CASATI, Paolo
Primogenito del marchese Lodovico e di Vittoria de' Punginibbi, nacque a Piacenza il 23 nov. 1617. La famiglia era originaria di Milano, anche se risiedeva a Piacenza già dal secolo XIV. Compiuti i primi studi nella città natale, entrò nel 1634 nella Compagnia di Gesù a Novellara, e dopo aver terminato gli studi di matematica e di teologia si dedicò all'insegnamento, che svolse soprattutto a Roma, nel Collegio Romano: insegnò retorica per due anni, fu per sei anni lettore di filosofia, per quattro lettore di teologia, poi passò all'insegnamento della matematica. Assai noto e apprezzato per i suoi interessi scientifici e per la conoscenza della lingua francese, venne scelto dal generale della Compagnia per una missione particolarmente impegnativa. Antonio Macedo, confessore della regina Cristina di Svezia, era stato da lei mandato a Roma per riferire la sua intenzione di convertirsi al cattolicesimo; così il C. e Francesco de Malines ebbero l'incarico di recarsi presso la regina per esaminare la fondatezza della sua fede e la solidità del suo intento.
Da Venezia s'imbarcarono il 12 dic. 1651, giungendo a Stoccolma dopo quattro mesi di navigazione. Fin dalla prima udienza la regina comprese che quelli che si presentavano come semplici turisti erano invece gli inviati del papa. Racconta lo stesso C. in una lettera Su la conversione della Regina di Svezia Cristina, 19 nov. 1655 (in Pastor, XIV, 2, pp. 515-18), dopo il ritorno a Roma, che la regina fu interrogata sui principali fondamenti della dottrina cattolica, sul problema del bene e del male, sulla provvidenza, sull'immortalità dell'anima, sulla necessità di seguire o meno la religione del proprio paese. Da questo e da altri incontri apparve non solo la straordinaria cultura teologica e scientifica della regina, ma soprattutto la sua ferma intenzione di abbracciare la religione cattolica, dopo un periodo di inquietudine religiosa durato cinque anni. La regina pose molte domande ai due gesuiti, e il C. afferma che non avrebbe saputo ripetere le risposte date, quasiché lo Spirito Santo avesse risposto per loro bocca. Le argomentazioni dei gesuiti mirarono a dimostrare l'accordo dei principî del cattolicesimo con la ragione, anche a proposito dei culti dei santi e delle reliquie. La regina manifestò loro anche il suo proposito di abdicare al trono, e quindi essi rimasero sbalorditi quando Cristina, qualche giorno dopo, affermò che la sua conversione era irrealizzabile e che essi potevano anche tornarsene a Roma. Le insistenze dei gesuiti (e forse le precarie condizioni economiche e il malcontento del paese) spinsero la regina a tornare nel primo proposito.
Nel maggio del 1652 il C. si diresse verso Roma con una lettera della regina per il nuovo generale dei gesuiti, Francesco Piccolomini. Si trattenne qualche mese ad Amburgo, in attesa di una seconda lettera per il papa. Non poté poi tornare a Stoccolma con la risposta del papa, perché nel frattempo l'intenzione della regina, che doveva rimanere segreta, era stata scoperta attraverso una lettera al Malines. Così il C. ritornò a Roma il 9 giugno 1651, ma la regina continuò a scrivergli da Upsala testimoniandogli la sua gioia per la decisione di lasciare la Svezia e di venire in Italia. Il che avvenne, com'è noto, dopo l'abdicazione del 1654.
A Roma il C. riprese l'insegnamento come istruttore degli allievi del terzo anno del Collegio, poi fu mandato a Venezia come provinciale e proposto della casa professa. Nel 1677 si trasferì a Parma, dove divenne insegnante e poi rettore dell'università per un trentennio. Poté così condurre a termine e dare alle stampe molte delle sue opere scientifiche. Entrato in amicizia coi Farnese, duchi di Parma, fu per lungo tempo confessore della duchessa Maria d'Este, moglie del duca Ranuccio II. La sua attività, prevalentemente scientifica nel periodo precedente l'arrivo a Parma, fu in seguito soprattutto amministrativa. Divenuto cieco nel 1705, morì a Parma il 22 dic. 1707.
Le sue numerose opere, per la maggior parte di fisica e matematica, presentano ancor oggi qualche interesse, soprattutto per le sensate osservazioni e per le esperienze riferite, anche se è stato avanzato qualche dubbio sulla sincerità del C. nel presentare molti esperimenti come compiuti da lui stesso. Nella dissertazione Vacuum proscriptum, Genuae 1649, si dimostra, attraverso un'esperienza col mercurio chiuso in un tubo, che in natura il vuoto non esiste. Altre dissertazioni trattano dei vulcani, dei fuochi aerei, dell'anima dei bruti, del calore umano, delle comete ecc. L'opera più nota è Terra machinis mota, Romae 1658, composta di cinque scritti (in un'edizione precedente dell'anno 1655 erano solo due) sotto forma di dialoghi tra Galileo, Guldin e Mersenne, che trattano rispettivamente il confronto fra le forze delle macchine fra loro, la gravità terrestre, i vari metodi per determinare la massa terrestre, il movimento della Terra e la separazione tra terre e acque. Non mancano curiosi esperimenti, come quello per determinare il peso dell'acqua. Opera assai rara è Fabrica et uso del compasso di proportione, Bologna 1664, 1668, 1671, 1685. In essa il C. insegna a compiere diverse operazioni col compasso ideato da Galilei, di cui dichiara d'aver letto l'opera relativa già dal 1642. La tromba parlante, Parma 1673, viene ricordata come anticipazione dell'idea del telegrafo. Dopo Problemata ab anonimo geometra Lugduni Batavorum proposita, Parmae 1675, e Le ceneri dell'Olimpo ventilate, Parma 1677, dialoghetto tra tre patrizi veneti sulla questione se il monte Olimpo sia soggetto a fenomeni atmosferici, il C. pubblicò la dissertazione De igne (parte prima, Venetiis 1686, Lipsiae 1688;parte seconda, Parmae 1694). Dedicata al granduca di Toscana Cosimo III, si compone di 13 dialoghi sulla natura dei corpi, composti di parti fisse (i sali), di umore (il mercurio) e di spirito (lo zolfo). Rispetto alla scienza del tempo, l'opera, di stampo aristotelico, risulta arretrata. Con le Hydrostaticae dissertationes, Parmae 1695, sei dialoghi fra tre patrizi veneti, Mauroceno, Gradenigo e Dandolo, si trattano vari problemi di fisica dei liquidi. Il primo analizza la natura dell'acqua, l'equilibrio delle acque subaeree, la forza dell'acqua in movimento. Il secondo riguarda il galleggiamento o meno dei corpi immersi in un liquido; il terzo dei natanti di vario genere e della loro stabilità, secondo il centro di gravità. La quarta dissertazione tratta del galleggiamento dei corpi umani, vivi e morti, e del nuoto; inoltre si discorre della velocità di immersione dei corpi secondo la loro forma. Il quinto dialogo verte sulla velocità delle acque in rapporto alla pendenza e alla natura del suolo. Il discorso si sposta così su problemi di utilità pubblica, come la canalizzazione e l'idraulica. Infine l'ultima dissertazione è dedicata alle pompe idrauliche per fontane. L'unica opera teologica del C. è De Angelis disputationes theologicae, Placentiae 1703, dedicata al vescovo d'Albano card. d'Estrées. L'ultimo scritto, Opticae dissertationes, Parmae 1705, fu composto dal C. ottantottenne e già cieco. Oltre alle citate, gli vengono attribuite diverse altre opere, meno interessanti o inedite.
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