BALSAMO, Paolo
Nato a Termini Imerese il 4 marzo 1764, fu dai genitori avviato agli studi letterari e alla vita ecclesiastica, che cominciò entrando nel seminario arcivescovile di Palermo. All'Accademia degli studi di Palermo frequentò poi le lezioni di calcolo sublime del teatino G. Piazzi, astronomo della Valtellina. Essendo state istituite, nell'ottobre 1785, nella medesima Accademia, dieci nuove cattedre, fra cui quelle di agricoltura e di veterinaria, con un sussidio di cento once all'anno per la prima e ottanta once per la seconda, ed essendo stato parimenti deciso di inviare, con i sussidi assegnati alle due cattedre, due giovani studiosi fuori del Regno per lo studio di queste due discipline, il B. fu prescelto, dopo concorso, per l'agricoltura. Il suo viaggio di istruzione all'estero aveva uno scopo di utilità pubblica. Egli avrebbe dovuto infatti apprendere i più progrediti metodi agrari messi in opera in altri paesi, per farne poi oggetto d'insegnamento all'Accademia di Palermo e per studiare la possibilità di una loro applicazione, con gli opportuni adattamenti, alle particolari esigenze dell'agricoltura siciliana condotta ancora con i tradizionali metodi empirici.
Partito nel 1787, il B., secondo l'itinerario stabilito dalla deputazione degli studi, visitò dapprima la Toscana, dove s'intrattenne dal settembre 1787 all'ottobre 1788 e dove prese contatto con i più noti georgofili, specialmente con il canonico A. Zucchini a Firenze, il quale gli fornì fra l'altro diverse nozioni metodologiche per lo studio dell'agricoltura, e lo condusse più volte in campagna per fare osservazioni pratiche. Degli studi che andava facendo, raffrontando l'agricoltura toscana con quella siciliana, il B. informò, oltre che la Deputazione degli studi siciliani, anche il pubblico toscano, leggendo all'Accademia dei Georgofili, di cui fu nominato socio, alcune sue Memorie. Fra queste è particolarmente interessante quella letta l'11 giugno 1788 intorno alle "cagioni fisiche e morali" della diminuita produzione granaria in Sicilia rispetto all'antichità, e ai mezzi per accrescerla. Con lo Zucchini, verso la metà di giugno di quello stesso anno, il B. girò in otto giorni tutte le campagne del Pistoiese e della Val di Nievole. Ma non pare che la deputazione fosse molto premurosa nel trasmettergli l'assegno mensile, se in ogni lettera il B. raccomandava al Torremuzza, membro della deputazione degli studi, di sollecitare l'invio del denaro, essendo le sue disponibilità limitate, mentre egli era costretto dal suo studio a compiere, spesso a piedi, lunghi viaggi per conoscere luoghi e incontrare studiosi.
Seconda tappa del viaggio d'istruzione del B. fu l'Inghilterra, dove, allo scopo di risparmiare spese, si recò, invece che direttamente via mare, via terra, tranne naturalmente per i tratti Livorno-Marsiglia e Calais-Londra. Ebbe modo così di fermarsi a Parigi, dove s'incontrò con il georgofilo P. M. Broussonet, e di conoscere le condizioni agrarie anche della Francia. Ma le maggiori esperienze le fece in Inghilterra, dove dimorò quasi due anni.
Nel movimento culturale siciliano della seconda metà del '700 aveva esercitato una considerevole influenza l'empirismo inglese, meglio rispondente, rispetto al razionalismo francese, pure penetrato nell'isola, al carattere concreto e positivo degli studi maggiormente coltivati in Sicilia. Aveva inoltre pure notevolmente contribuito ad accrescere la simpatia per l'Inghilterra, specie negli ambienti più illuminati dell'aristocrazia, l'affinità riscontrata tra le antiche istituzioni locali e il sistema costituzionale inglese, per cui l'anglomania aveva acquistato poco alla volta una particolare tendenza non solo culturale, ma anche politica, manifestatasi, specie dopo le tentate riforme del viceré Caracciolo, in un maggiore attaccamento alle tradizionali prerogative isolane e, nel campo economico, in una più decisa avversione al regime vincolistico imposto dall'assolutismo borbonico. Il B., che si era formato in tale clima, trovò pertanto in Inghilterra l'ambiente più consono al suo spirito.
