BUONVISI, Paolo
Nacque a Lucca nel 1530 da Martino e da Caterina di Stefano Spada. Rimasto orfano nel 1538 con i fratelli Benedetto, Bernardino e Lorenzo, fu avviato alla mercatura all'estero, mentre in Lucca l'amministrazione del patrimonio familiare restò nelle mani dello zio Ludovico Buonvisi, morto nel 1550: l'anno prima, insieme con il fratello Benedetto, il B. aveva partecipato al saldo con Ludovico.
Gli eredi di Martino avevano un debito nei confronti dello zio di 4.949scudi per il quale cedettero la loro parte del palazzo Buonvisi e altri beni stabili. Nel 1560tuttavia gli eredi di Martino non solo ricomprarono la loro parte del palazzo, ma insieme con gli eredi di Ludovico procedettero all'acquisto d'una casa contigua che consentì un ulteriore ampliamento della tradizionale residenza della famiglia: in questa occasione il B. era nuovamente a Lucca insieme con i fratelli Benedetto e Lorenzo. Più tardi, anche a seguito delle eredità degli zii Antonio e Vincenzo, i discendenti di Martino e di Ludovico provvidero ad ulteriori suddivisioni (1569, 1576 e 1589), mentre gli stessi figli e nipoti di Martino vennero gradualmente separando le loro proprietà (1561, 1596, 1602).
La carriera mercantile del B. fu tutt'altro che lineare e fortunata, e soltanto la solidarietà della famiglia e le numerose eredità di cui poté godere nella sua lunga vita sembrano averlo salvato dal dissesto: nel 1599, con i suoi 28.000 scudi, aveva un patrimonio relativamente modesto, addirittura pari a quello del cugino Mario di Vincenzo Buonvisi, che pure era stato escluso dall'eredità del padre per essere di illegittimi natali. Tuttavia nel 1606 il patrimonio del B. balzò - nelle valutazioni fiscali lucchesi - a 236.800 scudi grazie all'eredità di suo fratello Bernardino che era morto l'anno precedente.
Le prime indicazioni sulle scarse attitudini mercantili del B. ci vengono dal testamento, del 1553, dello zio Antonio Buonvisi che, rimproverandogli di "essere stato di mal governo" e di "non haver fatto che buttare", gli negò la libera disponibilità della sua quota dell'asse ereditario finché non avesse compiuto i trent'anni. Il B. avrebbe potuto fruire d'un assegno annuo di 150-200 scudi se scapolo e di 300 se sposato; a saldare i suoi debiti si sarebbe potuto provvedere immediatamente, ma per non più di 2.000 scudi.
Il giudizio di Antonio sul nipote fa presumere che questi avesse iniziato le sue esperienze mercantili in Belgio presso lo zio, o comunque all'estero; forse frutto di queste giovanili incertezze fu la successiva esclusione, per molti anni, del B. dai grandi traffici internazionali della famiglia. Il suo nome infatti non comparve che nel 1592 nella ragione sociale delle ditte create dai Buonvisi fuori di Lucca, sebbene egli sia stato ininterrottamente socio delle compagnie Buonvisi di Lione dal 1554 al 1595 (in quella del 1587-95 partecipò con una "missa" di 7.000scudi, pari al 7,4% del capitale sociale); della "Alessandro Buonvisi e C. di Anversa" del 1565-70 e della "Benedetto, Bernardino Buonvisi e C." egualmente di Anversa del 1570-74; della "Benedetto, Bernardino Buonvisi e C. di Genova" del 1579-84; della "Benedetto, Lorenzo, Bernardino Buonvisi e C. di Venezia" del 1578-82. Il B. fu inoltre socio del banco Buonvisi di Lucca dal 1560 al 1580 e partecipò, insieme con i fratelli, a una "missa" in accomandita di 1.000 scudi nella "Biagio Balbani e C. di Ancona" del 1565-68.
