BAFFI, Paolo
Nacque a Broni, nell’Oltrepò pavese, il 5 agosto 1911, figlio unico di Giovanni e di Giuseppina Lolla. Il padre, figlio di un piccolo coltivatore, morì quando Paolo aveva solo quattro anni e fu la madre a provvedere ai bisogni della famiglia lavorando come sarta.
Diplomatosi ragioniere all’Istituto tecnico Bordoni di Pavia nel 1928, grazie a una borsa di studio poté iscriversi all’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, uno dei centri più vivaci della cultura economica del tempo, dove la discussione era più orientata ai classici temi proposti da Vilfredo Pareto e Alfred Marshall che alle costruzioni artificiose della scuola corporativa allora in espansione. Caratteristica dell’ateneo era l’apertura internazionale: gli studenti erano incoraggiati a viaggiare e potevano leggere pubblicazioni come l’Economist e il Financial Times, la cui circolazione era altrimenti molto limitata in Italia.
Già durante il terzo anno di corso (1930-31) Baffi si distinse scrivendo recensioni per il Giornale degli economisti. Nel 1931 ottenne una borsa di studio per frequentare la London School of Economics and Political Science; si trovò così immerso in un clima intellettuale assai vivace, caratterizzato dalle proposte pionieristiche di William Henry Beveridge sullo Stato sociale e da celebri controversie teoriche, come quella, sviluppatasi nel 1931, fra John Maynard Keynes e Friedrich August Hayek sul rapporto fra risparmi e investimenti.
Relatore della tesi di laurea, discussa nel 1932 e dedicata alla depressione economica mondiale, fu Ulisse Gobbi. Ma il vero maestro di Baffi fu Giorgio Mortara – un'importante figura di raccordo fra economia accademica e mondo della produzione – del quale sarebbe stato assistente alla cattedra di statistica della Bocconi dal 1933 al 1936. Il giovane economista collaborò anche a varie iniziative editoriali mortariane: fu direttore della Bibliografia economica italiana e aiuto redattore dell'annuario dell’economia italiana Prospettive economiche. Nel 1933-34 partecipò a uno studio sull’industria elettrica che, occasionato dalle iniziative per il cinquantenario della Edison, divenne uno dei primi importanti lavori di economia industriale in Italia. Era coinvolto nell’iniziativa anche Ferruccio Parri, con il quale Baffi strinse un duraturo rapporto di amicizia. Fin dai primi anni la caratteristica di Baffi economista fu il dialogo fra sviluppi teorici e forme concrete dell’attività di produzione e di consumo.
Le ripercussioni della crisi economica mondiale del 1929, unitamente alle difficoltà del sistema creditizio, portarono in Italia all'elaborazione della legge bancaria del 1936, che conferì all’Ispettorato per la difesa del risparmio e l'esercizio del credito (creato in quella congiuntura) e alla Banca d’Italia estesi poteri di vigilanza sulle banche. La Banca si trovò così a dover raccogliere ed elaborare una grande massa di dati sul credito bancario, settore per settore. Il governatore Vincenzo Azzolini decise perciò di rifondare il Servizio studi della Banca, dotandolo delle necessarie risorse, soprattutto umane. Per l’organizzazione del Servizio e per l’impostazione delle statistiche chiese la consulenza di Mortara, e chiamò alcuni fra i giovani più brillanti del mondo universitario: Baffi fu assunto dalla Banca d’Italia nel marzo 1936 e impostò con Mortara il lavoro sulle statistiche creditizie. Venne definita una griglia di settori economici recipienti il credito in modo da facilitare sia il lavoro della vigilanza sia l’attuazione di una politica del credito (si rendeva così possibile la pianificazione economica attraverso credito, che in pratica però non fu realizzata). Nel giugno 1937 Baffi, incaricato di dirigere la Sezione Italia del Servizio studi, diede un costante apporto analitico alla definizione delle politiche della banca. Il suo contributo è evidente (accanto a quello di altri, fra cui Giuseppe Di Nardi) nella relazione di Azzolini alla corporazione della Previdenza e del Credito svolta il 20 settembre 1938: nel documento la linea di espansione monetaria caldeggiata in alcuni ambienti economici viene respinta, mancandone il presupposto essenziale (in ottica keynesiana), cioè la presenza di fattori produttivi inutilizzati. Fu un capitolo importante, e poco noto, del dibattito italiano sulle tesi di Keynes (il quale peraltro non veniva mai citato; l’esempio fornito dagli 'espansionisti' era quello tedesco del 1934-38).
