CARANDINI, Paolo
Nato a Modena nel 1535 da Elia, dottore e sindaco generale del Comune, e da Bianca Castelvetro, fu dottore di leggi e funzionario estense. Nel 1564 fu nominato dal duca Alfonso II commissario di Cento e tenne tale ufficio fino al dicembre 1568. Il vescovo di Bologna, cardinale G. Paleotti, e il suo vicario più volte protestarono presso il duca perché il C. ostacolava la loro giurisdizione sugli ecclesiastici del territorio centese. Verso la fine del 1568 il bargello di Bologna aveva ordine di farlo imprigionare se fosse entrato nel Bolognese.
Nel marzo 1569 fu inviato in missione speciale a Torino. Era da tempo in corso una lite per i confini tra Barga e Pievepelago e il duca di Savoia e il Senato di Milano ne erano stati nominati congiuntamente arbitri. Il C. dovette contrastare con un altro dottor di leggi, Giulio Caccia, mandato dal duca di Firenze a sostenere le pretese dei Barghigiani suoi sudditi: si discusse a lungo e la sentenza non soddisfece il duca Alfonso che fece opposizione.
Tornato a Modena, il C. fu nominato commissario del Frignario e governò quella provincia fino al 1574, anno in cui fu mandato ambasciatore alla corte cesarea in sostituzione di Renato Cato. Dopo una sosta a Innsbruck, dove visitò l'arciduca Ferdinando, arrivò a Vienna e il 30 dicembre ebbe la prima udienza dall'imperatore Massimiliano II. Nel febbraio 1575 seguì la corte a Praga, poi di nuovo, nel gennaio 1576, a Vienna e finalmente nel giugno a Ratisbona. Oltre che ad altri affari di minore importanza, il C. doveva attendere soprattutto a tre questioni: la candidatura del duca Alfonso al trono di Polonia, la lite di precedenza tra gli Estensi e i Medici, la questione dei titoli. Su tutti questi affari, che si dovevano portare innanzi contemporaneamente e che in certo modo influivano, col loro andamento, uno sull'altro, la posizione dell'ambasciatore si presentava tutt'altro che facile.
Quanto al primo, il duca, sapendo che alla corona polacca aspirava anche l'arciduca Ernesto, figlio dell'imperatore, voleva che la corte imperiale restasse il più possibile all'oscuro dei suoi maneggi. L'ambasciatore estense in Polonia, cavalier Bottoni, tornando in Italia, si era fermato a Vienna per ossequiare l'imperatore e gli aveva risolutamente negato che il duca Alfonso avesse promesso di dare enormi somme di denaro ai magnati polacchi e di sposare Anna Jagellone, sorella di Sigismondo II Augusto. Ma l'imperatore aveva dai suoi informatori notizie certe delle promesse fatte dal duca e dei maneggi da lui tenuti alla corte di Roma per ottenere l'appoggio del papa.
Perciò il C. si trovò senz'altro in difetto di credibilità e costretto a barcamenarsi in modo da non mentire sfacciatamente all'imperatore, a dire il meno possibile e nello stesso tempo a far parlare gli altri per poter fornire al duca tutte le informazioni possibili circa il procedere delle cose e le mosse degli altri aspiranti. I suoi sforzi durarono finché non apparve certa l'elezione al trono di Stefano Báthory (gennaio 1576). Non meno disgraziata risultava la posizione del C. riguardo alla lite di precedenza. La contesa durava da oltre trent'anni e nel 1570 Alfonso, contando forse sullo sdegno dell'imperatore per avere Cosimo de' Medici accettato dal papa il titolo di granduca, aveva fatto citare il Medici davanti al tribunale imperiale. Poi, spaventato dalle proteste e dalle minacce papali, aveva portato la lite davanti al papa proprio quando il successore di Cosimo, Francesco, la portava dinnanzi al tribunale imperiale. La sua posizione nei confronti dell'imperatore si era resa così, anche a non tener conto dell'affare di Polonia, difficilissima. Quanto ai titoli (si trattava dei titoli di "altezza" e di "serenissimo" che Alfonso voleva gli fossero dati come venivano dati al duca di Savoia e al granduca) anche qui si scontravano e si contraddicevano le pretensioni papali e imperiali. Il ministro imperiale B. G. Weber disse infatti al C. che simili gare ed invidie erano "coglionerie"; ma che se gli Italiani ci tenevano tanto, dovevano chiedere i titoli all'imperatore e non "a un prete furfante com'è questo papa". Né per la lite di precedenza, né per i titoli il C. riuscì ad ottenere una soddisfacente decisione. Ma le moltissime lettere e relazioni da lui mandate al duca dimostrano che egli era, come diplomatico, dotato di abilità e di tatto; senonché le cause che gli erano state affidate erano perdute in partenza. Dopo la morte di Massimiliano (12 ott. 1576) il C. seguì a Praga Rodolfo II, che lo fece nobile del Sacro Romano Impero. Tornato a Modena nel febbraio 1577 fu nominato governatore della Garfagnana, provincia assai difficile da governare per le continue lotte delle fazioni e sempre minacciata dai Lucchesi. Passò poi al governo della Romagna estense e finalmente nel 1589 fu fatto governatore di Reggio, dove morì il 13 apr. 1590.
Ebbe un figlio naturale, Alfonso, e dalla moglie, Claudia Ferrari di Cento, ebbe Andrea, Fabio, Elia, Ginevra, Bianca e Paolo, nato postumo.
Fonti e Bibl.: Modena, Deput. di storia patria, Arch. Carandini, bb. 58 s.; Archivio di Stato di Modena, Arch. Estense,Rettori dello Stato,Ferrara e Ferrarese, bb. 22, 27; Frignano, b. 4; Garfagnana, b. 6560; Romagna, fil. I; Reggio, b. 44; Ambasciatori..., Torino, b. 2; Germania, bb. 31; 32; Particolari, b. 287; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, I, Modena 1781, p. 397.