A parte le associazioni che abbiamo elencate, il B. non sembra aver dato contributi di rilievo alle aziende Buonvisi all'estero neppure in qualità di governatore o di amministratore: all'incirca dal 1565 in poi la sua attività sembra infatti restringersi alla sola Lucca, come testimoniano, fra l'altro, i suoi anzianati e i suoi due gonfalonierati fra il 1564 e il 1603.
Dopo esser stato socio, insieme con i fratelli, della "Alessandro Buonvisi, Alessandro Diodati e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1559-65 il B. diede il suo nome ad una delle due ditte che le fecero seguito, pur restando associato anche all'altra, la "Alessandro, Giuseppe, Lorenzo Buonvisi e C." del 1565-70. La "Paolo Buonvisi, Alessandro di Michele Diodati e C. dell'arte della seta di Lucca", aperta il 1º genn. 1565 e destinata a chiudersi alla fine del 1569, era diretta da Michele e Niccolò di Alessandro Diodati e da Cesare Sbarra; ne erano soci, oltre ai "nominati" e ai due figli di Alessandro Diodati, Girolamo e Alessandro di Ludovico Buonvisi (con una "missa" di 4.000 scudi), la compagnia Buonvisi di Lione, i tre fratelli del B. (Benedetto, Bernardino e Lorenzo) e Ferrante Sbarra. Prima ancora che la compagnia giungesse a termine il B., manifestando nuovamente una certa insofferenza per la routine imprenditoriale dei Buonvisi, si lanciò in un'iniziativa estranea alle tradizioni lucchesi e a quelle della famiglia: la costituzione di una compagnia di arte della lana.
In realtà la "Paolo Buonvisi e C." del 1568-72 non nacque isolata, ma in un momento in cui fiorirono abbastanza numerose in Lucca analoghe compagnie che tentarono di far fronte alla crisi dell'industria delle sete affiancandole una manifattura della lana che a Lucca era sempre rimasta in subordine rispetto a quella della seta. L'iniziativa del B. non sembra esser stata accolta con pieno favore dai Buonvisi e dai loro principali associati nelle compagnie di bottega, i Diodati. Questi ultimi non parteciparono, così come non partecipò il fratello maggiore di Paolo, Benedetto: i soci furono gli altri due fratelli, Bernardino e Lorenzo, Alessandro e Girolamo di Ludovico Buonvisi (ma con una "missa" di soli 500 scudi), Paolino da Sesto e Giuseppe Baroncini. Mentre il B. si riservava l'amministrazione della ditta, la direzione "quanto al condur la lana in panni e far fabbricar panni" venne affidata al maestro lanaiolo Simone di maestro Tommaso Partini. Nel 1572 il B., che aveva abbandonato ogni attività nel campo della seta, rinnovò la sua compagnia di arte della lana per cinque anni: lo avevano lasciato anche Alessandro e Girolamo Buonvisi, il Baroncini e il da Sesto, e la ditta acquistò come nuovi soci soltanto i due lanaioli Simone e Regolo di Tommaso Partini e Paolino Bertolani, divenuto direttore della compagnia. Ben prima della scadenza prevista il B. e il Bertolani dovettero notificare alla Corte dei mercanti, il 22 apr. 1574, che la compagnia aveva cessato ogni attività e che sarebbe rimasta in vigore soltanto per il saldo fino al 31 luglio. Il fallimento dell'iniziativa del B. è confermato dai debiti che egli contrasse con i fratelli (e che si trascinarono poi fino all'inizio del sec. XVII) e dalla sua esclusione per parecchi anni dalle compagnie di arte della seta dei Buonvisi.
