CALBO, Paolo
Appartenente a una nobile famiglia veneziana, la cui ascesa politico-economica, in quanto rappresentante delle "forze… popolari dei lavoratori del mare" (Cracco, p. 54), inizia già dalla fine del sec. XII, nacque da Marino intorno al 1465, nel momento, cioè, del consolidarsi dell'espansione di Venezia nella Terraferma, e dell'incrementarsi degli investimenti fondiari, interessanti, d'altra parte, la sua stessa famiglia.
Ma l'elemento caratterizzante la sua personalità, il motivo che attraverserà le vicende della sua vita, in un ambiente familiare-che, al contrario, prediligeva la lenta carriera diplomatica e amministrativa, o i sicuri proventi delle "terre", sarà la "vita di mare", il tempo, fatto di pericoli e di imprevisti, ma esaltante, trascorso al comando di galea, il controllo militare dei traffici, in definitiva quel Mediterraneo orientale già percorso dai corsari turchi e barbareschi, che lo attira, lo affascina. E di problemi e vicende militari, infatti, legati al mare e all'Oriente ("consumò li suoi anni et la vita in mare": Priuli, c. 117v) è caratterizzata la sua "ventura" umana.
Dopo alcuni incarichi brevi e marginali, prima come "castellanus" a Limena (maggio 1489-luglio 1490), quindi come "camerarius et castellanus" di Arbe (13 luglio 1490-febbr. 1492), poi come "advocatus per omnes curias" (12 maggio-22 giugno 1495), lo troviamo, ai primi di giugno del 1499 (il 16 dicembre dell'anno precedente era stato nominato podestà di Lendinara), in ballottaggio per il comando di una galea "di Alexandria".
è la situazione critica del Mediterraneo orientale, "atento li desordeni" del momento (ostilità e movimenti della flotta turca), ad esigere la necessità di rinforzare la squadra navale, e al più presto, e con elementi di provata esperienza e fedeltà alla Repubblica; per cui l'8 giugno, non senza insistenze, pressioni, richieste continue ("pianzendo" scrive il Sanuto) agli avogadori di Comun, il C. ottenne il comando di una galea col titolo di sopracomito. Questa breve campagna estiva (luglio-agosto) contro il Turco, al comando di Antonio Grimani, segna per Venezia un grande fallimento militare; parte della flotta fuggì prima della battaglia, e solo poche navi si scontrarono col nemico, e fra queste la galea del C., il quale riuscì a conquistare "una bandiera turcha" perdendovi una gamba. Tuttavia, in seguito al furore popolare scatenatosi a Venezia alla notizia dell'avvenimento e della disfatta militare, furore che esigeva dei precisi colpevoli, anche il C., insieme a Giusto Gauro e Troiano Bollani, subisce un ingiusto processo, con accuse generiche; sarà l'intervento "sapientissime" di Pietro Pasqualigo ad ottenergli, con sentenza della Quarantia del 24 e 25 sett. 1500, l'assoluzione. Dopo questo incidente che aveva colpito proprio lui, uno che aveva "fato assai", e che "per li soi carati è cussì meritato", prosegue la sua "vita di mare", prima per essergli stata affidata una "barza picola", il 15 genn. 1501, in seguito per l'ottenimento del comando, nell'agosto dello stesso anno, di una nave "grossa… su le galie di Barbaria". è in questo momento, d'altra parte, che la sua "fama" di comandante raggiunge l'apice. Il 4 agosto, infatti, "per il dir di pescadori", riesce a sorprendere nel porto di Cotrone, posto sotto la giurisdizione del re di Spagna, tre navi corsare le quali, pochi giorni prima, si erano impossessate della "Soranza", nave veneziana "carga di tavole, di Bragadini", di tre "caravelle", e di "una nave di 500 bote". Il C. assediò a lungo il porto, bombardò la città, protettrice dei corsari in odio ai Veneziani, e inflisse gravi danni ai vascelli corsari. Ed anche se il C. non riuscì a recuperare la "Soranza", la sua impresa, in quanto avveniva in una realtà mediterranea nuova, modificantesi ai danni di Venezia in conseguenza della guerra di corsa che le metteva in pericolo i traffici, destò vivo "fermento": l'"honore" della Repubblica, la sua "fama" sul mare, il suo prestigio erano stati risollevati, sfidando direttamente il re di Spagna. Per questo, l'anno successivo, troviamo il C. alla difesa di Santa Maura, quindi, nel gennaio 1503 a Moccò ed "in pericolo"; poi, il 27 maggio del 1504, capitano delle galee di Alessandria.
È a conclusione dell'incarico stende una stringata relazione, quasi un testamento, sui "mali" che affliggevano le strutture navali veneziane: l'incuria nelle costruzioni ("i legnami è cativi, non sasonadi, et maxime le tavole"), il commercio, le svendite, il cattivo uso, il contrabbando di tutto il materiale in consegna.
Pochi giorni dopo, forse il 1ºgiugno, vicino a Caorle, poiché "vene fortuna", cadde in mare per salvare il figlio, e annegò; portava con sé cento ducati poiché "feva far una nave sua a Santo Antonio".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Segretario alle voci, regg. 5, 6, 8; Avogaria di Comun. Raspe, reg. 19, c. 16v; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, ms. It.VII, 925 (= 8594): M. Barbaro, Geneal. delle fam. patrizie venete, c. 199v; Venezia, Civ.Museo Correr, cod. Cicogna 2889: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio…, I, c.117v; M. Sanuto, Diarii, II-VI, Venezia 1879-1881, ad Ind.;A.Tenenti, Venezia e i corsari…, Bari 1961, ad Ind.;F. C. Lane, Navires et constructeurs à Venise pendant la Renaissance, Paris 1965, pp. 203-216; G. Cracco, Società e Stato nel Medioevo veneziano (secc. XII-XIV), Firenze 1967, p. 40.