Legatosi subito di amicizia con A. Young, allora già celebre per i nuovi metodi agrari suggeriti sulla base della sua personale esperienza, ne assimilò gli insegnamenti, che si sforzò poi di tradurre nei suoi scritti, adattandoli alla Sicilia. Fece allora massimamente tesoro di un principio che sarà poi al centro anche della sua dottrina: quello cioè che, per assicurare una florida e prospera coltura, occorreva favorire più la grande che la piccola proprietà, resa però libera da ogni dipendenza e da tutti quei vincoli feudali che ne ostacolavano lo sviluppo. In Inghilterra il B. acquistò per conto della deputazione degli studi alcune nuove macchine agricole, di cui curò personalmente la spedizione in Sicilia con notevole spesa. Scoppiata la rivoluzione in Francia, nel maggio del 1790 il B. decise di prendere la via del ritorno, ottenendo però dalla deputazione l'autorizzazione di fermarsi nei Paesi Bassi, dove s'intrattenne alcuni mesi per perfezionare le sue conoscenze agrarie (Arch. di Stato di Palermo, Commis. Sup. della P. L ed Educ. in Sicilia, vol. 3, cons. 21 febbr. 1790, f. 93). In quel tempo pubblicò negli Annali di Agricoltura, diretti dallo Young, le Notizie sull'agricoltura di Fiandra, che sono una sorta di resoconto di quanto egli, ricco di cognizioni per quello che aveva già appreso in Inghilterra, aveva avuto modo di osservare nei Paesi Bassi. Fu di ritorno in Sicilia verso la fine del medesimo anno. Con il 1791 iniziò il suo insegnamento ufficiale nell'Accademia di Palermo. Non ebbe in verità molti allievi: appena dieci ancora nel 1797, sei nel 1798, dodici nel 1799, quindici nel 1800, che però nel 1803 salirono a quaranta, per ridiscendere a ventisette nel 1804 e a tredici nel 1805 (A. Di Pasquale, L'affluenza...,p. 7). Essendo intanto morto V. E. Sergio, l'insegnamento di economia e commercio da lui tenuto venne unificato nel 1804 con quello di agricoltura, e affidato allo stesso B. con la denominazione di "economia rustica ed agricoltura".
Più che agli allievi, il B. nel suo insegnamento intese rivolgersi al pubblico degli agricoltori e dei proprietari. Perciò dal 1792, oltre le istituzioni di agricoltura, lesse dalla cattedra, nell'invemo di ogni anno, una memoria "sopra li più importanti punti dell'Economia rurale siciliana", in modo che le sue lezioni "si fossero applicate e dirette alla perfezione della patria agricoltura e disseminate e diffuse maggiormente tra li Proprietarj, gli Agricoltori ed ogni altro ceto di persone" (Memorie economiche ed agrarie..., Palermo 1803, Introduzione, pp.1-3).
Occorreva, secondo il B., vincere le riluttanze di coloro che ancora credevano che l'agricoltura fosse un mestiere da abbandonare interamente alle consuetudini e alle idee della gente ignorante che lo esercita, e persuaderli invece ch'essa era una scienza e che pertanto, fino a quando non vi si fosse applicato "l'uomo illuminato ed il filosofo", sarebbe rimasta sempre in uno stato d'imperfezione. Posto poi il principio che la prospettiva del guadagno è elemento indispensabile per animare e incrementare sempre di più il lavoro, non solamente dell'agricoltore, ma di ogni altro imprenditore economico, il B., richiamandosi ai principi del liberismo, affermava la necessità di abolire in Sicilia tutti quegli ostacoli che impedivano alla proprietà di essere libera. Togliere tali ostacoli significava, per il B., indurre il proprietario a fare maggiori spese per il miglioramento delle sue terre, spingerlo conseguentemente a impiegare un maggior numero di lavoratori, ad aumentare i loro salari e perciò a migliorare le condizioni di vita dei contadini. Sarebbe aumentato allora, secondo il B., anche il prezzo delle derrate, si sarebbero fatti più attivi gli scambi, sarebbe cresciuto il valore dei prodotti, si sarebbero animate le campagne. L'esempio che egli adduceva era quello dell'Inghilterra.
