CAPPA, Paolo
Nacque a Genova il 19 febbr. 1888, ma trascorse l'infanzia e la fanciullezza a Savona dove poco dopo i suoi genitori Francesco e Maria Forzani di tradizione cattolica s'erano trasferiti. Qui ebbe la prima formazione religiosa e culturale che risentì dei contrasti interni al movimento cattolico d'allora e alla scuola statale; nel primo infatti era in atto il dissidio fra la corrente murriana dei giovani e quella temporalista dei vecchi, mentre nella seconda signoreggiava l'orientamento positivista.
Il C., giovane studente, si iscrisse al circolo popolare Pensiero e Azione ispirato alle idee democratico-cristiane, in netto contrasto col circolo Pio VII di tradizione clerico-conservatrice, acquisendovi quella autonomia di giudizio che restò la caratteristica del suo cristianesimo aperto. Al liceo Chiabrera poi si oppose all'ideologia positivista di alcuni insegnanti con una polemica che mosse a rumore la città e che costituì il lancio del settimanale murriano Il Letimbro, di cui egli assunse la direzione benché studente liceale.
Per gli studi universitari passò a Genova, dove fondò il circolo universitario cattolico. Laureatosi in giurisprudenza all'età di vent'anni, si dedicò subito all'attività giornalistica come redattore capo de Il Cittadino, il quotidiano cattolico di indirizzo conservatore non certo consono alle sue idee. Sconfessato dalla direzione nel marzo 1911 per aver polemizzato con La Liguria del Popolo, l'organo dell'oltranzismo papale, gli fu offerta la direzione de Il Cittadino di Brescia ch'egli accettò e al quale impresse quel tono filoparlamentare e patriottico alla Filippo Meda che poi doveva restare la sua definitiva posizione politica. Non gli venne risparmiata naturalmente l'accusa di "modernizzantismo" da parte degli intransigenti Scotton e Cavallanti, i quali in vari attacchi personali gli rinfacciarono l'"italianismo e patriottismo bacato" non senza qualche allusione ad una scarsa devozione papale (La Riscossa, 29 giugno 1912).Ma il C., fedele al programma dei cattolici moderati, si batté per la "coscienza nuova" dei credenti di cui espose le prospettive politiche in una celebre commemorazione di don Albertario, riesumata quarant'anni dopo da un testimone in una pagina de L'Avvenire d'Italia (9 dic. 1956).
Forse per questa sua lealtà alle istituzioni dello Stato italiano ed anche per l'amicizia col genovese mons. Giacomo Della Chiesa - divenuto nel frattempo Benedetto XV - fu chiamato all'inizio del 1915 a dirigere il quotidiano cattolico bolognese che faceva parte del trust grosoliano. L'Avvenire d'Italia usciva allora da una grave crisi per la sconfessione di Pio X di qualche anno prima e perciò più che mai bisognoso di riconquistarsi la benevolenza della S. Sede nel mutato clima politico e papale. Il C. vi riuscì improntando il giornale ad una linea filogovernativa, ma anche di tenace difesa del patriottismo cattolico durante gli anni della prima guerra mondiale. I suoi puntuali articoli di fondo gli restituirono credibilità non solo nelle sfere vaticane. Terminato poi il conflitto, allineò il giornale alle posizioni sturziane del Partito popolare di cui il C. fu uno dei fondatori. Ve lo mantenne anche durante i torbidi del dopoguerra opponendolo, con raro equilibrio, sia al socialismo massimalista emiliano sia al nazionalismo esasperato degli squadristi. Per le prime elezioni politiche del dopoguerra si presentò candidato popolare in due circoscrizioni (Marche e Liguria) riuscendo eletto in entrambe. Optò per la Liguria nella quale venne rieletto anche nelle elezioni successive e perfino nella lista popolare antifascista del 1924dopo aver perduto la direzione de L'Avvenire d'Italia in seguito al suo rifiuto di farlo organo del Centro nazionale clerico-fascista.
In coerenza con la sua scelta antifascista parlò alla Camera contro la legge Acerbo (11 luglio 1923), accettò la responsabilità della edizione ligure de Il Popolo di Donati e dopo il delitto Matteotti fu aventiniano. Decaduto dal mandato parlamentare col noto decreto mussoliniano del 9nov. 1926, il C.si ritirò a Genova, dove intraprese l'attività forense, che svolse per tutto il periodo fascista senza venir meno alle sue idee democratiche, come poi testimoniò in una conferenza (Dal non expedit al presidente De Gasperi, Genova 1952).
In quegli anni di lavoro professionale, al margine della vita cittadina, si specializzò in questioni economiche e marinare risultategli molto utili nella ripresa della vita democratica allorché De Gasperi gli affidò per due volte il ministero della Marina mercantile, la cui ricostruzione gli venne unanimemente riconosciuta (Atti della Accademia della Marina mercantile, VII [1954]).
Naturalmente, a liberazione avvenuta, era subito ritornato nella vita politica come esponente democratico cristiano partecipando ai lavori della Consulta; successivamente venne eletto alla Costituente. Nominato senatore di diritto nella prima legislatura repubblicana, eletto deputato nella seconda, fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel secondo e terzo gabinetto De Gasperi. A lui si deve la riforma del progetto di legge sulla stampa. Ma la sua attività maggiore (come si è detto, fu ministro della Marina mercantile dal maggio 1947 al maggio 1948, e poi dal luglio 1951 al luglio 1953) si esplicò con competenza nella ricostruzione dei cantieri e nella ripresa dei commerci per la flotta mercantile (Replica al bilancio dell'Industria e Commercio. La rinascita dell'Italia nel dopoguerra. Da Cavour a De Gasperi, Roma 1954).
Il C. morì a Genova il 26 giugno 1956.
Bibl.: Anni roventi, in L'Avvenire d'Italia, 9 dic. 1956; A. Barile, Ricordo di P. C., in Civitas, VII (1957), 1-2, pp. 3-14; A. Cistellini, G. Tovini, Brescia 1954, pp. 86-92, 523; L. Bedeschi, Significato e fine del trust grosoliano, in Rass. di politica e di storia, X (1964), 116, pp. 7-24; Id., "L'Avvenire d'Italia" durante la prima guerra mondiale,ibid., XIII (1967), 152, pp. 173-78.