Durante il conflitto mondiale Baffi fu ufficiale di complemento a Pola, Roma e Cassino. Si trovava a Roma, nel giugno 1944, quando le truppe alleate liberarono la capitale.
All’inizio del 1945, dopo la nomina di Luigi Einaudi a governatore della Banca, Baffi assunse la guida del Servizio studi (avrebbe avuto il grado di capo servizio nel 1952). Fattori decisivi per la sua scelta furono la competenza e la familiarità con il mondo anglosassone, qualità essenziali per instaurare un rapporto di fiducia fra le amministrazioni italiane e gli Alleati, sempre alla ricerca di dati obiettivi sulla situazione economica del paese. Senza tale rapporto di fiducia – al quale per la Banca contribuirono in modi diversi Einaudi, il direttore generale Donato Menichella e Baffi stesso – l’Italia non avrebbe potuto ottenere gli aiuti di cui aveva assoluto bisogno per superare l’emergenza del dopoguerra. Fra gli studiosi stranieri che si occuparono dell’Italia (a volte ricoprendo incarichi istituzionali) tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, con i quali Baffi instaurò un serrato dialogo, vanno ricordati Henry Tasca, Andrew Kamarck, Albert Hirschman, Nicholas Kaldor, Gunnar Myrdal, Edward Bernstein, Robert Triffin, Paul Rosenstein-Rodan, Friedrich Lutz e Vera Lutz. Quest’ultima, secondo lo stesso Baffi, integrò proficuamente il proprio lavoro di ricerca con quello del Servizio studi della Banca.
Nel periodo 1944-47 Baffi svolse compiti di rilievo anche al di fuori della Banca: nella Commissione Soleri per lo studio della ricostruzione finanziaria dell’Italia; presso il ministero degli Affari Esteri, dove contribuì all’analisi dei problemi economici relativi al trattato di pace; come membro – designato dal Partito d’Azione – della Commissione Demaria presso il ministero della Costituente, incaricata di studiare gli scenari della futura economia italiana.
Nel giugno-luglio 1947 fu incaricato di collaborare con Per Jacobsson, capo economista della Banca dei regolamenti internazionali, alla stesura di un rapporto sull’Italia che contribuì notevolmente a migliorare l’opinione degli operatori stranieri sul nostro paese. Jacobsson, Baffi e Menichella si trovarono d’accordo nel ritenere che l’inflazione allora in atto (che aveva raggiunto, su base annua, un tasso del 100%) non fosse solo una conseguenza del finanziamento monetario del deficit pubblico (l’interpretazione di Einaudi), ma avesse anche cause squisitamente monetarie, riconducibili al comportamento delle banche. Tutti e tre collaborarono a convincere Einaudi della necessità di riformare il sistema della riserva bancaria obbligatoria varato nel 1926, adattandolo alle nuove esigenze: la riforma venne poi attuata, con Einaudi ministro del Bilancio, nell’agosto dello stesso anno.