Essendo cominciati a penetrare nell'isola anche i principi egualitari della rivoluzione di Francia, il B. dalla cattedra assunse verso di essi un atteggiamento assolutamente critico, ritenendoli distruttivi di quelle forze che promuovono l'economia.
Il B. riteneva utili le leggi che impediscono l'ulteriore aumento delle mani morte, dei fidecommessi e dei maggioraschi, ma non condivideva l'opinione di coloro che volevano limitata la proprietà delle terre dalle pubbliche autorità ed eliminati gli esistenti proprietari dei latifondi, essendo a suo avviso la proprietà un necessario incentivo e premio. In conseguenza di tali principi, contro gli economisti francesi, come Quesna, Dupont, Abrabeauy egli affermava che occorre adeguare l'entità dei tributi al consumo, e non alle proprietà, di ogni cittadino: perché un cittadino "può possedere - osservava - un grande ed ubertoso podere e una bella casa e frattanto per le sue particolari circostanze può essere povero e bisognoso", mentre, al contrario, può non possedere nulla ed essere in effetti "comodo e benestante, perché ha i mezzi onde procurarsi i detti comodi della vita" (Corso di agricoltura economico-politico..., p. 29).
Il B. pertanto, come già lo Young da cui aveva assimilato tali principi, era preoccupato più di rendere libera e conservare la grande proprietà che di studiare le reali esigenze dei ceti agricoli. Ma egli pensava anche che solo conservando e rendendo libera la grande proprietà si sarebbe potuta favorire la formazione di una classe sociale autonoma, capace di far valere i diritti della "nazione" contro l'assolutismo regio. Erano queste del resto le idee che erano venute affiorando nelle aspirazioni della nuova classe borghese sia di origine aristocratica sìa di recente formazione, e ciò spiega la notevole risonanza degli insegnamenti del B. negli ambienti dell'aristocrazia e della borghesia intellettuali, il prestigio rapidamente acquistatosi nel paese e la parte non secondaria da lui svolta anche nella controversia tra il parlamento e la corona durante la permanenza della corte borbonica in Sicilia.
Tali principi rimasero sostanzialmente immutati nel suo pensiero anche se, dopo una più matura esperienza dello stato agricolo e sociale isolano, egli venne via via perdendo molto dell'astrattezza delle sue teorie e formulò un piano di riforme più rispondenti alle reali esigenze della situazione siciliana. Così, nella relazione al viceré Caramanico, che nel 1792 gli aveva dato l'incarico di compiere un giro per la Sicilia allo scopo di indagare direttamente sulle cause del disagio nelle campagne cui il governo intendeva rimediare con opportune riforme, il B., rilevando il profondo divario riscontrato fra le condizioni dei proprietari, sempre assenti dalle loro estese proprietà, e quelle degli affittuari, capitalisti che prendevano in affitto le terre per subaffittarle, sfruttando i contadini, lamentava la mancanza in Sicilia di una classe di proprietari attivi, che egli auspicava si formasse per il miglioramento delle condizioni dell'isola. Anche dopo il viaggio conipiuto nei mesi di maggio e giugno del 1808 nei centri agricoli della Sicilia e particolarmente nella contea di Modica, il B. suggeriva tra le riforme più urgenti da compiere, per il miglioramento dell'agricoltura e quindi per la rinascita generale della Sicilia, quella di una maggiore divisione dei fondi e dei poderi, in vista della formazione di una classe di proprietari più attivi. E concludeva: "non dubito di affermare, che se la campagna nostra fusse coltivata con quell'avvedimento, e diligenza, che è coltivata quella d'Inghilterra, darebbe certamente una produzione quattro volte maggiore di quella che presentemente somministra" (Giornale di viaggio..., Palermo 1809, p. 308).
