CAMPI, Paolo Emilio
Appartenente a famiglia nobile cittadina, nacque a Modena il 6 apr. 1729 da Cesare e da Cecilia Donesmondi. Nel 1743 fu iscritto al Collegio dei nobili di S. Carlo, dove intraprese gli studi letterari perfezionandoli sotto la guida di Giuliano Cassiani. L'anziano poeta dedicherà proprio al C., ormai famoso autore della tragedia Bibli, gli ultimi suoi versi, apostrofando con sincero trasporto le virtù del discepolo.
Terminato il corso di studi nel 1751, si dette a coltivare la poesia vagheggiando in versi petrarcheschi e in stile arcadico una fanciulla della nobile famiglia Fontanelli (per la quale abbozzò un poemetto allegorico intitolato La ninfa fontaniera). Nel 1756 sposava Anna Ingoni, anch'essa nobile, dalla quale ebbe otto figli: nel corso della sua attività poetica lo scrittore ricorderà più volte il sereno ambiente familiare raccolto intorno alla figura della consorte, la cui scomparsa egli commemorò, nel 1787, con versi sinceramente commossi.
Frattanto il C. svolgeva nella città una attività pubblica congeniale alla sua educazione e all'estrazione sociale. Nel 1760 fu uno dei conservatori della civica rappresentanza; nel 1764 fu scelto come amministratore della nuova opera generale dei poveri; nel 1773 venne delegato alla deputazione per amministrare le sostanze dei gesuiti e l'anno successivo fu eletto prior cavaliere presso la comunità; nel 1795 fu tra i magistrati della sanità e nella congregazione appositamente costituita per la sorveglianza delle acque e la manutenzione delle strade; dette anche il suo contributo alla riunione delle varie opere pie esistenti in Modena secondo il piano emanato nel 1789 da Ercole III d'Este. Coltivava amicizie letterarie (oltre al Cassiani, furono intimi del C. Agostino Paradisi, Francesco Cassoli, il Bettinelli, Francesco Albergati Capacelli, Gerolamo Lucchesini), ed era in corrispondenza col Monti e con Voltaire; fu ascritto a varie accademie, tra cui gli Ipocondriaci di Reggio, gli Affidati di Pavia, gli Arcadi di Roma, i Dissonanti di Modena, gli Aborigeni di Roma e i Fervidi Filodrammaturghi di Bologna. Si dilettava anche di pittura ed Ercole III lo volle nel 1791 tra gli accademici onorari della scuola di belle arti. Non si impegnò a fondo negli avvenimenti politici che sconvolsero l'Italia padana nell'ultimo scorcio del secolo, mantenendo sentimenti conservatori che gli permisero di non rompere con le locali autorità. Morì il 24 genn. 1796 e fu seppellito nella chiesa modenese dei SS. Faustino e Giovita nella tomba di famiglia che il C. aveva fatto allestire per la consorte.
A parte i tentativi lirici della giovinezza, l'attività letteraria dello scrittore modenese si incentra in due tragedie, la Bibli, rappresentata nel teatro di corte di Modena nella primavera del 1773, e data alle stampe a Modena l'anno successivo, e Woldomiro, ossia la conversione delle Russie, stampata sempre a Modena nel 1781, con una dedica a Caterina II, in cui si legge: "Cette Tragédie, dans laquelle on répresente une des plus grandes époques de votre puissant Empire, et les fastes les plus célèbres du Heros votre Antecesseur Woldmir le Grand, ... un sujet, disje, qui lui appartient à si juste titre, il ne peut qu'espérer un regard favorable de la plus généreuse et de la plus grande des Princesses".
