DENZA, Paolo
Nacque a Napoli il 28 febbr. 1893 da Paolo e da Amalia Cammarota. Iniziati gli studi musicali in giovanissima età, si diplomò in pianoforte nel 1914 presso il conservatorio napoletano "S. Pietro a Maiella", dove studiò anche composizione. Si trasferì quindi a Modena e qui frequentò i corsi della R. Accademia militare: ben presto, però, decise di tornare agli studi musicali, rinunciando a fare carriera nell'esercito. All'inizio del 1921 si spostò a Berlino, dove studiò per due anni con F. Busoni, del quale divenne anche intimo amico, nonché depositario di alcune partiture autografe.
Terminati gli studi nel 1924, alla morte di Busoni, iniziò a dedicarsi alla carriera concertistica. Tenne inizialmente concerti in Italia e in Germania, quindi si esibì piùvolte in Francia ed in Spagna. Dal 1930 al 1940 compì numerose tournées in America latina esibendosi con una certa frequenza a Buenos Aires e a Montevideo. Più volte invitato in Giappone, dove riscosse sempre un notevole successo, strinse rapporti di amicizia con numerosi esponenti della vita musicale di quel paese. Al termine della seconda guerra mondiale abbandonò completamente la carriera concertistica per dedicarsi interamente all'attività didattica: docente di pianoforte principale al conservatorio di Napoli, impartì anche lezioni private a numerosi allievi provenienti dall'estero, soprattutto dal Nordamerica e dal Medio Oriente. Tenne anche numerosi corsi estivi di interpretazione in Italia ed all'estero: dal 1948 al 1954 si recò di frequente a Barcellona, a Ginevra e a Berlino.
Instancabile lavoratore, il D. fu in quegli anni presidente dei concorso internazionale di pianoforte di Ginevra e del concorso Busoni di Bolzano, nonché tra i maggiori artefici della fondazione del concorso dell'Accademia musicale italiana, intitolato alla memoria di A. Casella. Parallelamente all'insegnamento, continuò anche la sua attività di compositore, iniziata fin dal 1925. Autore di partiture sinfoniche, pianistiche e cameristiche, che riuscirono a riscuotere anche un certo favore di pubblico e di critica, il D. compositore è oggi pressoché sconosciuto anche per il fatto, singolarmente strano, che dopo la sua morte tutte le partiture autografe delle sue composizioni andarono disperse.
Già da tempo afflitto da grave malattia, il D. si spense a Napoli il 6 genn. 1955.
Interprete eccezionalmente poliedrico, si distinse in particolar modo come acuto e raffinato lettore di alcuni fra i più celebri autori del tardo romanticismo. Esemplari furono giudicate le sue interpretazioni di F. Liszt e di J. Brahms, mentre un largo consenso di pubblico e di critica riscossero le esecuzioni delle più famose pagine pianistiche di S. Rachmaninov e di Busoni (del quale il D. presentò molte composizioni in prima esecuzione assoluta). Pianista dotato di una tecnica impeccabile e cristallina, nonché di una grande ricchezza di suono, nella sua opera di interpretazione fu sempre sorretto da una eccezionale coscienza costruttiva e formale delle composizioni eseguite: ciò gli permise sempre l'aderenza al testo musicale ed al messaggio artistico ad esso inerente.
Il D. riscosse anche larga fama internazionale come didatta serio e scrupoloso: fra i suoi allievi vanno ricordati Aldo Ciccolini, Fedora Iazzetti, Almerindo D'Amato e Paolo Spagnolo. Fondatore della cosiddetta "moderna scuola napoletana", pose le basi del suo metodo didattico sull'apprendirnento e la totale padronanza di una limpida ed agguerrita tecnica pianistica; a questo fine egli stesso elaborò una serie di originali formule pianistiche con numerose combinazioni di diteggiature diverse su tutte le ventiquattro tonalità maggiori e minori. A lui si deve anche la scoperta di numerose "chiavi di risoluzione esecutiva" applicabili a passaggi virtuosistici e trascendentali altrimenti considerati al limite dell'eseguibilità. Convinto assertore di una tecnica limpidamente razionale, ebbe anche il merito di mutuare alcuni insegnamenti derivanti dalla scuola pianistica di A. Cortot integrandoli con la già collaudata tradizione didattica napoletana. Va tuttavia rilevato che la sua prassi didattica e interpretativa (proprio perché professava una completa aderenza al testo musicale) si asteneva spesso da qualsiasi considerazione o digressione filosofica ed estetica che non fosse strettamente necessaria per una corretta lettura dello spartito; considerazione, questa, non sempre applicabile alla tecnica interpretativa del Cortot.
Fonti e Bibl.: Necr., in Il Tirreno, 13 genn. 1955; Il Giornale, 20 genn. 1955; Il Mattino, 21 genn. 1955; La Musica, Diz., I, p. 514; Enc. della musica Ricordi, II, p. 38.