Fu soltanto nel 1582 che il fratello Bernardino ammise il B. alla sua compagnia lucchese e ne lasciò includere il nome, come "principaliter nominatus", nella ragione sociale. Aperta nell'ottobre del 1582, la "Paolo, Bernardino Buonvisi e C. dell'arte della seta di Lucca" contava fra i soci, oltre ai "nominati", la compagnia Buonvisi di Lione, Aitante e Piero Massei e Simo Simi; la direzione era affidata a Piero Massei. Probabilmente prorogata per qualche mese fino a tutto il 1587 la compagnia venne rinnovata per quattro anni il 10 genn. 1588, ma durò poi, attraverso ripetute proroghe, fino al maggio del 1596: sempre sotto la direzione di Piero Massei, la ditta non contava più fra i soci Simo Simi, ma ai vecchi "compagni" si erano aggiunti Niccolò Gigli e Mario di Vincenzo Buonvisi. Nell'ultima "Paolo, Bernardino Buonvisi e C.", aperta nel 1596 per quattro anni, subentrarono come nuovi soci Stefano e Antonio Buonvisi, mentre non compariva Niccolò Gigli. Le notifiche alla Corte dei mercanti delle "Paolo, Bernardino Buonvisi e C." non indicano l'entità del capitale sociale; sappiamo soltanto, dal suo testamento, che Bernardino vi conferì ogni volta 7.000 scudi e che gli utili di queste "misse" assommarono complessivamente a 30.000 scudi. Quando nel 1600 il B. costituì una nuova compagnia dell'arte della seta, Bernardino preferì restarne estraneo e la ragione sociale divenne "Paolo Buonvisi e Piero Massei"; il capitale era di 37.000 scudi, 16.000 dei quali conferiti dal B. e 21.000 dal Massei. Lavoravano nella ditta, che proseguì fino al 1607, Cristoforo Massei e Giovambattista Guinigi.
Il ritiro di Bernardino dalla compagnia di arte della seta faceva seguito ad altri suoi ritiri dalle compagnie Buonvisi che coincisero con l'assunzione di maggiori responsabilità nel sistema delle aziende Buonvisi da parte del B., grazie anche all'attiva partecipazione dei suoi numerosi figli (dopo la morte di Carlo e Orazio, Pompeo, Lelio e Scipione erano, con i cugini figli di Benedetto, i naturali successori di Bernardino, privo di discendenti) alla gestione delle aziende che la famiglia possedeva a Lione, Genova, Piacenza e, più tardi, a Venezia.
La compagnia costituita "per doversi exercitare nelle fiere di Bisanzone o dove si facessero i negotii di essa, che al presente segue in Piacenza" assunse nel 1592 la ragione sociale "Paolo, Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi": nella notifica presentata alla Corte dei mercanti da Antonio Buonvisi il 27 giugno risultavano fra i soci anche Alessandro e Niccolò Diodati con due "misse" per 4.000 scudi contro i 38.000 corrisposti dai Buonvisi; il 12 ottobre Antonio presentava però una nuova dichiarazione da cui si rileva che la compagnia iniziata nella fiera di Pasqua era già cessata ed era stata rinnovata a partire dalla fiera di agosto con le sole varianti del ritiro dei Diodati (che contemporaneamente aprirono una loro compagnia di Piacenza con un capitale di 12.000 scudi) e della conseguente riduzione del capitale a 38.000 scudi di marchi.
Tutti i soci appartenevano ormai alla famiglia Buonvisi: Lorenzo di Martino versava 5.000 scudi, il B. e Bernardino ne conferivano insieme 10.000, e Bernardino partecipava separatamente con altri 3.000; i fratelli Martino, Stefano e Antonio contribuivano con 10.000 scudi, e Stefano e Antonio, con un conto a parte, con altri 10.000. A Piacenza operò per l'azienda il figlio del B., Lelio; morto tragicamente Lelio, gli successero i fratelli Scipione e Pompeo, fino al 1598, quando la compagnia si chiuse dopo ripetute proroghe. Ripresa nel 1599 sotto la ragione sociale "Paolo, Stefano, Antonio Buonvisi e C.", la nuova compagnia di Piacenza aveva lievemente ridotto il capitale sociale da 38.000 a 35.500 scudi. Con i figli Scipione e Pompeo, il B. partecipava con 10.000 scudi; 4.000 scudi ciascuno erano stati versati da Martino, Stefano e Antonio Buonvisi; i restanti 13.500 scudi erano conferiti da Stefano e Antonio con un conto a parte: nel gennaio del 1600 quest'ultimo conto venne arricchito di altri 6.500 scudi, così che il corpo di compagnia salì a 42.000 scudi. Aperta originariamente per tre anni, la ditta venne in seguito prorogata fino al 1605.