Nel corso degli anni Quaranta e Cinquanta Baffi collaborò con il governatore Menichella, sviluppando gli studi sui fattori di variazione della massa monetaria, sulla posizione finanziaria e di liquidità dei singoli settori economici, sullo sviluppo economico italiano e sull’integrazione europea. In accordo con James Tobin, Baffi riteneva che l’interazione tra fenomeni monetari e fenomeni reali potesse essere compresa appieno soltanto analizzando, oltre al momento congiunturale, il contesto nel quale la moneta agisce: il settore in cui è impiegata e l’operatore che la detiene. Infatti, in un paese finanziariamente non molto evoluto, nel quale i mercati sono imperfetti e si osserva un basso moltiplicatore monetario, gli effetti prodotti dalla moneta subito dopo l’emissione (durante quello che Milton Friedman chiama first round) devono ricevere la massima attenzione da parte del banchiere centrale, il quale si trova a svolgere, date le circostanze, anche un ruolo di banchiere 'ordinario'. La lezione di Baffi, che può considerarsi un proseguimento e un affinamento della linea di Bonaldo Stringher, ha esercitato una notevole influenza sulla Banca d’Italia, negli studi e nelle politiche.
Nel 1953-54 fu membro della Commissione Giacchi (dal nome del presidente) per la riforma dello statuto dell’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale): stese la relazione di minoranza, nella quale si sosteneva che non era auspicabile un ampliamento delle funzioni dell’IRI e la costituzione di un ministero delle Partecipazioni statali.
I risultati delle elaborazioni di quegli anni traspaiono nelle Relazioni annuali della Banca d’Italia. Alcuni dei saggi più significativi di Baffi sono raccolti in due volumi editi da Giuffrè: Studi sulla moneta (Milano 1965) e Nuovi studi sulla moneta (ibid. 1973). Il primo di essi comprende Monetary analysis in Italy, un articolo del 1957 nel quale si descrive il «bilancio monetario nazionale», una tavola che serve di base per lo studio del complesso dei rapporti di debito e credito tra le categorie di operatori economici (famiglie, imprese, banche, Stato). La conoscenza del «flusso dei fondi» fra le varie categorie è fondamentale per alcune valutazioni di politica monetaria.
In sintesi, il programma scientifico di Baffi, l’obiettivo verso il quale confluiscono i suoi diversi studi, fu la comprensione – a livello teorico e statistico – del nesso esistente tra fenomeni reali e monetari.
Compagni di lavoro di Baffi negli anni Cinquanta furono Federico Caffè, Salvatore Guidotti, Mario Ercolani, Francesco Masera, Antonino Occhiuto, Giannino Parravicini, Luca Rosania. Nell’organizzazione della ricerca, ricordò molti anni dopo l'allora governatore Carlo Azeglio Ciampi, venne «fissata un’impostazione di fondo basata sul principio della complementarità fra acquisizione dei riferimenti teorici e ricerca applicata» (Banca d’Italia, Relazione per l’anno 1979. Considerazioni finali, Roma 1980, p. 359). Baffi diresse il Servizio studi della Banca d’Italia fino al 1956, quando, nel febbraio, fu promosso consigliere economico, posizione che gli consentì di lasciare a Guidotti la gestione quotidiana del servizio. Una parte rilevante delle sue energie fu dedicata al ruolo, assunto nello stesso 1956, di consigliere economico della Banca dei regolamenti internazionali.
Nell’agosto 1960 Menichella lasciò la Banca: Guido Carli divenne governatore e Baffi fu nominato direttore generale (18 agosto). A quella carica si aggiunsero le altre connesse: consigliere e sostituto del presidente dell’IMI (Istituto mobiliare italiano), sostituto del presidente dell’Ufficio italiano dei cambi, consigliere supplente della Banca dei regolamenti internazionali, vicegovernatore per l’Italia della Banca mondiale. Assunse nel frattempo impegni accademici: nel 1959-60 fu visiting professor di economia internazionale presso la Cornell University (Ithaca, New York) e dal 1970 al 1979 incaricato di storia e politica monetaria presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Roma. Sempre tra il 1970 e il 1979 fu membro del consiglio di presidenza e della giunta amministrativa del Consiglio nazionale delle ricerche e dal 1971 al 1983 membro del consiglio di amministrazione dell’Università Bocconi. Nel 1972 divenne socio nazionale dell’Accademia dei Lincei.
