apr. 1636, nella quale, alludendo alle controversie dell'A., si duole che "un ingegno peregrino" fosse "distratto dalle sue specolazioni" (XVI, p. 44).
Fin dal 1612 l'A. aveva ideato uno strumento "per avvicinare il suono", che voleva offrire al granduca di Toscana, attraverso i buoni uffici chiesti e ottenuti da Galileo. Lo strumento, descritto m una lunga lettera a Galileo del 27 luglio 1613 (XI, pp. 540-544), costruito dopo molti esperimenti nel corso dei quali l'A. aveva fatto assennate osservazioni sperimentali, era sostanzialmente il cornetto acustico, il cui effetto aveva molto meravigliato Damello Antonml, comune amico dell'A. e di Gableo, che lo aveva sperimentato: oltre che all'ufficio pratico, lo strumento serviva anche all'A. per provare, contro l'opinione comune, che pure il suono è "di quelle cose che... patiscono con artificio qualche aggrandimento".
Pochi mesi prima di morire, forse su richiesta di Gallieo, l'A. fece osservazioni sugli effetti prodotti sulle acque del Sile dall'alta e dalla bassa marea e le comunicò a Galileo, attraverso Fulgenzio Micanzio, con alcune considerazioni che conducevano a confermare l'infelice teoria galileiana sul flusso e riflusso del mare.
Fonti e Bibl.: Le lettere dell'A. a Galileo sono la principale fonte di notizie sulla sua attività scientifica: cinque, degli anni 1612-13, sono pubblicate nel vol. XI (pp. 415, 470 s., 513 s., 517 s., 540-544) dell'Ediz. naz. delle Opere di G. Galilei, e le altre due, del 1635, nel vol. XVI (pp. 218-220, 231-233) delle stesse Opere. Documenti inediti che lo riguardano furono depositati nel 1942 da A. A. Michieli all'Istituto, veneto di lettere e arti. Da vedere inoltre: G. Toaldo, in Opere di Galileo Galilei divise in quattro tomi..., I, Padova 1744, p. XXXVI; D. M. Federici, Memorie trevigiane sulle opere di disegno..., Venezia 1803, p. 108; A. Favaro, Galileo Galilei e lo studio di Padova, I, Firenze 1883, pp. 193 s., 314 s.; Ediz. naz. delle Opere di G. Galilei, VIII, p. 29; XX, pp. 68 s., 373; A. A. Michieli, Il canonico trivigiano P. A., discepolo ed amico del Galilei, in Atti d. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, CI,1 (1941-42), pp. 83-87.