La compagnia Buonvisi di Piacenza del 1592-98 fu socia della palermitana "Lorenzo Burlamacchi, Gismondo Franciotti e C." del 1553-95 con una "missa" in accomandita di 1.200 once su 5.400; al rinnovo della ditta, per il 1596-99, i Buonvisi di Piacenza le confermarono il loro appoggio. Alla "Ferrante Burlamacchi, Prospero Bottini e C. di Anversa" del 1598-1605 la compagnia di Piacenza contribuì con 3.250 libbre di grossi di Fiandra, pari a circa il 20% del capitale sociale. La compagnia di Piacenza fu inoltre socia in accomandita della "Paolino, Agostino Santini e C. di Messina" del 1596-99, con 500 once (4,2%), e del 1600-1603, con 400 (5,5%); della "Bartolomeo, Camillo Orsucci, Iacopo Cittadella e C. di Napoli" del 1596-1600 con 1.500 ducati del Regno (9,9%) e della "Bartolomeo, Camillo Orsucci, Agostino, Vanni Santini e C. di Napoli" del 160°-1602 con 1.500 ducati (7,5%). I Buonvisi di Piacenza parteciparono, ancora in accomandita, alla "Fazio Buzzaccarini, Bernardino Cancellereschi e C. di Venezia" del 1598-1601 con una "missa" di 5.000 ducati veneziani (16,66%); alla "Orazio Mansi, Alessandro Chiariti e C. di Milano" del 1603-1608 con 2.500 scudi (16,66%); alla "Benedetto Mariani e C. di Bologna" del 1603-1608 (cui contribuirono personalmente anche i figli del B., Pompeo e Scipione con 5.000 libbre) con 7.500 libbre di moneta bolognese (12,5%); e alla "Paolino Santini, Ottavio Raffaelli e C. di Messina" del 1604-1607 con 1.000 scudi (6,66%). La crescente importanza delle fiere di Piacenza e gli stessi collegamenti in tutta Italia della compagnia Buonvisi fecero di Piacenza in questi anni forse il maggior centro di attività della famiglia lucchese sia per la banca, sia per il commercio, soprattutto quello dei grani.
Nelle compagnie di Genova del 1592-98 e del 1599-1605 non comparve il nome del B., bensì quello dei suoi figli, prima Lelio e poi Scipione; la ditta assunse infatti nel 1592 la ragione sociale "Stefano, Antonio, Lelio Buonvisi e C.", forse rimasta immutata anche dopo la morte di Lelio nel giugno 1593. Il B. con i figli partecipava con 18.000 libbre genovesi su 80.000. Questa "missa" scese a 16.000 (corrispondente a 4.000 scudi) nella compagnia di Genova degli anni 1599-1605 intitolata a "Stefano, Antonio, Scipione Buonivisi, Ottaviano, Fabio Diodati e C.".
Se delle aziende di Genova il B. era stato socio, rimase invece formalmente estraneo alla compagnia che alla fine del 1600 i Buonvisi decisero di riaprire a loro nome a Venezia, prima per tre e poi per cinque anni. Alla ditta, che fu tra l'altro particolarmente attiva nel campo delle assicurazioni marittime, parteciparono tuttavia i suoi figli Pompeo e Scipione. Quest'ultimo, che era anche "nominatus" ("Stefano, Antonio, Scipione Buonvisi e C."), ne fu governatore insieme con Cesare Penitesi, e morì a Venezia (dove fu sepolto nel chiostro di S. Francesco) nel 1604.