Da direttore generale, Baffi si occupò di una varietà di questioni, dalla vigilanza bancaria alla gestione del personale. Resse l’IMI da aprile a novembre 1971, fra la morte del presidente Sergio Siglienti e la nomina del successore Silvio Borri. Anche in seguito partecipò attivamente alla vita dell’Istituto, che nella prima metà degli anni Settanta concesse importanti crediti a imprese del settore chimico per finanziare la costruzione di nuovi impianti e contribuire in tal modo al riequilibrio della bilancia dei pagamenti italiana. Nella seconda parte del decennio la crisi del settore, causata dall’aumento del prezzo del petrolio e dalla stagnazione della domanda, provocò gravi difficoltà per gli istituti finanziatori.
All’interno della banca centrale, la funzione più caratteristica di Baffi fu di stimolare la produzione di idee, e di sottoporre a un rigoroso vaglio critico le nuove proposte. Di grande rilievo fu l’adozione, nel 1965 (pur con molte cautele), del concetto di base monetaria, messo a punto negli anni precedenti da Karl Brunner, Allan H. Meltzer, Milton Friedman e Anna Schwartz.
Baffi fu governatore della Banca d’Italia dal 19 agosto 1975 al 7 ottobre 1979: un quadriennio di gravi difficoltà economiche per il mondo – i repentini aumenti del prezzo del petrolio, l’inedito connubio tra inflazione e disoccupazione, per il quale fu coniato il nuovo termine di stagflazione – e per l’Italia, afflitta da un deficit pubblico crescente e appesantita da un sistema di indicizzazione dei salari troppo sensibile (nel gennaio 1975 sindacati e Confindustria avevano siglato l’accordo sul 'punto unico' di contingenza). Caduto il sistema di cambi fissi progettato trent’anni prima a Bretton Woods, singoli paesi e gruppi di paesi cercarono faticosamente un nuovo assetto. A questo disagio si aggiungeva, in Italia, un clima politico cupo e violento, segnato dalle azioni terroristiche che raggiunsero il culmine nel 1978, con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Il governatore Baffi fu sorpreso e messo alle strette dalla crisi valutaria del gennaio 1976, alla quale si accompagnò un’inflazione mensile del 2%: l’ammontare delle riserve era troppo basso per opporre una valida resistenza ai movimenti speculativi. Nei mesi seguenti, la banca fu impegnata nel disegno e nell’attuazione delle misure monetarie, valutarie e fiscali che consentirono di superare la crisi e di riportare in attivo la bilancia dei pagamenti, con conseguente ricostituzione delle riserve e parziale rimborso dei debiti esteri.
Al di là degli interventi congiunturali, motivo dominante della politica di Baffi fu l’intento di ridare voce ai mercati, per far sì che le libere scelte degli operatori determinassero l’allocazione delle risorse. Si batté perché il prezzo al quale la banca centrale acquistava, all’emissione, i titoli a breve termine dello Stato fosse compatibile con le condizioni del mercato e tale da consentirne in seguito il collocamento presso i risparmiatori: la banca avrebbe così ripreso il controllo della quantità di moneta (il che in effetti cominciò a verificarsi) e il Tesoro, messo di fronte al costo reale dell’indebitamento, avrebbe moderato il deficit (il che non avvenne in misura apprezzabile). Gli interventi sul mercato dei titoli a lungo termine furono indirizzati esclusivamente a moderare le oscillazioni erratiche dei tassi e non, come era avvenuto in precedenza, a deprimere i tassi anche contrastando le tendenze del mercato.
Per i controlli amministrativi sul credito Baffi non aveva alcuna simpatia, come spiegò nelle prime sue Considerazioni finali, lette all’assemblea del maggio 1976: «Vi è, a mio avviso, qualcosa di profondamente insoddisfacente nel dovere indirizzare l’azione della banca centrale ad inviluppare un sistema che dispone di propri validi parametri e meccanismi […]; nel dovere orientare il credito lungo linee obbligate, perché le libere decisioni degli operatori vengono distorte da aspettative inflazionistiche o sul cambio, in assenza di politiche di bilancio e retributive» (Banca d’Italia, Relazione per l’anno 1975. Considerazioni finali, Roma 1976, p. 406).
