CESI, Paolo Emilio
Di famiglia originaria dell'Umbria, nacque a Roma nel 1481 da Angelo, avvocato concistoriale, e da Franceschina Cardoli di Narni. Abbracciò la carriera ecclesiastica e compì studi giuridici, conseguendo la laurea in utroque iure. Segretario pontificio dal 1502 e canonico di S. Maria Maggiore, nel 1512 partecipò al IV concilio lateranense come notaio. Divenne quindi canonico di S. Pietro prima, e protonotario apostolico poi, arrivando infine a dirigere la Cancelleria. Il 1ºluglio 1517 Leone X lo creò cardinale del titolo di S. Nicola inter Imagines.Circondato da fama di buona dottrina, pare che dovesse la designazione alla sua ricchezza, con cui non mancò di sovvenire il papa, e probabilmente anche all'influenza del padre. Qualificato da Pasquino, il quale alluse anche alla gran quantità di fratelli che aveva da beneficare, come "montanaro", con riferimento alle sue origini umbre, il C. sembra avere pochi tratti in comune con il pontefice, che lo aveva innalzato al rango di principe della Chiesa; ed infatti non risulta che egli abbia svolto durante il pontificato del Medici un'attività molto intensa e l'unico beneficio che ottenne in quel periodo fu di amministrare la diocesi di Lund, ora in Svezia (6 febbr. 1520), venendone peraltro contrastato energicamente, tanto da essere indotto presto a rinunciarvi.
Morto Leone X (1º dic. 1521), i cardinali affidarono il governo dello Stato ad una commissione di cinque membri, uno dei quali era il C., che era già passato al titolo di S. Eustachio.
Uscito eletto dal successivo conclave Adriano Florisz, che prese il nome di Adriano VI, mentre questi ancora non giungeva a Roma dalla Spagna, il card. Francesco Soderini otteneva dal Sacro Collegio la revisione del processo contro iI card. Petrucci e i complici, accusati e condannati per aver congiurato contro Leone X. Il C., insieme con il card. Niccolò Fieschi e il card. Domenico Iacobacci, costituì la commissione esaminatrice, che qualche mese dopo, emettendo un primo giudizio in cui si riconosceva la regolarità del processo, decideva di attendere l'arrivo del nuovo papa prima di continuare a valutare la questione. Giunto questo nell'agosto, la commissione, riprese i lavori, che però successivamente, in seguito all'arresto del Soderini, rimasero interrotti, né mai si conclusero. Il C. entrò a far parte della commissione che si formò allora per istruire il processo contro il cardinale detenuto.
Il 1ºgiugno 1523 il C., che il 12 novembre dell'anno prima aveva ottenuto l'amministrazione della diocesi di Sion in Svizzera, conseguì l'amministrazione del vescovato di Todi, che però cedette immediatamente al fratello Federico.
Morto Adriano VI e ottenuta la tiara Giulio de' Medici, il C., che nel precedente conclave era stato considerato un filomediceo e il 3 novembre aveva rivolto ai porporati un solenne incitamento a fare una buona elezione, ricevette dal nuovo papa, Clemente VII, il giorno dell'incoronazione (26 nov. 1523), il governo di Sutri. Nel gennaio 1524 il C. divenne abate commendario del monastero cisterciense di Chiaravalle, nella diocesi di Milano; il 20 maggio gli venne affidata l'amministrazione della diocesi di Narni, che egli il 1º luglio affidava, con la riserva del regresso, allo zio Bartolomeo Cesi. Tenne invece per sé la diocesi di Orte e Civita Castellana, di cui divenne vescovo il 7 apr. 1525. Nello stesso anno ebbe anche il governo di Cesi nell'Umbria.
Con l'avvento al soglio di Clemente VII il C. cominciò così a cumulare benefizi; ricavava infatti da essi un reddito di quattromila ducati, cospicuo certo, ma comunque notevolmente inferiore a quello di altri cardinali. Soprattutto però furono le sue doti morali e la sua dottrina ad essere sempre più spesso utilizzate in Curia.