Assai modesta, 3.000 scudi, era stata la partecipazione del B. alla "Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi di Lione" del 1595-99; ma quando nel dicembre del 1599 essa venne ricostituita, egli ne divenne il "principaliter nominatus". Il capitale sociale della "Paolo, Stefano, Antonio Buonvisi e C. di Lione", che, aperta per tre anni, durò poi fino al 1605, fu di 49.500 scudi, 10.000 più della precedente compagnia.
Il B. e i suoi figli corrisposero 5.000 scudi, Martino, Stefano (che fu direttore della ditta a Lione) e Antonio 8.000 scudi ciascuno; Baldassarre Cittadella conferì 2.000 scudi, suo figlio Alfonso 3.000 e Stefano e Antonio Buonvisi versarono per un conto a parte "attenente a parenti et amici" 16.500 scudi. Nel complesso il capitale apportato dai membri della famiglia Buonvisi era diminuito in percentuale (58,5% contro il 65,8% della precedente compagnia di Lione); quello dei membri estranei alla famiglia era rimasto immutato (10,1%); era invece aumentato il capitale rastrellato fra parenti ed amici (31,33% contro il 24,3% del 1596): anche se il 53,4% del 1587 - che aveva consentito un corpo di compagnia vicino ai 100.000 scudi - restava lontano, la piazza di Lione sembrava riacquistare fiducia agli occhi dei Lucchesi. La compagnia Buonvisi di Lione del 1599-1605 fu socia in accomandita della "Bartolomeo, Camillo Orsucci, Agostino, Vanni Santini di Napoli" del 160°-1602 con 1.500 ducati del Regno (7,5% del capitale sociale); della "Paolino, Agostino Santini e C. di Messina" del 1600-1603 con 400 once (5,5%); della "Paolino Santini, Ottavio Raffaelli e C. di Messina" del 1604-1607 con 1.000 scudi (6,66%); della "Orazio Mansi, Alessandro Chiariti e C. di Milano" del 1603-1609 con 2.500 scudi (16,66 %).
Dopo esser stato escluso per quasi vent'anni dal banco di Lucca, il B. vi rientrò, addirittura come "principaliter nominatus", nel 1599, quando si interruppe la compagnia aperta nel 1596 per cinque anni, con la definitiva separazione degli eredi di Ludovico Buonvisi, fino ad allora "principaliter nominati" del banco, dagli eredi di Martino Buonvisi. La "Paolo, Stefano, Antonio Buonvisi e C." costituita come ditta "di banco et di negotii mercantili" il 1º ag. 1599 per tre anni, e poi prorogata fino al 31 maggio 1605 aveva un capitale sociale di 21-500 scudi: il B. ne aveva conferiti 2.000, Pompeo suo figlio 1.000; Martino, Stefano e Antonio ne versarono 3.000 ciascuno; Stefano e Antonio, con conto a parte, 4.000; Giovanni Carli partecipò con 3.000 scudi; Baldassarre Cittadella con 1.500 e con altri 1.000 per conto a parte. Oltre a Girolamo e Ludovico Buonvisi, erede di Alessandro, era uscito dalla società anche il loro cognato Ferrante Sbarra. La compagnia del banco di Lucca del 1599-1605 fu socia in accomandita con 2.000 ducati di Napoli (10% del capitale sociale) della "Bartolomeo, Camillo Orsucci, Agostino, Vanni Santini di Napoli" del 160°-1602; della "Paolino, Agostino Santini e C. di Messina" del 1600-1603 con 400 once (5,5%) e della "Paolino Santini, Ottavio Raffaelli e C. di Messina" del 1604-1607 con 1.000 scudi (6,66%).