Baffi non riuscì a vincere la guerra che aveva dichiarato contro l’ingessamento del mercato: nelle situazioni di emergenza in cui si trovò a operare, ricevendo scarsa collaborazione sui fronti fiscale e salariale, fece ampio uso di quegli stessi vincoli amministrativi messi a punto nel quindicennio precedente: il massimale sui prestiti bancari, abolito nel marzo 1975, venne reintrodotto nell’ottobre 1976.
Intervenne inoltre in più occasioni a favore di una riforma della scala mobile: secondo Baffi, gli aumenti dei prezzi derivanti da provvedimenti fiscali e quelli aventi origine estera (per esempio, il prezzo del petrolio) non avrebbero dovuto attivare la scala mobile. Se infatti le variazioni del potere d’acquisto della lira erano causate da esigenze collettive, o da mutamenti delle ragioni di scambio riguardanti l’intero sistema economico nazionale, le conseguenze avrebbero dovuto ricadere su tutti i redditi, salari compresi.
Nella seconda parte del 1978 si intensificarono le trattative per la costituzione del Sistema monetario europeo. Tenendo presente il persistere di un forte differenziale di inflazione fra l’Italia e i suoi partner e quindi la necessità di futuri aggiustamenti delle parità, Baffi, dopo aver convinto il ministro del Tesoro Filippo Maria Pandolfi e il presidente del consiglio Giulio Andreotti, e con la loro collaborazione, riuscì a negoziare condizioni particolari per l’ingresso dell’Italia: la banda di oscillazione, che per le altre valute era del 2,25%, venne fissata al 6% per la lira.
Nel suo pensiero, questo margine di manovra avrebbe consentito di procedere ordinatamente, e non sotto l’incalzare della speculazione, a futuri aggiustamenti di parità. Ma non fu raggiunto il più ambizioso obiettivo di dare a tutto il sistema maggiore flessibilità (attraverso bande larghe generalizzate) e maggiore simmetria di doveri fra 'monete forti' e 'monete deboli'. Va sottolineato che la preferenza di fondo di Baffi era per un sistema di cambi fissi. Egli non riteneva però (come del resto tutti i banchieri centrali dell’epoca) che si dovessero fare troppi sacrifici per anticipare il conseguimento di quell’obiettivo: «La storia monetaria d’Europa ci rivela che, ogni qual volta la parità di cambio è stata eretta a feticcio o imposta senza adeguato riguardo alle sottostanti condizioni dell’economia, le conseguenze sono state nefaste» (Moneta CEE, falso traguardo, in La Stampa, 3 giugno 1989).
Il dibattito all’interno della classe dirigente italiana non verteva sul dover o non dover accettare la disciplina monetaria europea, ma sui tempi e i modi dell’imposizione del vincolo. Baffi, più sensibile alle debolezze dell’economia reale e alla stessa fragilità dello Stato-nazione (assai vulnerabile per disuguaglianze sociali e territoriali troppo accentuate), era cauto, temendo che una sconfitta avrebbe portato a un arretramento fatale rispetto all’obiettivo da tutti condiviso, mentre altri erano favorevoli a una marcia più spedita, convinti che il vincolo esterno sarebbe stato un’utile leva in mano a chi operava per rimuovere rigidità e inefficienze dal sistema produttivo.
Continuando una prassi avviata dal suo predecessore, Baffi discusse pubblicamente, in interventi ufficiali e sulla stampa, di vigilanza bancaria e di politica monetaria: «Nel campo macroeconomico», osservò, «le azioni delle banche centrali sono uscite dal silenzio, forse per non più ritornarvi» (Banca d’Italia, Relazione per l’anno 1978, Roma 1979, p. 376).