L'attività dei B. fu sempre diretta alla divulgazione di cognizioni pratiche, e non alla speculazione teorica sulla scienza economica. Egli contribuì notevolmente ad allargare in Sicilia l'interesse per i fenomeni economici, e a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica, più di quanto non avessero fatto precedentemente altri pubblicisti come il Gaglio, il Sergio e il De Cosmi, sulle gravi conseguenze causate alla vita sociale ed economica del paese dai tradizionali vincoli feudali ancora vigenti nei rapporti di produzione. Il B. avvertì l'importanza del credito, reso in Sicilia difficile ed esoso dal perdurante accentramento della proprietà terriera in poche mani, "perciocché si può dire - rilevava - che la sua popolazione risulta ed è composta da due classi di persone, gran proprietari cioè, e contadini, nessuna delle quali vuole o accumular può delle somme considerevoli per destinarle alla riproduzione o per metterle ad usura". La maggiore circolarità della ricchezza avrebbe, secondo il B., fatto diminuire la concorrenza nei prestiti e cessare l'alto interesse del denaro. Per facilitare gli scambi e incrementare le attività economiche auspicava l'ístituzione anche in Sicilia di un banco con facoltà di emissione di "cedole", banco affidato non al governo, ma a banchieri che avessero quindi interesse al suo migliore andamento, come aveva visto praticare in Inghilterra, non riservando altra funzione alle pubbliche autorità che quella di proteggerlo ed incoraggiarlo (Memorie inedite..., II, pp. 27,58, 65).
Nell'opera volta ad affrancare l'isola dai sistemi feudali, il B. fu l'interprete di quella parte più illuminata dell'aristocrazía, che prima attraverso i contrasti con il viceré Caracciolo, poi attraverso le riforme del più cauto viceré Caramanico, aveva avvertito quale forza essa avrebbe potuto ancora rappresentare nella vita del paese, qualora fosse stata completamente liberata da ogni giurisdizione di tipo feudale ormai superata dai tempi e avesse potuto immettersi negli affari e nel commercio con maggiore libertà ed indipendenza, secondo quanto era richiesto dalle nuove teorie economiche. I principi svolti dal B., per il rapporto diretto che egli poneva tra lo stato dell'agricoltura e le istituzioni pubbliche, ebbero così un riflesso anche eminentemente politico, avendo contribuito a sviluppare maggiormente in seno alla stessa nobiltà quella vasta corrente di opinione che nel vincolismo e díspotismo borbonico aveva cominciato a vedere l'ostacolo maggiore al suo sviluppo, e che stava alla radice del contrasto che caratterizzava i rapporti tra la Sicilia e Napoli in tutta la prima metà del sec. XIX fino all'unificazione.
Gli storici di solito fanno risalire quel contrasto fino all'epoca della guerra del Vespro; esso invece matura ed acquista il carattere di una vera e propria lotta, in difesa delle "libertà" dell'isola da una parte e dell'assolutismo regio dall'altra, nel momento stesso del trasferimento della corte borbonica in Sicilia con tutto il seguito di ministri di Stato, di ufficiali civili e militari, di magistrati, dei resti dell'esercito e della flotta, nonché di moltissime famiglie che, per attaccamento al sovrano, avevano lasciato il luogo natìo. Tutto, ciò produsse un profondo turbamento nell'animo degli isolani che, già di fatto sotto la tutela della flotta inglese operante nel Mediterraneo, per i trattati del marzo 1808 e del maggio 1809, videro poi occupate tutte le loro maggiori fortezze da nuovi stanziamenti militari inglesi con la conseguenza, a causa degli obblighi contratti dal re, di nuovi aggravi sull'erario siciliano già molto scosso, oltre che per le spese di guerra, anche per le sovvenzioni date dal governo ai numerosi napoletani espatriati. I Siciliani non sapevano spiegarsi perché si dovesse spendere tanto denaro per riacquistare un regno "che riunito alla medesima corona avrebbe nuovamente ridotto il proprio paese alla dura condizione di provincia" (Sulla istoria moderna..., p.4). Il contrasto sorse appunto sul terreno finanziario, a proposito dei sussidi chiesti dal re per il proseguimento della guerra; ma, sostenendo gli oppositori la necessità di una riforma del sistema tributario, nonché il diritto del Regno, e quindi del suo parlamento, al controllo delle spese, com'era richiesto dalla moderna scienza economica, esso non poteva non investire anche l'aspetto politico del problema, per cui si cominciò pure a parlare di un nuovo ordinamento costituzionale, il quale ponesse l'isola su un piano di parità con gli Stati più moderni. La presenza degli Inglesi indicava il modello da seguire.
Tutto concorse così a dare, agli occhi dell'aristocrazia illuminata isolana, impegnata nella lotta contro l'invadente assolutismo regio, nuova e maggiore validità agli insegnamenti del B., il quale, nominato intanto abate di S. Maria di Bordonaro, poté sedere in parlamento nel braccio ecclesiastico, prendendo così parte anche alla vita politica.