In conclusione, tenendo conto anche dell'azienda lucchese dell'arte della seta, fra il 1599 e il 1605, il B. fu socio di cinque delle sei compagnie del gruppo Buonvisi (la settima, "Fabio di Giuseppe Buonvisi e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1599-1603, rappresentava un tentativo isolato di far risorgere la vecchia ditta del ramo minore dei Buonvisi); fu "principaliter nominatus" di quattro di esse, e contava infine due suoi figli fra i soci della sesta, quella veneziana. Il principio di riunire nelle mani del più anziano della famiglia tutte le fila di un'organizzazione formalmente decentrata (si noti, in questi anni, anche la scomparsa delle partecipazioni che nel passato alcune compagnie Buonvisi avevano mantenuto nelle consorelle) veniva dunque rispettato ancora una volta. L'intitolazione al B. delle compagnie, dopo il ritiro di Bernardino Buonvisi, era il segno esteriore del permanere di quella "unione" all'interno della famiglia che Benedetto Buonvisi aveva raccomandato ai figli nel 1587 poco prima di morire. Il B., dopo le precedenti disavventure mercantili, non aveva altri titoli ad assumere la posizione di "capo" del sistema di aziende Buonvisi che l'età: scorrendo il testamento di suo fratello Bernardino constatiamo infatti che per quasi tutte le "misse" gli vennero anticipati denari dal fratello, e che tutti gli utili, nonché i "vantaggi" derivanti dal servizio prestato dai suoi figli alle compagnie, dovevano servire a pagare debiti. Il grosso sacrificio professionale era compensato in prospettiva dall'eredità di Bernardino: ma quando nel 1605 essa venne a rinsanguare il patrimonio del B., il solo Pompeo sopravviveva dei suoi figli.
Alla fine del 1605 il B. fu nuovamente "principaliter nominatus" delle ditte di Lione, Lucca e Piacenza, tutte riprese con la ragione sociale "Paolo, Stefano, Antonio Buonvisi e C.".
La compagnia di Lucca ("del banco e di negotii mercantili") ebbe un capitale di 16.000 scudi, 12.000 dei quali conferiti da Martino, Stefano e Antonio e 2.000 dal B. e da Pompeo Buonvisi; altri 2.000 furono versati da Giovanni Carli. Della società, chiusasi soltanto nel gennaio del 1609, non faceva più parte Baldassarre Cittadella. La compagnia di Lione che terminò, secondo quanto risulta, nella fiera di agosto del 1608, ebbe un capitale di 27.000 scudi: Paolo e Pompeo parteciparono con soli 2.000 scudi, Martino e Antonio Buonvisi e Filippo Graziani (un nuovo socio) con 4.000 ciascuno, Alfonso Cittadella con 1.000 e Stefano Buonvisi con 12.000. La compagnia di Piacenza, che giunse fino al 1609, fu diretta da Pompeo Buonvisi e Arrigo Diodati ed ebbe un capitale di 44.600 scudi, 10.000 dei quali versati da Paolo e Pompeo Buonvisi, 6.000 ciascuno da Stefano, Martino e Antonio, 1.500 da Alessandro Diodati, 3.000 da Ottaviano Diodati, 4.500 da Niccolò e Arrigo Diodati e 7.600, per conto a parte, da Stefano e Antonio Buonvisi.
Il B. non partecipò alla "Stefano, Antonio Buonvisi, Ottaviano Diodati e C. di Genova" del 1605-1609, ma suo figlio Pompeo vi conferì una "missa" di 16.000libbre (20%) e la parallela compagnia di Piacenza le accordò altre 8.000libbre (10%). Il B. fu assente anche dalla compagnia di Venezia del 1606-1608cui Pompeo partecipò con 2.000ducati (11,1%). Il B. infine ricostituì per quattro anni nel 1608 la sua ditta di arte della seta ("Paolo Buonvisi, Piero Massei e C.") con un corpo di compagnia di 38.000scudi: ne conferì 18.000insieme con Pompeo, mentre Piero Massei contribuì per 13.500;Giovambattista Guinigi (2.000)e Andrea Massei (5.000) erano gli altri soci dell'azienda.
Il B. non sopravvisse alla sua ultima compagnia che si riaprì per sei anni il 15 genn. 1612 sotto la denominazione "Erede di Paolo Buonvisi, Piero Massei e C." e con un capitale di 40.000 scudi (18.000 di Piero Massei, 15.000 di Pompeo Buonvisi, 5.000 di Andrea Massei e 2.000 di Giovambattista Guinigi).
