PAOLO da Siena
PAOLO da Siena. – Ignoti sono le date di nascita e di morte di questo pittore il cui nome compare, insieme alla data 1320, su di una croce dipinta, molto danneggiata, oggi al Museo nazionale di Villa Guinigi di Lucca.
Allo stato attuale delle conoscenze non esistono testimonianze attinenti alla figura di tale artista e non è possibile connettere il nome esistente su quest’opera al pittore senese Paolo d’Andrea, citato in documenti fra il 1320 e il 1333 (Romagnoli, ante 1835; Lisini, 1927, p. 304).
La croce lucchese è l’unica opera ricollegabile a Paolo. L’originaria provenienza del dipinto è ignota; esso fa parte del fondo antico del Museo e molto probabilmente vi giunse a seguito della soppressione dei conventi cittadini (Caleca, 1986, p. 647).
Il corpo del Cristo, i cui fianchi sono cinti da un leggero perizoma lumeggiato, è reso in maniera incisiva, con tratti anatomici fortemente marcati, e sembra franare pesantemente dalla croce dipinta a fondo blu; un’aureola a rilievo ne circonda il capo reclinato. Restano solo vaghe tracce del finto drappo ai lati del Salvatore, che doveva apparire decorato con motivi geometrici. I tabelloni laterali sono occupati dai dolenti, la Madonna sulla sinistra e il S. Giovanni sulla destra, posti al limite inferiore dei rispettivi pannelli, e non, come di consueto, al centro di essi. Nella parte sommitale del dipinto trovano posto l’immagine del Redentore e il cartiglio, sul quale si legge l’iscrizione in caratteri bianchi su fondo rosso, su tre registri sovrapposti, «IESU[S] · CHR[IST]O · GIUDEO/RU[M] · REX · A[NNO] · D[OMINI] · M / · C · C · C · X · X · PI[N]SI[T] PAULUS», cui segue in bianco, su unico registro, «DE SENAS» (per lo più riportato come «de Senis»: Caleca, 1983; Id., 1986, p. 647; Tazartes, 1993, p. 90; Tartuferi, 1998, p. 62 n. 15; Burresi - Caleca, 2006, p. 47; Carletti, 2006, p. 99), iscritto su campo nero, residuo di una stesura pittorica scura che ricopriva interamente il fondo dell'opera, come risulta da una fotografia conservata presso l'Archivio della Soprintendenza di Pisa, antecedente al restauro dei primi anni Ottanta (segnalata cortesemente da Veronica Randon).
Non si può far a meno di notare la particolarità della formula presente nel cartiglio, in cui l'indicazione evangelica è data per esteso invece che con l'acronimo INRI, consolidato da una lunga tradizione, ed è insolitamente accompagnata dalla sottoscrizione del pittore, più adatta alla parte inferiore della croce. Questi elementi, insieme alla conclusione dell’iscrizione in una zona non originale della superficie dipinta, rendono plausibile l’ipotesi di una manomissione dell'iscrizione stessa, che parrebbe frutto di una ridipintura dell'epigrafe più antica (Randon, 2010-2011).
La croce è stata portata all’attenzione della critica negli anni Ottanta del Novecento, quando fu ritrovata nei depositi della pinacoteca cittadina e presentata da Antonino Caleca (1983) come prodotto di un «discepolo diretto di Duccio», alla stregua di Segna di Bonaventura o Ugolino di Nerio (Id., 1986, p. 254; 2010-2011). Ricordata da Maurizia Tazartes nel suo studio sul Trecento lucchese (Tazartes, 1993, p. 90), l'opera è stata poi segnalata tra le «precoci presenze senesi a Lucca» da Angelo Tartuferi, il quale, evidenziando delle oggettive difficoltà nella lettura del dipinto, ne ha rilevato la distanza, sul piano qualitativo, dai modi di Ugolino di Nerio (Tartuferi, 1998, pp. 44 s.). Nel 2006, seguendo una proposta di Mariagiulia Burresi e Antonino Caleca (Burresi - Caleca, 2006), in occasione della mostra Volterra d’oro e di pietra sono state presentate con l’attribuzione dubitativa a «Paolo da Siena» la croce dipinta della chiesa della Madonna delle Grazie a Montecerboli (Carletti, 2006), la Madonna col Bambino (detta Madonna del cardellino e datata 1329) della pieve di S. Giovanni Battista a Pomarance e la Madonna col Bambino oggi nel Museo diocesano di arte sacra di Volterra, proveniente dalla chiesa di S. Lorenzo a Mazzolla (Cataldi, 2006). Tali dipinti avevano già riscosso un certo interesse negli studi: la croce di Montecerboli era stata infatti assegnata all’artista contrassegnato dalla denominazione convenzionale di Maestro di Città di Castello (Ferretti, 1971 e, da ultimo, Bagnoli, 2003, pp. 290 s., n. 41), mentre la tavola di Pomarance (Stubblebine, 1979; Bellosi, 1983) e quella un tempo a Mazzolla (Boskovits, 1982) erano da tempo attribuite al così detto Maestro di Monterotondo.