Nel campo della vigilanza contrastò i fenomeni degenerativi che si manifestavano in quegli anni, usando anche con efficacia lo strumento delle ispezioni: alcune istituzioni finanziarie che non erano mai state ispezionate lo furono allora per la prima volta. Si cercò in quel periodo di inquadrare gli atti della vigilanza in una cornice di criteri oggettivi, diminuendo lo spazio della discrezionalità: le singole autorizzazioni per l’apertura di sportelli bancari, per esempio, furono concesse nel quadro di 'piani sportelli' attraverso i quali si misuravano i bisogni di servizi bancari per ogni zona del paese. Pur fra molte cautele, la concorrenza bancaria divenne uno degli obiettivi della vigilanza.
Nel marzo 1979 il governatore Baffi e Mario Sarcinelli, vicedirettore generale, furono incriminati per interesse privato in atti d’ufficio e favoreggiamento: erano accusati di non aver trasmesso all’autorità giudiziaria i risultati di un’ispezione al Credito industriale sardo, una banca i cui finanziamenti all’industria chimica SIR (Società italiana resine, controllata da Nino Rovelli) erano oggetto di indagine da parte della magistratura. Il proscioglimento dall’accusa – costato a Sarcinelli il carcere, risparmiato a Baffi solo in ragione dell’età – sarebbe arrivato (ancora in fase istruttoria) con la sentenza dell’11 giugno 1981, ma, per garantire alla Banca una guida non intaccata da sospetti, Baffi aveva preferito lasciare la carica: le sue dimissioni ebbero effetto il 7 ottobre 1979.
Nonostante gli attestati di stima e le testimonianze pubbliche di economisti, uomini di cultura ed esponenti politici, l’episodio lo amareggiò profondamente. In un intervento del 1989 tornò sull’argomento respingendo la critica, formulata dal giudice istruttore che lo aveva assolto, di scarsa ponderazione da parte degli amministratori dell’IMI nel deliberare alcuni finanziamenti alla SIR. Sui retroscena di questa incriminazione, destinata ad avere un forte impatto sulla Banca d’Italia, non è ancora stata svolta un’indagine storica adeguatamente documentata.
Gli anni Settanta furono caratterizzati, sul piano teorico e su quello politico, dalla rivincita del monetarismo. A partire dal 1979 il neopresidente della Federal Reserve, Paul Volker, adottò una politica di stampo monetarista che stroncò l’inflazione negli Stati Uniti. Pur non essendo monetarista, Baffi condivise con Friedman (e con Hayek) la viva percezione del danno, soprattutto di lungo periodo, arrecato dall’inflazione a un sistema economico, nonché l’attenzione per i tassi di interesse espressi in termini reali. I risultati conseguiti su questo fronte furono modesti e scontarono un ambiente ostile: si passò da un tasso di incremento dei prezzi del 19,4% nel 1974, a 12,4% nel 1978, per risalire a 15,7% nel 1979. Ma la sua azione fu rilevante sul piano culturale: egli diede un contributo decisivo a diffondere il convincimento che il paese doveva essere risanato e che, a tal fine fosse essenziale ricreare le condizioni per la stabilità monetaria, ossia riequilibrio del bilancio pubblico, moderazione salariale, mercati funzionanti e concorrenziali. Con Baffi si gettarono le fondamenta per quel 'divorzio' in materia di finanziamento dello Stato che sarebbe stato sancito nel 1981 dal suo successore Carlo Azeglio Ciampi e dal ministro del Tesoro Nino Andreatta. Una compiuta autonomia della banca centrale in senso moderno, intesa cioè non più come indipendenza di giudizio ma come libertà di prendere decisioni conformi al proprio mandato, avrebbe richiesto però un altro quindicennio di maturazione, e rilevanti riforme legislative.
Dopo le dimissioni, Baffi fu governatore onorario della Banca, presidente della Società italiana degli economisti (1981-83), direttore del gruppo di lavoro su economia, energia e sviluppo, costituito presso il ministero dell’Industria in vista della conferenza nazionale sull’energia, svoltasi nel 1987. In quel contesto sostenne che era ragionevole per l’Italia tutelarsi contro i rischi connessi con un alto grado di dipendenza energetica, ma senza dimenticare che investimenti fatti in un settore import saving sottraggono risorse a impieghi alternativi suscettibili di sviluppare altre esportazioni, le quali consentirebbero il rispetto del vincolo esterno a un livello più elevato di scambi.
