DE FATIS, Paolo
Figlio di Tommaso, appartenente al ramo dei De Fatis-Tabarelli, e di Dorotea Montebello, nacque probabilmente a Trento sul finire del settimo decennio del XV secolo. Appresi i primi rudimenti di grammatica e di retorica, seguì giudiziosamente il cammino che era stato già del padre e del nonno: abbandonò l'inquieto teatro del Trentino quattrocentesco e volse i suoi passi verso Bologna, ove si immatricolò alla facoltà di diritto; di lì approdò poi al rinomato Studio giuridico patavino, addottorandosi in utroque iure il 31 ag. 1496.
Quella dei D. non era una famiglia carica di glorie, né il suo albero genealogicoridondava di nomi illustri. In virtù della loro antica cittadinanza i De Fatis erano sì, a buon diritto, membri del patriziato, ma in queste contrade, ricchissime ancora di una feudalità litigiosa e grifagna, il titolo di civis non aveva neppure la parvenza del significato che gli si attribuiva nei forti Comuni italiani. Dacché i duchi d'Austria avevano preso a spadroneggiare nelle terre del principato, le famiglie di più antico lignaggio avevano prestato a loro, non, più al vescovo, l'omaggio feudale, e così anche l'aristocrazia trentina aveva piegato il capo di fronte all'agguerrito signore oltremontano. Allora gli avi del D. - piccoli nobili inurbati come la maggior parte dei cives trentini - presero a servire con equanimità il principe vescovo e il duca asburgico, offrendo all'uno o all'altro, indifferentemente, la loro consumata perizia forense. Venne alfine l'agognata nobilitazione imperiale (5 apr. 1432), a cui seguì, l'anno dopo, quasi a premiare la naturale ubiquità dei servigi, un analogo diploma concesso dal vescovo Alessandro di Mazovia che li accoglieva in nobiles et familiares nostros domesticos. Invero il titolo dei De Fatis era cosa troppo recente per reggere il confronto con i proverbiali quattro quarti nobili di altre casate; inoltre l'attività di giureconsulti era agli occhi di tutti il tratto distintivo delle discendenze minori.
Ma pure il più inflazionato dei titoli nobiliari era il viatico necessario per intraprendere quella carriera di funzionario che il D., ligio sempre al costume familiare, si accingeva a iniziare. Fin dai primi anni del XVI secolo egli alternò la presenza a Trento con i frequenti viaggi alla residenza imperiale, lasciando la cura degli affari di famiglia ai fratelli e in particolare al maggiore, Antonio, che di lì a poco sarebbe divenuto grazie ai suoi buoni uffici decano del capitolo trentino. I primi anni trascorsi a Innsbruck furono, per quanto ci è noto, piuttosto parchi di impegni, e dunque la posizione del D. non ci appare molto diversa da quella di tanti altri piccoli nobili che formavano il seguito dell'Asburgo, vere e proprie schiere di rampolli dell'aristocrazia trentina recatisi a corte, chi per ricevere una prebenda, chi per un comando militare, chi per una ambasceria; eppure, a poco a poco, complice anche l'amicizia con l'influente vescovo M. Lang a cui era legato da lontani vincoli di parentela, egli seppe guadagnarsi il benvolere di Massimiliano. La protezione imperiale gli assicurò i consueti incarichi di giureconsulto itinerante - entrò quindi nel numero dei cosiddetti "Raten und Dienern von Haus", nobili tirolesi e del Vorland che venivano impiegati occasionalmente per brevi missioni - ma ancor più servì a tacitare l'ostilità dei suoi nemici messi a rumore da una così rapida carriera. Molti a Trento - come si evince dall'epistolario tra il D. e il fratello Antonio, conservato tra le corte di famiglia nella Biblioteca comunale di Trento - li accusavano di ignobilità, di tirchieria e di abitudini poco urbane; altri, di rimando, tentavano di screditarli a corte insinuando che i fratelli De Fatis stavano parteggiando nascostamente per la Serenissima. Un'imperiosa e stizzita lettera di Massimiliano diretta al vescovo G. V. Neideck sopiva bruscamente ogni diffamazione e, a confermare pubblicamente la sua benignità per il D. divenuto frattanto priore del Collegio dei giureconsulti trentini, lo nominava podestà cesareo di Modena nell'ottobre del 1511.