La Bibli svolge il tema ovidiano degli incestuosi amori della protagonista per Cauno, suo fratello, inserendosi in quel clima di cultura teatrale che contemplava l'imitazione del grande teatro tragico francese (soprattutto di Racine di cui il C. tradusse, a titolo di personale esercizio, Bajazet, Britannicus, Andromaque e Alexandre)con le esigenze classicistiche connesse alla ripresa rinascimentale del genere (per merito del Giraldi) e recentemente riproposte dall'esperienza della Merope maffeiana. La stessa situazione drammatica scelta per suggestione della Fedra senecana e raciniana (lontana anticipazione della Mirra di Alfieri) serve a testimoniare con sufficiente chiarezza l'intento di dotare il teatro nazionale contaminando le due maggiori tradizioni cui miravano i letterati italiani nel corso del Settecento. Prescindendo da queste notevoli intenzioni, l'opera si rivela, comunque, abbastanza statica nell'azione e mediocre nella pittura dei caratteri individuali, rappresentati con le fosche tinte che imponeva l'eloquenza tragica più che inseriti in un contesto autenticamente teatrale. Non mancarono tuttavia le adesioni all'esperimento del Campi. Scriveva Voltaire il 14 luglio 1774: "Votre tragédie est conduite avec un grand art, et votre épisode d'Idotea me paraît superieur à l'Aricie de l'admirable Racine. Mais, ce qui est plus essentiel, votre pièce interesse et fait couler des larmes. Une intrigue vraisemblable et bien suivie se fait approuver, le sentiment seul se rend maître du coeur... Vous avez très heureusement imité Ovide dans les excuses que Bibli amoureuse de son frère cherche auprès des dieux... Mais la tragédie veut des passions, des remords, et des catastrophes sangiantes; c'est en quoi, Monsieur, vous avez très bien reussi". Il 25 maggio 1776 era Vincenzo Monti a congratularsi col C. per la tragedia: "Fin da quando lessi la Bibli - scriveva all'autore -, io non potei dispensarmi dal concepire per V.S. quella stima, che la nobiltà delle sue poesie inspira a chiunque ama lo spirito del bello e del sublime". Corrispondendo con G. B. Vicini il 6 luglio dello stesso anno, Monti pregava l'amico di ossequiare in suo nome il conte C. e aggiungeva: "Io devo ringraziarlo del grazioso dono della sua nobile tragedia, ma differisco il farlo a migliore opportunità". Il 2 agosto, infine, il Monti inviava al C. i versi scritti in occasione della nomina a cardinale del marchese Guido Calcagnini, confidando al modenese la propria ammirazione per la libera fantasia del C., incurante delle più propizie situazioni esterne atte a manifestarla: "Io avrei voluto che l'argomento fosse stato men misero e triviale; ma per lo più, o per convenienza, o per ubbidienza, io son costretto a logorar la fantasia sopra quelle cose, che per l'appunto sono atte a distruggere e smungere l'idee poetiche piuttosto che a fecondarle. Io porto invidia a chi è libero nello scegliere e nel comporre, e rileggendo la nobilissima sua tragedia, riconosco maggiormente la bellezza di questa nobiltà. V. Ecc.za ha secondato il proprio genio, ed ha scritto mirabilmente".
Poco aggiunge alla notorietà del C. come tragediografo il Woldomiro, cui gli stessi amici dello scrittore attribuivano un'importanza subordinata a quella della Bibli (ilCassiani la definiva "una delle più belle produzioni tragiche che abbia la nostra Italia, e direi quasi la prima, se non esistesse la Bibli":in Malmusi), e tuttavia la sua rilevanza storica è notevole, contribuendo a sospingere il gusto letterario verso quelle predilezioni per i soggetti esotici che costituiranno parte integrante del genere tragico in periodo romantico.
Una menzione meritano infine le liriche che il C. compose in età matura, e che si distinguono da quelle giovanili per certa sensibilità lugubre (rapportabile sicuramente al clima preromantico) che viene a correggere il primitivo petrarchismo arcadico.
Fonti e Bibl.: Voltaire, Correspondance générale…, in Oeuvres complètes, a cura di E. de La Bedollière-G. Avenel, IX, Paris 1873, pp. 247 s.; V. Monti, Epist., a cura di A. Bertoldi, I, Firenze 1928, pp. 33 ss.; G. M. Cardella, Compendio della storia della bella letteratura, III, Pisa 1817, pp. 332 ss.; A. Lombardi, Storia della letter. ital. del sec. XVIII, V, Venezia 1832, p. 179; C. Malmusi, Notizie biogr. in continuazione della Biblioteca modenese di G. Tiraboschi, III, Reggio 1835, pp. 370 ss. (all'articolo biografico segue una nutrita appendice di poesie del C.); E. Bertana, Il teatro tragico ital. del sec. XVIII prima dell'Alfieri, in Giorn. stor. d. letter. ital., suppl. 4 (1901), pp. 140 ss.; A. Manzi, Una lettera inedita di Voltaire sulla "Bibli" di P. E. C., in Rivista italiana del dramma, I (1937), pp. 377 ss.; G. Natali, Il Settecento, II, Milano 1964, ad Indicem; Enc. d. Spett., II, col. 1596.