Nella lotta che si venne profilando tra il parlamento e la corona fu proprio il B. a fornire al principe di Belmonte, capo dei costituzionalisti, l'arma con cui controbbattere le mire assolutistiche del re, prospettando un nuovo piano tributario che aboliva la "mostruosa multiplicità degli antichi donativi, vi sostituiva un dazio, da distribuirsi a valore, con un nuovo catasto, sopra tutte le proprietà stabili, senza alcuna distinzione delle persone alle quali si appartenessero", e proponeva inoltre "di doversi ricavare quanto di più abbisognava per la rendita dello Stato da una moderata tassa sopra la consumazione del grano, del vino, del sale, sopra i cavalli di lusso, e qualche altro oggetto", cosa che avrebbe consentito ad ogni siciliano di pagare "con esatta giustizia" all'erario "in ragione di quel che possedeva e consumava" (Sullaistoria moderna..., p. 6). Il B. mirava in sostanza a riunire in un unico capitolo gli svariati "donativi", allo scopo di dividere più equamente le imposte fra tutti gli ordini di persone, non solo per una più sicura regola nella riscossione, ma anche per un più facile controllo sulle spese, secondo i bisogni dello Stato. Egli sostenne nel parlamento del 1810 tale riforma finanziaria, come ebbe poi a confessare nelle sue Memorie, non soltanto perché la riteneva utile, ma anche perché era animato dal desiderio di screditare i progetti del ministro de' Medici, contro il quale era portato da personale inimicizia.
Nel rafforzato sentimento "nazionale" siciliano, allorché, per le sollecitazioni dello stesso lord W. C. Bentinck, ministro plenipotenziario e comandante di tutte le forze britanniche nel Mediterraneo, si cominciò più insistentemente a parlare di dare un nuovo ordinamento organico alla Sicilia, dai principi di Belmonte e di Castelnuovo, esponenti del partito riformista, fu dato ancora al B. l'incarico di redigere un progetto di costituzione, che egli si adoperò ad eseguire mantenendo, da una parte, a fondamento della costituzione "le antiche leggi ed usanze del paese", e avendo, dall'altra, "per guida" la costituzione d'Inghilterra, "raccomandata dall'esperienza e dal buon successo di secoli", e non quelle francese e spagnola perché "troppo democratiche e perciò tendenti all'anarchia" (ibid., p. 54). "Che che ne sia di ciò - osserva però il Bianchini - certo è che la novella costituzione fu quasi del tutto dettata da Bentinck" (Della storia economico-civile di Sicilia..., II, p. 43). Comunque è pure certo che nella elaborazione della nuova costituzione, di cui non vi fu articolo che non fosse stato giustificato con l'autorità di W. Blackstone, apprezzato e molto letto pure in Sicilia per i suoi commenti alla legislazione inglese (cfr. Arch. di Stato di Palermo, fondo Fitalia, b. 1, fasc. Foglio di osservazioni...), prevalse ancora l'aspirazione, già dal B. manifestata nei suoi scritti,. alla creazione, con la trasformazione dei feudi in beni allodiali, cioè privati, di un ceto proprietario libero, l'unico capace, per la nuova posizione di autonomia che gli avrebbe assicurato la stessa costituzione, di garantire la "libertà" dell'isola; anche se poi di fatto si finì per creare una oligarchia di ricchi proprietari latifondisti senza alcun reale vantaggio per le condizioni economiche e sociali della Sicilia. Il B., legato alla corrente filoinglese, rappresentata soprattutto dall'aristocrazia più illuminata, avversò decisamente i democratici, specie quelli del gruppo catanese capitanato da Emanuele Rossi, che propugnavano una soluzione radicale per la liquidazione della feudalità. Ai democratici, anzi, il B. attribuì poi la responsabilità di avere fatto vacillare la costituzione, e considerò pure grave errore quello del Castelnuovo di avere mostrato in diverse circostanze inclinazione a proteggere gli "ammiratori del gallico repubblicanismo" (Sulla istoria moderna..., p. 114). Ma la sua anglofilia non andò mai oltre la pura ammirazione per le forme costituzionali e il costume di vita vigenti in Inghilterra. Allorché il Bentinck, dopo il noto viaggio attraverso le principali città dell'isola per procurare appoggi alla sua politica, scrisse al principe ereditario, - dal re nominato, nel gennaio del 1812, vicario del regno con autorità di alterego - la lettera con cui tentava di assicurare la Sicilia al dominio britannico, il B. trovò fantasioso il tentativo, e non diede credito alle spiegazioni del governo inglese, il quale, alle proteste dei Siciliani, rispose fra l'altro che con quella proposta non si era voluto togliere il dominio dell'isola ai Borboni. In conseguenza di ciò si fece sempre più larga nel paese l'influenza del partito "antinglese", cioè anticostituzionale, per cui, dopo il fallimento del suo viaggio nell'isola, lo stesso Bentinck s'indusse ad allontanarsi temporaneamente dalla Sicilia, con il pretesto di recarsi nel continente al fine di concertare una tregua con il Murat e un piano di operazioni militari da intraprendersi in Italia contro Napoleone. Preludio, questo, ai maggiori contrasti tra i due opposti partiti che il B. pure, come il Bentinck al suo ritorno, cercò di mettere d'accordo facendo la spola tra i rappresentanti dell'uno e dell'altro, finché non fu deciso, su proposta del Belmonte, il richiamo del re. Ma fu la fine praticamente anche della costituzione.
