PAOLO di messer Pace da Certaldo
PAOLO di messer Pace da Certaldo. – Nacque, secondo quanto narra la Istoria attribuita a suo padre, il 20 maggio 1315, terzo dei quattro figli di messer Pace e da Zita Tolosini.
Paolo ha lasciato poche tracce di sé e della partecipazione alla vita pubblica della propria città. La sua presenza a Firenze è documentata da una serie di documenti fiscali a partire dal Libro del Monte del 1347 e poi negli estimi e prestanze del 1351, 1355, 1359 e 1363, dai quali risulta abitare nel quartiere di S. Spirito, gonfalone del Nicchio, inizialmente nel popolo di S. Felicita e poi in quello di S. Frediano. Nel 1356, dietro sua richiesta, l’Esecutore degli Ordinamenti di Giustizia diffidò un comune non nominato nell’atto, ma probabilmente Certaldo, luogo di origine della famiglia e dove ancora gli eredi di messer Pace avevano possedimenti, dal molestare Paolo per motivi di tassazione, dal momento che egli non risultava residente in quel comune e non sottoposto alla sua fiscalità.
Confinante di Paolo sia a Certaldo sia a Firenze era Giovanni Boccaccio, al quale, nel 1360, Paolo vendette un suo podere. Durante la guerra che vide scontrarsi, tra il 1362 e il 1364, Firenze e Pisa, Paolo fu inviato dal comune di Firenze a San Miniato per ricevere e rifornire di pane l’esercito fiorentino. A causa delle piogge ingenti una grande quantità di pane andò distrutta o persa e il resto fu venduto a un prezzo ridotto. Paolo fu per questo condannato dai ragionieri del comune a un risarcimento eccessivo e nel 1370 presentò una supplica alla Signoria e ai Consigli per essere assolto dal pagamento della cifra ancora non corrisposta, per non essere spinto alla mendicità assoluta. Questo investimento, mirato a risollevare le traballanti condizioni economiche di Paolo, da sempre sottoposto a una tassazione minima, paragonabile a quella dei più umili artigiani delle arti minori, si risolse nella sua definitiva disfatta economica.
Nella prefazione all’edizione di Firenze 1753 della Istoria della guerra di Semifonte, attribuita a messer Pace da Certaldo, si sostiene che i figli di Pace, per la loro fede ghibellina, furono costretti a lasciare Firenze. In particolare, si afferma che Paolo si sarebbe nuovamente rifugiato a Certaldo. Del ghibellinismo della famiglia e del loro abbandono di Firenze non esistono conferme documentarie.
Le ultime notizie di Paolo da Certaldo risalgono alla sua supplica del 1370 e da questa egli appare ancora presente a Firenze, gravato da pesanti problemi economici, ma indenne da coinvolgimenti politici di parte.
La notorietà di Paolo da Certaldo è dovuta all’opera da lui redatta, un manuale didascalico al quale l’editore moderno, Salomone Morpurgo, appose il titolo Il libro di buoni costumi, ricavandolo dalle parole dell’autore, che nel proemio dell’opera dichiara di voler riunire «buoni asempri e buoni costumi e buoni proverbi e buoni amaestramenti». Il Libro non è un’opera originale, ma una raccolta di massime. Più della metà dei suoi 388 paragrafi è formata da citazioni riprese da collezioni di florilegi che godevano di grande circolazione, fonti nominate dall’autore stesso nel proemio dell’opera: Dei trattati morali di Albertano da Brescia, il Libro di Cato, o tre volgarizzamenti del libro di Catone De’ Costumi, il Trattatello delle Cinque Chiavi, il Libro di costumanza, Il piccolo libro de’ costumi attribuito a Martino vescovo Dumense, I proverbi di Seneca, L’Epistola di san Bernardo sul reggimento della famiglia, che, copiata da Paolo, occupa le prime carte del manoscritto.
Il Libro di Paolo consiste in una serie di proverbi, sentenze, avvertimenti, brevi insegnamenti sull’arte di vivere in società, il governo della casa e dei figli, il buon andamento dell’amministrazione mercantile, la pratica religiosa. I precetti morali si organizzano intorno alle due qualità che conducono all’ideale del perfetto cittadino: la ricerca del profitto attraverso la prudenza e la misura in ogni azione umana. Paolo è mercante che si rivolge a mercanti, suggerendo le attività e gli atteggiamenti per arrivare al successo, alla riuscita terrena, consacrata dalla ricchezza. La misura del successo ottenuto nel proprio ambiente è data dalla fama, dal consenso sociale che circonda un individuo e la sua famiglia.
Il tono generale del trattato è dato più dagli elementi negativi che da quelli positivi, dall’atteggiamento restrittivo più che costruttivo, che esso propone come esemplare. Si predica la prudenza, la discrezione, la segretezza e la sfiducia profonda nei confronti dei concittadini, visti tutti come potenziali concorrenti. Altro concetto fondamentale per l’ottenimento del successo è la moderazione in ogni azione della vita, dal raggiungimento di una vera padronanza di se stessi, a partire dal rapporto con il cibo e dall’igiene alla conservazione della propria persona ai rapporti con i familiari e il più vasto mondo cittadino. Il sentimento di profonda diffidenza che emerge dall’opera e permea i rapporti tra individui è mitigato da una serie di virtù civiche, quali la cortesia, la cordialità, il buon vicinato, che mirano a nascondere, sotto una facciata di benevolenza, la sempre presente e acuta competizione sociale.
I precetti sulla morale cristiana dell’ultima parte del libro dovrebbero moderare la prima parte, incentrata sulle preoccupazioni del mondo terreno. Ma anche nella seconda parte Paolo appare oscillare tra i due mondi, spesso in contrasto tra loro: quello mercantile del profitto e della riuscita individuale e quello degli insegnamenti del Vangelo e della morale economica della Chiesa. Il contrasto si appiana in una formale obbedienza alla morale cristiana e una sostanziale propensione verso il pensiero e la pratica mercantile. In questo Paolo da Certaldo, così come Giovanni Morelli dopo di lui, rappresenta il mercante moralista, perfetto rappresentante della propria classe e della cultura cittadina, della quale ha interiorizzato l’ideologia, non scalfita dalla propria sconfitta personale.
Edizioni: Il libro di buoni costumi di P. di messer Pace da Certaldo, a cura di S. Morpurgo, Firenze 1921; Libro di buoni costumi, a cura di A. Schiaffini, Firenze 1945; Mercanti scrittori. Ricordi nella Firenze tra Medioevo e Rinascimento, a cura di V. Branca, Milano 1986, pp. 1-99.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Esecutore degli Ordinamenti di Giustizia, 244; Estimo, 149, 202; Mss., 383, inserto 46; Prestanze, 2, 6, 63; Provvisioni, Registri, 58, c. 155r-v; Firenze, Biblioteca Riccardiana, Riccardiano, 1383; A. Schiaffini, Il mercante genovese del Dugento, in A Compagna, n. 10 (ottobre 1929); Ch. Bec, Marchands écrivains. Affaires et humanisme à Florence 1375-1434, Paris-La Haye 1967, pp. 95-111.