Di 1.000 scudi fu elevato il capitale al rinnovo per quattro anni del 1618 (18.600 scudi di Piero Massei, 15.000di Pompeo Buonvisi, 5.400di Andrea Massei, 2.000di Niccolò de' Nobili); nel 1623 siritornò a 40.000 scudi (Andrea Massei 20.500, Pompeo Buonvisi 16.000, Niccolò de' Nobili 3.500).Infine la ditta fu rinnovata per l'ultima volta con un Buonvisi "principaliter nominatus" nel 1626:la "Pompeo Buonvisi, Andrea Massei e C." aveva portato il suo capitale a 44.000 scudi (Pompeo 13.000, Andrea Massei 21.500, Alfonso Cittadella 5.000, Niccolò de' Nobili 4.500). I Massei dalle iniziali modeste partecipazioni alle compagnie dell'arte della seta erano giunti ora non solo a controllare una antica azienda dei Buonvisi, ma a crearne di nuove, e in diretta concorrenza con quelle della grande famiglia mercantile.
Fin dal 1609dal banco di Lucca dei Buonvisi era uscito Pompeo di Paolo, che lasciò anche le compagnie di Venezia e di Piacenza (rinnovate ad opera dei Diodati) e quella di Lione. Attraverso le "Erede di Paolo Buonvisi, Piero Massei e C. di Lucca" del 1612-18, 1618-1622 e 1623-26 Pompeo aderì alle "Giuseppe, Fabio Guinigi, Andrea Massei e C. di Lione" del 1615-18(accomandita di 10.000 scudi su 32.000), del 1618-1623 (33.000 libbre su 108.000)e del 1623-1626 (21.000 libbre su 73.500). Egli partecipò inoltre personalmente (con 400 once su 8.200)alla "Andrea Massei, Francesco Busdraghi e C. di Messina" del 1623-26, cuiaderiva anche (con 1.400 once) la "Pompeo Buonvisi, Andrea Massei e C. di Lucca" del 1623-26.Attraverso la ditta lucchese del 1626-29 Pompeo contribuì infine con 19.500 libbre su 90.000 alla "Alfonso Cittadella, Andrea Massei e C. di Lione" degli stessi anni; al suo rinnovo per il 1629-1630, sotto la ragione "Erede di Alfonso Cittadella, Marcantonio Sanminiati, Piero Massei e C.", era scomparsa qualsiasi partecipazione, diretta o indiretta, del Buonvisi.
Negli anni che videro il tramonto dell'ormai plurisecolare sistema di aziende Buonvisi la vicenda di Pompeo ben illustra il declino di quella "unione" che era stata la grande forza della casata nella conduzione degli affari: separatosi dai cugini e sopravanzato nella sua stessa ditta dalla famiglia d'un vecchio direttore della compagnia, Pompeo si salvò dal fallimento in cui furono coinvolti i suoi cugini, ma finì per dover cedere un'azienda che aveva già portato a contrapporsi alle altre ditte della famiglia.
Anziano nel 1601, 1606, 1609, 1614, 1616, 1623, 1630 e 1635 e gonfaloniere nel 1619e nel 1631, Pompeo fu erede del padre anche nel cursushonorum. Il pur numeroso ramo dei Buonvisi, che egli era rimasto solo a rappresentare, si estinse alla metà del sec. XVII con l'omonimo nipote Pompeo di Paolo.