Dopo la restaurazione e lo scioglimento del parlamento, il B., costretto a ritirarsi dalla vita politica, narrò le complesse vicende che avevano portato all'abolizione della costituzione del 1812 nel volume Sulla istoria moderna del regno di Sicilia, memorie segrete. Anche questa è opera di notevole impegno, con la quale il B. contribuì a creare quell'atmosfera di rimpianto per la perduta indipendenza, che caratterizzò lo spirito pubblico isolano in tutta la prima metà dell'800, e con la quale diede, nello stesso tempo, un nuovo avviamento alla storiografia siciliana, la quale, da erudita quale era fondamentalmente ancora nel '700, acquistò un carattere politico e polemico.
Apprezzato per i suoi meriti patriottici e scientifici (nel 1808 era stato incaricato, con G. Piazzi e D. Marabitti, di preparare un progetto per l'unificazione dei pesi e delle misure nel Regno di Sicilia, poi attuato dal parlamento), il B. aveva ottenuto l'altra pingue abazia di S. Maria dell'Arco, di cui poté però godere brevemente, perché morì il 4 nov. 1816.
Buona parte delle opere del B., pubblicate postume, si trovano manoscritte presso la Biblioteca Comunale di Palermo o nel testo originale o in trascrizioni; tra le inedite: Notizie sull'agricoltura di Fiandra, ms. del sec. XIX, al segno 4Qq - D - 32; Corso completo degli elementi di agricoltura teorico-pratico, ms. del sec. XVIII, 4Qq - D - 57; Dell'agricoltura ovvero economia rurale con l'aggiunta di alcuni principi di legislazione e di economia relativi all'agricoltura ed alla ricchezza delle nazioni, ms. degli anni 1802 e 1803, 2Qq - F - 56; Risposta all'articolo di un giornale inglese: lettera all'editore del Weekly political and literary review (Palermo, 1° febbr. 1812), ms. del sec. XIX, 2Qq - G - 109; Segrete memorie dell'istoria moderna del regno di Sicilia,ms. del sec. XIX, Qq - F - 156; Lettere al principe di Torremuzza, ms. del sec. XVIII, Qq - E - 136; Lettera autografa,2Qq - C - 160, f. 6.
Fra le principali opere edite dal B., si ricordano: Memorie economiche ed agrarie riguardanti il regno di Sicilia nella Reale Accademia di Palermo,Palermo 1803; Sopra la ruggine e il cattivo ricolto dei grani del corrente anno 1804 in Sicilia, lettera a Giuseppe Ventimiglia principe di Belmonte,ibid. 1804; Catalogo della privata libreria di S. M. Ferdinando III, ibid. 1808; Giornale di viaggio fatto in Sicilia e particolarmente nella Contea di Modica, ibid. 1809 (di quest'opera fu fatta una traduzione inglese da M. Thomas Wright Vaughan, London 1911); Sistema metrico per la Sicilia presentato a Sua Maestà dalla Deputazione dei pesi e misure (con la collaborazione di G. Piazzi e D. Marabitti), Palermo 1809; Principi di agricoltura e di vegetazione per gli agricoltori di Sicilia, ibid. 1816.
