CARCANO, Paolo
Nato a Como il 24 genn. 1843 da Giovanni, architetto capo del comune, e da Angela Maggi, aveva completato gli studi secondari nel clima degli anni che preparavano la fine della dominazione austriaca e l'annessione della Lombardia al Regno di Sardegna. A 17 anni si trovava a Pavia per il primo anno d'università quando, insieme con alcuni amici, decise di partire con la spedizione Medici diretta in Sicilia per unirsi ai volontari che con Garibaldi avevano superato la prima resistenza borbonica e liberato Palermo. Sbarcato nell'isola alla fine del giugno 1860, il C. combatté il 20 luglio a Milazzo; partecipò poi il 21 agosto alla presa di Reggio Calabria mostrando notevole coraggio nei corpo a corpo notturni con i borbonici per le strade della città, e fu ancora in prima linea nei primi giorni d'ottobre nella decisiva battaglia del Volturno (cfr. i suoi Ricordi garibaldini del 1860, in Nuova Antol., 16 apr. 1918, pp. 341-66).
Ritornato a Como, riprese gli studi laureandosi in giurisprudenza nell'ateneo pavese, poi nell'ottobre 1864 entrò per concorso come praticante d'ufficio nella Camera di commercio ed arti. Nel 1866 tornava ad arruolarsi tra i volontari raccoltisi ancora attorno a Garibaldi; inquadrato nel battaglione di bersaglieri comandati da A. Mosto partecipò alla campagna nel Trentino, e combatté a Bezzecca poco prima che la firma dell'armistizio interrompesse l'avanzata (cfr. i suoi Ricordi garibaldini del 1860, in Nuova Antologia, 16 genn. 1918, pp. 113-27). Nel 1867 si trovava a Firenze come rappresentante comasco al congresso delle Camere di commercio quando, accogliendo il nuovo appello di Garibaldi, raggiunse con gli altri volontari l'Agro romano e, ancora sotto il comando di A. Mosto, si batté contro i pontifici a Monterotondo, dove rimase ferito al braccio sinistro che restò paralizzato per tutta la vita.
Stimato per il suo passato patriottico dai concittadini, il C. si dedicò al lavoro presso la Camera di commercio, dal 1872 con le funzioni, e dall'agosto 1875 con la carica di segretario. Studiò e dibatté, in quegli anni, i problemi economici della provincia di Como, e perfezionò la sua preparazione prevalentemente indirizzata alla scienza delle finanze e alle questioni fiscali e doganali. Nel marzo 1878 preparò una Petizione al Parlamento in difesa dell'economia comasca; dal 1878 al 1887 collaborò alla Manifattura serica, settimanale dell'Associazione della tessitura serica italiana, con numerosi articoli sui problemi tecnici ed economici del settore, e pubblicò alcuni opuscoli in materia di amministrazione pubblica e di tariffe doganali. Fu per molti anni consigliere provinciale e comunale di Como.
Il suo lavoro presso la Camera di commercio gli permise di conoscere, insieme alle esigenze degli imprenditori, anche quelle degli operai; il C. seguì con favore il sorgere di un'organizzazione di lavoratori, voluta da alcuni esponenti della borghesia progressista comasca come organo che esercitasse una funzione arbitrale tra padroni e operai. Iniziò la vita politica nelle file della democrazia avanzata, ma il suo primo tentativo elettorale, nell'ottobre 1876, fu sfortunato. Fu invece eletto alla Camera dei deputati nelle elezioni suppletive del febbraio del 1881 per il collegio di Como II, come esponente democratico e con l'appoggio di organizzazioni popolari. Nuovamente sconfitto nel 1882, fu invece trionfalmente rieletto nel 1887 con il determinante appoggio del consolato delle Associazioni operaie comasche, che s'impegnò a fondo perché tutti i voti proletari convergessero sul suo nome. Da quell'anno fino alla morte il C. fu presente senza interruzioni nel Parlamento italiano.
L'elezione e il successo politico del C. vanno in gran parte attribuiti alle sue benemerenze patriottiche e alla sua probità, serietà e imparzialità, che avevano fatto convergere i voti di elettori appartenenti a diversi settori politici. Il C., del resto, pur dichiarando di appartenere, coerentemente con il passato garibaldino, alla Sinistra democratica, proclamava di essere monarchico-costituzionale. Le doti di equilibrio e serenità e il riconoscimento di una specifica competenza dei problemi finanziari furono i fattori che portarono presto il C. al banco del governo. Dopo essere stato sottosegretario alle Finanze nel gabinetto Crispi (9 marzo 1889-9 febbr. 1891), egli fu ministro dieci volte tra il 1898 e il 1917. Divenne così, per gli incarichi governativi assolti, uno dei maggiori esponenti politici; più di una volta fu chiamato, in momenti di indubbia gravità, ad occupare posti delicati, magari sostituendo ministri dimissionari, non ritraendosi mai dalle responsabilità, convinto di dover servire in ogni caso il paese, secondo l'inclinazione che caratterizzò la maggior parte degli uomini che avevano partecipato alle lotte per l'indipendenza. E come numerosi uomini di formazione garibaldina, dalle posizioni democratiche iniziali pervenne a precise posizioni moderate, perché come quelli preoccupato che l'unità nazionale, tanto faticosamente raggiunta, potesse venir compromessa dalla lotta di classe promossa dal movimento operaio.