Dal 1979 presiedette l’Ente per gli studi monetari, bancari e finanziari Einaudi; dal 1987 l’Istituto europeo di oncologia; dal 1988 fu vicepresidente dell’Osservatorio Giordano Dell’Amore sui rapporti tra diritto ed economia. Sempre nel 1988 fu nominato vicepresidente della Banca dei regolamenti internazionali. Sostenne con passione Italia Nostra in alcune delle campagne per la difesa delle risorse naturali del paese.
Baffi sposò prima Maria Brutti; poi Alessandra Dalla Torre, dalla quale ebbe due figli: Giuseppina (1963) ed Enrico (1966).
Morì a Roma il 4 agosto 1989.
Per un quadro completo delle opere di Baffi si rimanda alla Bibliografia degli scritti di P. B., a cura di R. Visca - V. Memoli, con saggio introduttivo di M. Omiccioli, in Quaderni della Biblioteca Paolo Baffi, I (2012), 1. L'Archivio storico della Banca d’Italia, a Roma, costituisce la base imprescindibile per qualunque ricerca sulla figura scientifica e professionale di Baffi. Per un orientamento articolato e puntuale alla ricerca, si veda P. B. Guida alle carte d’archivio, Roma 2009. In relazione alle fonti ci si limita pertanto a citare, per le notizie sulla carriera, in tale archivio:, Personale, registri, Libri A; lettera di Azzolini all’Ispettorato del 19 febbraio 1938, in Ispettorato del credito, n. 735, f. 1. Qualche documento sulle condizioni economiche della famiglia è rintracciabile a Pavia, presso l’Archivio dell’Istituto Antonio Bordoni.
Sulla famiglia cfr. P. Baffi, Povertà e ricchezza del tempo antico, in Id., Testimonianze e ricordi, Milano 1990, pp. 15-18; sulla Bocconi cfr. M.A. Romani, «Bocconi über alles!»: l’organizzazione della didattica e la ricerca (1914-1945), in Storia di una libera università, II, a cura di M. Cattini et al., Milano 1997, pp. 105-247 e M. Monti, P. B. e la Bocconi, in P. B., il ricordo della sua Università, a cura del Centro di economia monetaria e finanziaria P. Baffi, Milano 1990, pp. 61-77. Sul rapporto con Mortara: P. Baffi, Giorgio Mortara e la Banca d’Italia, in Id., Nuovi studi sulla moneta, Milano 1973, pp. 125-138. Sugli studi condotti riguardo l’industria elettrica v. Lo sviluppo dell’industria elettrica nel Giappone, in Nel cinquantenario della Società Edison, 1884-1943, III, Milano 1934, pp. 617-632.
La relazione di Azzolini alla Corporazione del credito del 1938 è pubblicata in La Banca d’Italia tra l’autarchia e la guerra. 1936-1945, a cura di A. Caracciolo, Roma-Bari 1992, pp. 191-198. I rapporti con la Commissione alleata di controllo e con gli economisti stranieri (incluso P. Jacobsson) sono rievocati nel saggio Via Nazionale e gli economisti stranieri, 1944-1953, in P. Baffi, Testimonianze e ricordi, cit., pp. 93-152 e, con particolare riferimento a Vera Lutz, p. 135.