Fu l'incarico di maggior prestigio affidato al De Fatis. I domini pontifici, percorsi quotidianamente dalle milizie degli eserciti contrapposti, erano passati di mano ben tre volte nell'arco di pochi anni; questo succedersi di effimere dominazioni aveva inasprito le tensioni sociali e quando il D., il 19 Marzo 1512, presentò le lettere credenziali di Massimiliano ai Conservatori modenesi, la vita cittadina era impregnata dello stesso clima di rissosità nobiliare contro cui, tre anni dopo, si sarebbe scagliata la spietata giustizia di Francesco Guicciardini.Lo zelo del podestà trentino si rivelò eccessivo, troppo rigorosa e pedissequa fu la sua amministrazione della giustizia per non infastidire i maggiori cittadini; in queste circostanze, e nonostante le dichiarazioni d'elogio dei Conservatori modenesi, il D. fu costretto a lasciare la podesteria il 4 apr. 1513.
Fatto ritorno a Trento in compagnia della moglie Maddalena Calepini e del figlio Tommaso, nel dicembre del medesimo anno veniva delegato a rappresentare il magistrato consolare in un contenzioso con il capitolo di fronte alla Dieta di Innsbruck; nel 1515, di nuovo nei ranghi dei familiares asburgici, si diresse alla volta di Milano portando con sé una ambasceria dell'imperatore al duca sforzesco. Dopo questa data il D., che Massimiliano aveva insignito del titolo di cavaliere aurato e di conte palatino per i suoi meriti di giureconsulto, parve rinunciare ai più gravosi impegni diplomatici; le sue presenze a corte divennero sporadiche, i rapporti con i dignitari si raffreddarono, ma non per questo egli distolse il suo interesse dalle faccende politiche trentine.
È difficile seguire il percorso dei mille rivoli di violenze e rivalità che compongono il ribollente mare dell'aristocrazia trentina alla vigilia dell'insurrezione contadina. In una supplica rivolta a Bernardo Clesio nel 1524, Tommaso, figlio del D., si dilungava a descrivere il tetro affresco di una città sconvolta dalle inimicizie e dal disprezzo delle leggi, nella quale alcuni "impudentissimi homines" osavano con noncuranza aggredire e trucidare i sudditi più fedeli del vescovo.
Di certo sappiamo che i De Fatis si erano legati ai potenti conti Lodron e che la nomina del D. a capoconsole nel 1523 aveva inacerbito gli animi dei rivali. A guidare la fazione avversaria stavano i congiunti della moglie, i Calepini, il feudatario di Nomi Pietro Busio e, innanzi a tutti, a reggere la trama dei complotto, i De Fatis del ramo di Terlagò. Nel settembre del 1523, mentre passeggiava sorvegliando la raccolta delle sue decime di Terlago, il D. veniva assalito dai suoi quattro cugini e ridotto in fin di vita a colpi di spada; trasportato ormai morente a Trento, spirava una ventina di giorni dopo.
Fonti e Bibl.: Scarne le notizie sul D., se si eccettua il prezioso articolo di L. Oberziner, Un trentino podestà di Modena, in Archivio trentino, XVI (1901), pp. 3-17; il nucleo principale delle informazioni giace tra i manoscritti della Biblioteca comunale di Trento presso cui è depositato l'archivio di famiglia: B.C.T., mss. 4123 e segg.; cfr. inoltre: J. Egger, Geschichte Tirols von don ältesten Zeiten bis in die Neuzeit, II,Innsbruck 1876, pp. 30-46; O. Stolz, Geschichte des Landes Tirols, Innsbruck 1955, pp. 508-529.