In economia, il C. fu sostenitore della dottrina liberista, non contrario però agli interventi protezionistici che giudicava indispensabili per salvare l'industria nazionale garantendo l'occupazione e il lavoro. Fu fermo sostenitore dell'esigenza del bilancio in pareggio.
Nel gabinetto costituito da F. Crispi il C. fu chiamato a ricoprire l'incarico di sottosegretario alle Finanze. Ministro delle Finanze fu all'inizio F. Seismit-Doda, ma, dopo la sua destituzione in seguito al noto episodio legato alla polemica irredentistica, G. Giolitti, già incaricato del Tesoro, fu chiamato il 14 sett. 1890 a reggere interinalmente il dicastero vacante. La stima e l'amicizia del Giolitti per il C. ebbero inizio in questa occasione; questi cominciò allora a gravitare nell'orbita di quello e, negli anni successivi, entrò a far parte del gruppo di deputati più strettamente legato allo statista piemontese.
Caduto il governo Crispi, il C. ritornò all'attività parlamentare, e più volte intervenne in dibattiti su temi commerciali, bancari, doganali. Nell'aprile 1897, alla apertura della XX legislatura, fu nominato presidente della Commissione dei diciotto e fu, tra l'altro, relatore del disegno di legge sulla Cassa di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia dei lavoratori. Ritornò al governo col portafoglio delle Finanze nel gabinetto costituito da L. G. Pelloux il 19 giugno 1898, dopo i tumulti verificatisi a Milano e in altre parti d'Italia, con una larga rappresentanza della Sinistra liberale e con il programma di rimarginare le ferite aperte nel paese dai pesanti interventi repressivi dell'esercito e dalle gravi condanne inflitte a dirigenti dell'opposizione radicale, socialista e cattolica, come F. Turati, L. De Andreis, C. Romussi, don D. Albertario. Il C. si espresse a favore di un provvedimento pacificatorio di amnistia, ma il Pelloux, influenzato dallo schieramento conservatore, non accolse la proposta. Perciò il C. (che si era interessato al trattamento in carcere del Turati) non entrò nel secondo gabinetto formato dal Pelloux il 14 maggio 1899 ritenendo che fosse troppo decisamente spostato a destra.
Il 24 giugno 1900 fu chiamato quale ministro dell'Agricoltura, dell'Industria e del Commercio nel nuovo governo formato da G. Saracco, che segnò la ripresa costituzionale resistendo alle pressioni reazionarie successive all'assassinio di Umberto I. Il Saracco si dimise il 15 febbr. 1901. Gli subentrò G. Zanardelli (15 febbr. 1901-3 nov. 1903), messo dopo pochi mesi in difficoltà dai progetti di modifica dell'ordinamento tributario presentati dal ministro delle Finanze L. Wollemborg e contrastati dal Giolitti, ministro degli Interni, per timore della reazione dei ceti abbienti danneggiati dai nuovi criteri. Il Wollemborg, poiché il gabinetto non approvava i suoi progetti, si dimise e il 9 ag. 1901 fu chiamato a rimpiazzarlo il C., incline a seguire l'indirizzo giolittiano. Durante il ministero, il C. propose l'abolizione del dazio di consumo sul pane e sulla pasta, che divenne legge il 23 genn. 1902; studiò un provvedimento legislativo che avrebbe introdotto, agli effetti della tassa di successione, la obbligatorietà della conversione in nominativi di tutti i titoli al portatore; elaborò un progetto di legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli per il quale si servì dell'esperienza fatta presso la Camera di commercio di Como.