L’ipotesi di Burresi e Caleca, tuttavia, incontra un forte ostacolo nei vistosi scarti qualitativi, stilistici e cronologici che impongono di tenere separate le figure e i cataloghi di tre maestri che, seppur caratterizzati da una comune matrice duccesca, giunsero ad esiti notevolmente differenti, e in tempi diversi. Lo spiccato preziosismo formale e cromatico che contraddistingue il Maestro di Città di Castello – ossia l’autore della croce di Montecerboli –, attivo verosimilmente tra l’inizio dell’ultimo decennio del Duecento e la fine del secondo decennio del secolo successivo (Bagnoli, 2003, pp. 288 s.), appare infatti incompatibile con i modi del più tardo Maestro di Monterotondo (ibid., p. 271), così come, nella difficoltà di una valutazione serena per via delle condizioni profondamente alterate della sua unica opera, con il ductus del possibile Paolo da Siena.
Alla luce di quanto detto riguardo alla verosimile manomissione dell’iscrizione, e in assenza di notizie certe e di documentazione sull’autore del dipinto lucchese, quello di «Paulus de Senas» va oggi considerato un problema critico aperto.
Fonti e Bibl.: E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ bellartisti senesi. 1200-1800 (ante 1835), II, Firenze 1976, pp. 339 s.; A. Lisini, Elenco dei pittori senesi vissuti nei secoli XIII e XIV, in La Diana, II (1927), pp. 295-306; M. Ferretti, recensione alla Mostra di restauro di opere delle province di Pisa e Livorno, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa. Classe di lettere e filosofia, s. 3, II (1972), pp. 608 s.; J.H. Stubblebine, Duccio di Buoninsegna and his school, I, Princenton 1979, p. 155; M. Boskovits, recensione a J.H. Stubblebine, Duccio di Buoninsegna and his school e a J. White, Duccio: Tuscan art and the Medieval workshop, London 1979, in The Art Bulletin, LXIV (1982), p. 502; L. Bellosi, in Mostra di opere d’arte restaurate delle province di Siena e Grosseto, II, Genova 1983, pp. 40-42; A. Caleca, Presenze nella prima metà del secolo XIV, in Il secolo di Castruccio. Fonti e documenti di storia lucchese (catal.), a cura di C. Baracchini, Lucca 1983, p. 197; Id., in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, I, Milano 1986, p. 254, II, Milano 1986, p. 647; M. Tazartes, Profilo della pittura lucchese del Trecento, in Ricerche di storia dell’arte, 1993, n. 50, pp. 90 s. fig. 2; G. Concioni - C. Ferri - G. Ghilarducci, Arte e pittura nel medioevo lucchese, Lucca 1994, pp. 74, 273; A. Tartuferi, Trecento lucchese: la pittura a Lucca prima di Spinello Aretino, in Sumptuosa tabula picta: pittori a Lucca tra gotico e rinascimento (catal., Lucca), a cura di M.T. Filieri, Livorno 1998, pp. 44 s., 62 n. 15; Museo nazionale di Villa Guinigi, Lucca, Roma 2002, p. 19; A. Bagnoli, in Duccio. Alle origini della pittura senese (catal., Siena), a cura di A. Bagnoli et al., Cinisello Balsamo 2003, pp. 271, 288 s., 290 s., n. 41; M. Burresi - A. Caleca, in Arte a Volterra fino al Quattrocento, in Volterra d’oro e di pietra (catal., Volterra), a cura M. Burresi - A. Caleca, Ospedaletto 2006, pp. 46 s.; L. Carletti, ibid., pp. 97-99, n. 38; M. Cataldi, ibid., p. 100, nn. 39 s.; V. Randon, Profilo della pittura a Lucca tra la fine del Duecento e la capitolazione sotto il dominio pisano, tesi di dottorato, Scuola di dottorato ‘Logos e rappresentazione. Studi interdisciplinari di letteratura, estetica, arti e spettacolo’, sezione Storia, critica e gestione delle arti, Università degli studi di Siena, a.a. 2010-2011, p. 113.