Degli altri figli del B., tutti nati da Faustina di Giuseppe Buonvisi, erano morti prima della fine del secolo XVI Carlo, Orazio (a Lione nel 1589), e Lelio (assassinato a Lucca nel 1593); Scipione morì a Venezia nel 1604; Fabrizio e Cesare si fecero cavalieri di Malta. Delle figlie, Chiara sposò Lorenzo Burlamacchi, Filippa Andrea di Ferrante Sbarra, Sara Alfonso di Baldassarre Cittadella, Caterina Ludovico di Alessandro Buonvisi (padre del cardinale Girolamo): in tutti i casi si era trattato di matrimoni o con parenti o con i figli di soci d'affari, a loro volta già imparentati con i Buonvisi. Lo stesso Pompeo aveva sposato Luisa di Alessandro Buonvisi e diede poi in moglie al figlio Paolo Elisabetta di Ludovico di Alessandro Buonvisi: se i matrimoni non servivano più a rafforzare i vincoli commerciali valevano almeno a conservare intatte all'interno della famiglia, assottigliata dall'endogamia, le ricchezze accumulate nelle secolari attività mercantesche.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Lucca, Comune,Corte dei mercanti, n. 87 (Libro delle date), pp. 55, 85v, 122v, 166 (banco di Lucca); cc. 45v-46v, 92, 95v (arte della seta di Lucca); cc. 108v, 139rv (arte della lana di Lucca); cc. 29v-30, 48-49, 91, 123v-124, 166v-167, 181 (Lione); cc. 97v, 122, 131v (Anversa); cc. 184v-185 (Venezia); c. 99 (Ancona); n. 88 (id.), cc. 199rv, 200 (banco di Lucca); pp. 20v, 67v, 151rv (arte della seta di Lucca); cc. 59v-60, 141v-142 (Lione); cc. 184v-185 (Anversa); cc. 185v-186 (Venezia); cc. 6v-7, 31rv, 104rv, 111, 150, 176v (Genova); cc. 98rv, 103rv, 139, 150v, 166, 177 (Piacenza); cc. 121, 123v, 148, 161v-162 (Palermo); cc. 175-176 (Napoli); cc. 163-164v (Messina); n. 89 (id.), cc.76rv (banco di Lucca); cc. 13, 101, 133rv (arte della seta di Lucca); cc. 1rv, 6, 74v-75v, 161v-162 (Lione); cc. 48, 64 (Anversa); pp. 25, 83v (Venezia); cc. 3, 71v-72v (Genova); pp. 2, 7, 73-74 (Piacenza); c. 46v (Milano); c. 49v (Bologna); c. 18 (Napoli); pp. 23, 61rv, 85rv (Messina); n. 90 (id.), cc. 8rv, 38, 59rv, 90 (arte della Seta di Lucca); cc. 17, 39, 64, 83v (Lione); pp. 40-41 (Messina); Ibid., Anziani al tempo della libertà, n. 766 (anzianati e gonfalonierati); Ibid., Archivio Buonvisi, I, 64, inss. 2, 15 (notizie sulla famiglia Buonvisi); Ibid., Archivio Arnolfini, n. 6, cc. 108-141; n. 48, ins. 1; Lucca, Biblioteca governativa, ms. 1108: G. V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi (sec. XVIII), ad nomen; S.Bongi, Storia di Lucrezia Buonvisi, Lucca 1864, p. 153 (patrimonio del B. nel 1599 e nel 1606) e passim; H.Lapeyre, Une famille de marchands: les Ruiz. …, Paris 1955, ad Ind.; J. Gentil da Silva, Stratégie des affaires à Lisbonne entre 1595 et 1607, Paris 1956, ad Ind.; A. Tenenti, Naufrages,corsaires et assurances maritimes a Venise,1592-1609, Paris 1959, ad Ind. (Scipione Buonvisi); F. Casali, L'azienda domestico-patrimoniale di Ludovico Buonvisi e la sua partecipazione alle compagnie del casato (con trascrizione del libro personale suo e degli eredi del 1549-69), tesi di laurea, università di Pisa, facoltà di economia e comm., s.d. (ma 1964), ad Indicem (cfr. Arch. di Stato di Lucca, Arch. Buonvisi, I, 72); F. Ruiz Martin, Lettres marchandes échangées entre Florence et Medina del Campo, Paris 1965, ad Ind.; R.Mazzei, Ricerca sulla vita politica ed economica della Repubblica di Lucca agli inizi del sec. XVII, tesi di laurea, università di Firenze, facoltà di magistero, 1969-70, p. 79 e passim.