Al C. fu affidato, il ministero del Tesoro nei due gabinetti presieduti da A. Fortis, il primo durato dal 28 marzo al 24 dic. 1905, il secondo fino all'8 febbr. 1906. Sostenne una politica finanziaria di contenimento della spesa pubblica e di gestione oculata del denaro pubblico, per ottenere il pareggio del bilancio. Escluso dal ministero Sonnino e dalla prima composizione del quarto ministero Giolitti, fu chiamato di nuovo al Tesoro il 17 maggio 1907 per sostituire Q. Majorana che era entrato in contrasto con il presidente del Consiglio sulla riforma della finanza comunale. Il progetto Majorana prevedeva la limitazione delle imposte indirette (dazio di consumo in particolare), compensando la riduzione del gettito con un'imposta locale sul reddito simile all'esistente imposta di famiglia. Il provvedimento avrebbe procurato al governo l'ostilità dei ceti abbienti, per cui il Giolitti preferì rinunciare al Majorana chiamando il C., che fu confermato al Tesoro nel successivo gabinetto giolittiano cessato l'11 dic. 1909 (cfr. del C. Sulle condizioni delle finanze e dell'econ. pubblica in Italia al 1º dic. 1909, Roma 1909; e anche Finanze e Tesoro, in Cinquant'anni di storia ital., a cura d. R. Accad. dei Lincei, Roma 1911, II, pp. 1-75).
Escluso dai successivi ministeri presieduti da S. Sonnino, L. Luzzatti, G. Giolitti e A. Salandra, fu nominato vicepresidente della Camera nella XXIV legislatura (27 nov. 1913-29 sett. 1919) e alla vita parlamentare partecipò con la consueta assiduità e scrupolo. Nel maggio 1912, durante la discussione della legge che introduceva il suffragio universale, il C., pur esprimendo il pieno appoggio all'ampliamento dell'elettorato, aveva chiesto la sospensiva su un articolo che attribuiva ai deputati un'indennità annua di lire quattromila: atteggiamento che definisce il carattere di un uomo in cui il rigoroso moralismo prendeva il sopravvento sulle considerazioni di opportunità politica. Nel dicembre 1913 fu invitato a presentare l'ordine del giorno a favore del governo Giolitti nel dibattito successivo alle elezioni politiche che avevano visto l'intervento massiccio dei cattolici a sostegno dei candidati moderati; è significativo che tale incarico toccasse proprio al C., uno dei pochi, tra i candidati giolittiani, a non aver ricevuto alcun contributo di voti dai cattolici, essendosi rifiutato di scendere a compromesso con i gruppi clericali comaschi.
Il ministero Giolitti cessò il 14 marzo 1914, e gli subentrò il 21 marzo un gabinetto presieduto dal Salandra. Nel giugno la settimana rossa mise a dura prova il governo: nel dibattito parlamentare l'opposizione socialista, repubblicana, radicale e di una parte dei giolittiani attaccò duramente il governo accusandolo di avere inscenato una vera e propria reazione antioperaia. Il C., pur rimanendo nel gruppo giolittiano, dichiarò di non potersi schierare contro il governo, ritenendo che la responsabilità dei morti ricadesse sui promotori dei disordini, ai quali il ministero non poteva permettere di fare ulteriore opera disgregatrice nel paese. Quando, nel corso della successiva discussione in Parlamento sui provvedimenti finanziari proposti dal governo, i socialisti attuarono l'ostruzionismo paralizzandone l'attività, il C., insieme con altri autorevoli deputati, cercò una mediazione col Turati e con C. Treves per superare la difficile situazione, e dettò la formula transattiva, illustrandola alla Camera il 2 luglio 1914, che comportò la fine dell'ostruzionismo e la salvezza del governo.
Pur mantenendo stretta amicizia con Giolitti, il C. aveva maturato un'evoluzione che lo aveva reso sempre più autonomo da quello. Il distacco emerse con l'inizio del dibattito sull'intervento in guerra; al deciso e insistente pronunciamento di Giolitti per la neutralità, corrispose da parte del C. un pronunciamento interventista. Oltre le convinzioni moderate e di ordine, il suo passato di partecipe alle lotte per l'indipendenza lo rendeva sensibile alle istanze irredentistiche e al completamento dell'unificazione nazionale, tema ideale che coinvolgeva uomini di Sinistra come L. Bissolati e G. Salvemini, E. Sacchi e U. Comandini.
Quando, il 5 nov. 194, si costituì il nuovo ministero Salandra, essendo caduto il precedente per le dimissioni del ministro del Tesoro G. Rubini - che aveva condizionato le spese straordinarie per l'esercito all'emanazione di provvedimenti per nuovi tributi -, il C. ricoprì quell'incarico. Egli non vi figurò, come fu scritto, quale rappresentante di Giolitti, ma operò in modo autonomo.