Sull’apporto alla politica di stabilizzazione del 1947, cfr. P. Baffi, Il primo anno di Menichella alla direzione della Banca d’Italia, in Id., Testimonianze e ricordi, cit., pp. 79-92 e i docc. 23, 24, 34, 42, 44, 47, 66, 68, in La Banca d’Italia e il risanamento postbellico, a cura di S. Ricossa - E. Tuccimei, Roma-Bari 1992 e A. Gigliobianco,Via Nazionale. Banca d’Italia e classe dirigente. Cento anni di storia, Roma 2006, pp. 205-208, 232-235. Sull’importanza del first round della moneta si rimanda a M. Friedman - A.J. Schwartz, Monetary trends in the United States and the United Kingdom: their relation to income, prices and interest rates 1867-1975, Chicago 1982. Baffi fece uso per la prima volta del concetto di base monetaria nel saggio L’alterna vicenda del quinquennio 1961-1965, ora in Id., Studi sulla moneta, Milano 1965, pp. 347-371. Lo strumento, sarebbe stato precisato e sviluppato nel quadro del modello econometrico da: A. Fazio, Base monetaria, credito e depositi bancari, Roma 1968. Sul ruolo avuto nella commissione per la riforma dell’IRI: Osservazioni alla relazione ad allo schema di Statuto predisposti dal Presidente, da parte del prof. P. B., in data 5 novembre 1954, in Ministero dell’Industria e del Commercio, L’Istituto per la Ricostruzione Industriale. Progetti di riordinamento, II, Torino 1955, pp. 575-585. Sull’influenza esercitata da Baffi sulle politiche della Banca prima del governatorato: A. Gigliobianco - R. Massaro, P.B. dietro le quinte, in Bancaria, 2010, n. 9, pp. 76-86. A proposito dei regimi di cambio: P. Baffi, L’inflazione in Europa occidentale e le monete di riserva, in Moneta e credito, marzo 1968, ora in Id., Nuovi studi sulla moneta, Milano 1973, pp. 21-48. Sulle trattative per lo SME cfr. L. Spaventa, Italy joins the EMS. A political history, Bologna Center of the Johns Hopkins University, occasional paper, 1980, n. 32 e, per un quadro europeo, H. James, Making the European Monetary Union, Cambridge-Londra 2012. Sul silenzio delle banche centrali cfr. Banca d’Italia, Relazione per l’anno 1978, Roma 1979, p. 376. Considerazioni sui prestiti concessi all’industria chimica (e sul procedimento giudiziario avviato nel 1979) in P. Baffi, Discorso di accettazione della targa d’oro Siglienti, in Quaderni sardi di economia, XIX (1989), 1-2, pp. 15-28. Brani del diario, estratti dall’autore, nei quali si commentano le vicende dell’incriminazione sono stati pubblicati, sotto il titolo Cronaca di un’infamia, in Panorama, 11 febbraio 1990, pp. 121-147. Dubbi sull’opportunità di stabilizzare la moneta 'a tutti i costi' furono espressi nelle ultime Considerazioni finali (Banca d’Italia, Relazione per l’anno 1978, Roma 1979, pp. 377 s.). Sull’insieme del governatorato, cfr. ancora A. Gigliobianco, Via Nazionale cit., pp. 307-334. Sulla dipendenza energetica: Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato, Conferenza nazionale sull’energia (Roma, 24-27 febbr. 1987), III, Roma s.d., p. 1270. Le Considerazioni finali di Baffi e il suo diario fra il 1978 e il 1981 sono ora pubblicati in P. Baffi, Parola di governatore, a cura di S. Gerbi - B.A. Piccone, Torino 2013.
Si vedano inoltre: tutte le Relazioni annuali della Banca d’Italia per gli anni 1975-79; La politica monetaria in Italia. Istituti e strumenti, a cura di F. Cotula - P. de’ Stefani, Bologna 1979; M. Sarcinelli, Sui caratteri della politica monetaria del governatore Baffi, in Moneta e credito, LIV (1991), 176, pp. 431-454, e Id., La tutela del risparmio nel pensiero e nell’azione del governatore Baffi, ibid., LII (1999), 256, pp. 225-240; S. Rossi, La politica economica italiana: 1968-2000, Roma-Bari 2000, pp. 37-55; V. Desario, Ricordo del Governatore P. B., in Banca d’Italia. Documenti, 2000, n. 651; M. Fratianni - F. Spinelli, Storia monetaria d’Italia, Milano 2001, pp. 617-648; P. Baffi, Le origini della cooperazione tra le banche centrali. L’istituzione della Banca dei regolamenti internazionali, con un saggio su P.B. di A. Fazio e introduzione di C.P. Kindleberger, Roma-Bari 2002.