Fra le opere pubblicate postume, sono: Notizie sull'agricoltura di Fiandra,in Giorn. di scienze, lettere ed arti della Sicilia, III(1823), pp. 127 ss. (tradotto già in inglese da A. Young e in francese da P. M. Broussonet); Memorie inedite di pubblica economia ed agricoltura, voll. 2, Palermo 1845 (contiene in appendice la relazione al viceré Caramanico); Sulla istoria moderna del regno di Sicilia, memorie segrete, ibid. 1848 (con prefazione di Gregorio Ugdulena); Corso di agricoltura teorico-pratico, opera postuma, con note e supplementi dei georgofili siciliani, pubblicata da Agostino Gallo,ibid. 1851; Memorie inedite di pubblica economia ed agricoltura,voll. 2, ibid. 1854; Corso di agricoltura economico-politico teorico-pratico, opera inedita di P. B., con note e supplementi di altri autori pubblicata da Carlo Somma, ibid. 1855; Lettere di P. B. al principe di Torremuzza,in Nuove Effemeridi siciliane, I (1875), pp. 281-288.
Fonti e Bibl.: Come manca un'edizione corretta e completa di tutte le opere, così manca pure uno studio complessivo ed organico sul pensiero e l'attività del B., sul quale si vedano: Arch. di Stato di Palermo, Real Segreteria, Incartamenti,b. S179 (sul parlamento del 1802), b. 5370 (sulla contea di Modica); Ibid., Commiss. Sup. della Pubblica Istruz. ed Educ. in Sicilia,vol. 2, f. 399; vol. 3, ff. 40, 41, 42, 48, 49, 56, 58, 92, 116, 117; vol. 9, ff. 30, 31, 75; Ibid., Fondo Fitalia, b. 1, Foglio di osservazioni redatto dall'abbate P. B. su' seguenti articoli relativi alla Costituzione del 1812...; N. Palmeri, Necrologia di P. B., in Biblioteca italiana,Milano, 29 maggio 1818, premessa alle Memorie inedite e al Corso di Agricoltura citati; L. Bianchini, Della storia economico civile di Sicilia libri due,II, Palermo 1841, pp. 30, 42, 148-157; G. Albergo, Storia dell'economia politica in Sicilia,Palermo 1855, pp. 83, 94-98; G. Sanfilippo, Per la solenne dedicazione del monumento di P. B., Termini Imerese 1866; F. Dominici Longo, Cenno biografico di P. B.,Palermo 1867; I manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo indicati e descritti dal can. Gaspare Rossi,I,Palermo 1873, pp. 255 s. (con notizie biografiche); L. Sampolo, La R. Accademia degli studi di Palermo,Palermo 1888, pp. 159-161, CIX s.; G. Ricca Salerno, P. B. e la questione agraria in Sicilia,in Nuova antologia,16 febbr. 1895, pp. 680-719; E. Del Cerro, La Sicilia e la costituzione del 1812, in Arch. stor. siciliano,n. s., XXXVIII (1913), pp. 197-263 (dove si fa un ampio esame del viaggio fatto nella contea di Modica); A. Di Pasquale, Le "Rassegne dei discenti". L'affluenza dei giovani all'università palermitana tra la fine del '709e il principio dell'809,estr. dagli Annali della Facoltà di Econ. e Comm. dell'univ. di Palermo,I(1947), n. 2; A. Petino, La questione del commercio dei grani in Sicilia nel Settecento, Catania 1947, pp. 197-209, passim;R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia,Bari 1950, pp. 108-110, passim; J. Rosselli, Lord William Bentinck and the British occupation of Sicily,1811-1814, Cambridge 1956, pp. 48, 77, 78, 63-81, 164 s.; A. Petino, Un meridionalista del Settecento. Il rilevamento della Sicilia, area depressa nel pensiero di P. B., in Economia e storia, IV(1957), p. 7; F. Renda, La rivoluzione del 1812e l'autonomia siciliana,in La Sicilia e l'Unità d'Italia - Congresso internazionale di studi storici sul Risorgimento italiano, (Palermo, 15-20 apr. 1961), II, Milano 1962, pp. 523-532; F. Brancato, Ilconcetto di autonomia nella storiografia siciliana, ibid.,pp.512-522.