Nei giorni precedenti l'entrata in guerra dell'Italia il C. fu incaricato dal Salandra di mettere al corrente Giolitti degli impegni internazionali (patto di Londra) che il governo aveva sottoscritto e delle relative imminenti decisioni. L'incontro ebbe luogo il 9 maggio. Nella relazione del colloquio presentata nelle Memorie, Giolitti afferma di aver ricevuto soltanto indicazioni generiche, e di non essere stato informato del trattato già firmato e delle relative clausole. Attorno a questo episodio ci fu, nell'immediato dopoguerra, una vivace polemica, ripresa dalla recente storiografia; del C., l'unico che avrebbe potuto confermare o respingere l'affermazione giolittiana, non sono pervenuti documenti in proposito. Il successivo 10 maggio Giolitti fu consultato dal re sulle dimissioni del ministero Salandra, e fece, per l'eventuale successione, i nomi di G. Marcora e del C., ritenendoli più adatti ad assumere la responsabilità del paese in quella contingenza. Ma il C., consultato a sua volta dal re, avrebbe confermato, secondo quanto afferma il Salandra nel suo diario, la fiducia e la stima politica verso il presidente del Consiglio. L'atteggiamento del C. sarebbe stato tra quelli che convinsero di più Vittorio Emanuele III a respingere le dimissioni del gabinetto Salandra.
Dichiarata la guerra, quale ministro del Tesoro il C. ebbe la difficile responsabilità di vagliare tutte le spese, anche quelle di guerra, nel quadro generale di un equilibrio economico e finanziario necessario allo sforzo bellico del Paese.
Che tendesse a "lesinare i soldi", che non avesse previsto tempestivamente un piano adeguato alle esigenze del momento, sono giudizi, come quelli di L. Albertini, che peccano di tendenza, per i non dimenticati rapporti del C. con Giolitti. Che la sua lealtà e la sua coerenza politica fossero insospettabili, lo attesta la riconferma al Tesoro nel successivo gabinetto presieduto da P. Boselli (19 giugno 1916-30 ott. 1917). Fu un periodo di intensa attività, soprattutto per coordinare con gli alleati le iniziative finanziarie. Nel luglio 1916, assieme al generale A. Dall'Olio (che divenne l'anno dopo ministro delle Armi e delle munizioni), partecipò a Londra alla conferenza economica degli Stati alleati, dove ebbe le assicurazioni più ampie per l'Italia sugli aiuti e i rifornimenti indispensabili; nonostante ciò, nei mesi successivi permasero, e in qualche caso si accentuarono, difficoltà che furono per il C. fonte di preoccupazione. Nel novembre rappresentò l'Italia alla nuova conferenza interalleata a Parigi, fronteggiando soprattutto la delegazione britannica col primo ministro Asquith e Lloyd George. Nell'ottobre 1917, intervenendo nel dibattito alla Camera, assicurava che l'Italia poteva soddisfare ai debiti pendenti fino al giugno 1918, precisando che "era in grado di dare ai suoi debitori ogni desiderabile, ogni migliore garanzia". Pochi giorni dopo, superata la crisi di Caporetto, il ministero Boselli rassegnava le dimissioni e il nuovo governo veniva affidato a V. E. Orlando.
Il C., cui dopo Caporetto si era pensato come presidente di un gabinetto di unità nazionale, rimase escluso dalla nuova combinazione ministeriale. La sua salute era già minata. A fatica, il 22 dic. 1917, presentò alla Camera l'ordine del giorno a favore del nuovo governo. Ritornato a Como, vi morì il 6 apr. 1918.
Fonti e Bibl.: Si rinvia agli Atti parlamentari dal 1881 al 1918 per i discorsi, le interpellanze, gli interventi nei dibattiti, i disegni di legge presentati. Si vedano ancora: G. Giolitti, Mem. della mia vita, Milano 1944, pp. 1453 162, 173, 229, 236, 539, 542; F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio, I, Maggio 1898-giugno 1899, Torino 1949, pp. 121, 141, 372, 487, 490; L. Albertini, Venti anni di vita politica, I-V, Bologna 1950-53, ad Ind.; A. Salandra, Mem. politiche, Milano 1951, ad Ind.; O. Malagodi, Conversazioni della guerra 1914-1919, a cura di B. Vigezzi, Milano-Napoli 1960, pp. 59, 61, 69, 72, 118, 257, 363; D. Severin, P.C., Como 1960; V. Lucati, P.C. da Milazzo al Volturno, in Pagine del Cinquantanove e del Sessanta, Como 1961, pp. 197-208; Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni di vita politica ital., I-III, Milano 1962, ad Indices; F. Martini, Diario 1914-1918, a cura di G. De Rosa, Milano 1966, ad Ind.; S. Sonnino, Scritti e discorsi extraparlamentari 1870-1922, a cura di B. F. Brown, Bari 1972, I-II, ad Ind.