Cortesi, Paolo
Nacque a Roma nel 1465, o meno probabilmente nel 1471, da una famiglia forse di origine lombarda, ma trasferitasi a San Gimignano. Educato prima dal padre, abbreviatore pontificio, e poi dall’accademico romano Pomponio Leto, C. fece valere la sua grande cultura e le frequentazioni autorevoli – di cui abbiamo testimonianza nel suo De hominibus doctis (1490-1491) – per proseguire la carriera curiale del padre. Sotto Sisto IV divenne scriptor apostolicus (in sostituzione di Bartolomeo Sacchi detto il Platina) e in seguito segretario apostolico di Alessandro VI. Ritiratosi, per ragioni non chiarite, nella sua villa di San Gimignano (1503), attese alla scrittura della sua opera più significativa, il De cardinalatu. Progettata inizialmente come un trattato sul principe – sul modello della Ciropedia di Senofonte; cfr. C. Dionisotti, Chierici e laici, 1960, poi in Id., Geografia e storia della letteratura italiana, 1967, p. 86 –, l’opera è divisa in tre libri: Ethicus et contemplativus, Oeconomicus e Politicus. Nel primo libro si delineano la funzione cardinalizia e le virtù per esercitarla. Tale sezione è forse la più desultoria dell’intera opera (essa, infatti, ospita alcuni capitoli sulla retorica, un atto d’accusa contro l’astrologia – debitore delle Disputationes di Giovanni Pico della Mirandola – e una descrizione della messa), ma, allo stesso tempo, è la più ricca di aneddoti e particolari sulla vita politica e culturale del primo Cinquecento. La parte sull’oeconomia riguarda gli aspetti materiali della vita di un principe della Chiesa (il suo compenso, le caratteristiche della sua abitazione, dei suoi cibi ecc.) e della sua familia. Il terzo libro tratta della potestas papale e cardinalizia e dei loro rapporti reciproci. Secondo la concezione organicistica e gerarchica di C. (ormai superata rispetto alla centralizzazione perseguita, sotto i suoi occhi, da Alessandro VI e Giulio II), il papato deve essere la testa e i cardinali le membra della Chiesa («Papa cum collegio est perfectior»). Vengono poi illustrati altri aspetti disciplinari dell’esercizio concreto del governo della Chiesa, come il pericolo della simonia, la concessione dei benefici, la convocazione dei concili e il giudizio sul peccato/reato di eresia/lesa maestà.
Il De cardinalatu fu pubblicato nel 1510 da Simeone di Niccolò Nardi; a causa della morte improvvisa di C., l’edizione fu portata a termine da Raffaele Maffei. I diversi esemplari dell’edizione presentano significative differenze tra loro, la più vistosa delle quali consiste nel fatto che l’originaria dedica di Maffei a Giulio II è sostituita (in almeno due casi documentati, il B.R. 116 della BNCF, l’alfa X.4.8 dell’Estense di Modena) da una dedica a Leone X (cfr. Bausi 1996).
È difficile dire se M. abbia letto il De cardinalatu. Secondo Delio Cantimori
se un qualche paragone può essere istituito tra i due, [...] tutt’al più si potrebbe dire [...] che l’andamento di conversazione sciolta ed esemplificativa di moltissimi capitoli cortesiani presenta qualche analogia con quello di qualche minor capitolo dei Discorsi (Cantimori 1963, p. 275).
Cantimori, inoltre, effettua un confronto tra la concezione cortesiana della Chiesa come organismo politico destinato a più lunga durata e il cap. xi del Principe; anche se «non c’è davvero molto di comune fra il Cortesi ed il Machiavelli», nota come i due avessero «concezioni essenzialmente analoghe della Chiesa cattolica, che in sostanza viene ridotta al suo governo», e che «quel che preme all’uno e all’altro è la perpetuità dello Stato attraverso i buoni ordinamenti e la forza o potenza politico-militare» (Cantimori 1966, pp. 13-15). La validità dell’accostamento cantimoriano è stata criticata e circoscritta, tutt’al più, al Principe, ma non estesa «ai Discorsi e alle Istorie, dove il giudizio di Machiavelli è molto più articolato»; e si è proposto un passo di C. sul potere della Chiesa non fondato sulla conquista, ravvisandovi «un argomento che avrebbe potuto, oggettivamente, convergere con l’anomalia militare indicata da Machiavelli» sull’assenza di difesa nei principati ecclesiastici (E. Cutinelli-Rendina, Chiesa e religione in Machiavelli, 1998, p. 109 nota 208). È tuttavia probabile che tali somiglianze vadano fatte risalire al comune riferimento alla tradizione degli specula principum che M. criticò e che invece C. assunse in pieno; oppure, come suggeriva già Cantimori, a possibili contatti tra l’ambiente culturale di C. e quello di M. (grazie a personaggi come Michele Marullo, il monaco Teodoro o i membri della famiglia Soderini).
Bibliografia: P. Paschini, Una famiglia di curiali nella Roma del Quattrocento: i Cortesi, «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 1957, 11, pp. 1-48; D. Cantimori, Questioncine sulle opere progettate da Paolo Cortesi, in Studi di bibliografia e storia in onore di Tammaro de Marinis, a cura di R. De Maio, 1° vol., Verona 1963, pp. 273-80; D. Cantimori, Niccolò Machiavelli: il politico e lo storico, in Storia della letteratura italiana, 4° vol., Il Cinquecento, a cura di E. Cecchi, N. Sapegno, Milano 1966, pp. 7-42; G. Ferraù, Politica e cardinalato in un’età di transizione. Il De Cardinalatu di Paolo Cortesi, in Roma capitale (1447-1527), a cura di S. Gensini, Roma 1994, pp. 519-40; F. Bausi, La dedicatoria a Leone X del De Cardinalatu di Paolo Cortesi, «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», 1996, 58, pp. 643-50; J. Monfasani, The puzzling dates of Paolo Cortesi, in Humanistica per Cesare Vasoli, a cura di F. Meroi, E. Scapparone, Firenze 2004, pp. 87-97; N. Harris, S. Centi, Per il De Cardinalatu di Paolo Cortesi: la copia ideale, gli esemplari e i messaggi occulti, in Gli incunaboli e le cinquecentine della Biblioteca Comunale di San Gimignano, 2° vol., San Gimignano 2007, pp. 29-50.