Nel gennaio del 1527 il C. fece parte di una commissione incaricata di esaminare i problemi sorti, con l'apostasia di Alberto di Brandeburgo, che lasciava senza gran maestro i membri dell'Ordine teutonico. Intanto, dopo la conclusione della lega santa e l'incursione delle truppe del card. Pompeo Colonna in Roma, i grandi avvenimenti italiani ed internazionali legati alla lotta franco-imperiale stavano per coinvolgerla città papale ed il pontefice stesso. Al seguito di Clemente VII, che all'inizio del sacco (6 maggio 1527) si ritirò in Castel Sant'Angelo, era anche il C., il quale però nel dicembre, mentre correva la voce infondata della sua morte, fu consegnato, insieme con il card. Franciotto Orsini, come ostaggio ai Colonna, a garanzia della somma che il papa aveva concordato di versare, per poter uscire indenne da Castel Sant'Angelo: fu liberato nel febbraio dell'anno dopo. Il C., che nello stesso periodo si era adoperato per proteggere il monastero di S. Restituta a Narni, dove era badessa la sorella Firmina, clarissa, ed aveva anche sovvenuto il papa con i suoi danari, fu inviato nell'aprile a Roma, dove il card. legato Lorenzo Campeggi temeva il ripetersi di scorrerie nella città. Nel marzo dello stesso anno il C. aveva rinunciato, con la solita riserva del regresso, in favore del fratello Ottavio, all'amministrazione del vescovato di Cervia, detenuta dal 1525, che avrebbe, morto il fratello, passato, nel 1534, a Giovanni Andrea Cesi. Nominato nel febbraio del 1529 abate commendatario dell'abbazia di Cerreto, la cui presa di possesso dovette peraltro differire per oltre due anni, e creato amministratore del vescovato di Massa Marittima dal 6 ottobre, ai primi di quel mese, quando il papa, riavvicinatosi a Carlo V, si mise in viaggio verso Bologna, il C. fece parte del suo seguito ed accanto a lui cavalcò nel solenne ingresso che questi fece nella città felsinea il giorno 21.
Durante il viaggio il papa aveva fatto sosta a Narni ed il C. si era fatto interprete dei disagi della città, appoggiandone le richieste di risarcimento per i danni subiti ad opera degli Imperiali ed ottenendo di divenirne da allora governatore perpetuo e protettore.
In tutte le solenni cerimonie che il pontefice officiò a S. Petronio e per la pubblicazione della pace e per l'incoronazione dell'imperatore (24 febbraio del 1530), il C. fu uno dei due assistenti del pontefice; accompagnò inoltre Clemente VII anche nel successivo viaggio che questi intraprese nel novembre 1532 per recarsi di nuovo a Bologna, ove si incontrò ancora una volta con l'imperatore.
Durante questo periodo Carlo V richiese insistentemente l'immediata creazione di nuovi cardinali al papa, ma questi, poco propenso ad esaudire prontamente il desiderio del sovrano, creò una commissione, formata da tre cardinali, uno dei quali era il C., perché studiasse la questione. Giusta il desiderio del pontefice, i tre porporati rimandarono ogni decisione a dopo il ritorno di Clemente VII a Roma.
Quando nel marzo dell'anno seguente il papa, dirigendosi verso Ancona, lasciò liberi da ogni impegno i cardinali, il C. ammalato si ritirò in un monastero presso Perugia. Era tornato a Roma, non ancora perfettamente ristabilito, nell'aprile del 1533, allorché Clemente VII, oppresso dal problema creato dalla richiesta di divorzio del re d'Inghilterra, nominò per esaminare la questione una commissione di tre cardinali - il C., Lorenzo Campeggi ed Antonio Maria Ciocchi -, i cui lavori furono però preceduti dal ripudio di Caterina d'Aragona da parte di Enrico VIII (25 maggio 1533) e dal conseguente distacco della Chiesa d'Inghilterra da quella di Roma.
Quando il 9 settembre dello stesso anno il papa mosse da Roma per andare ad abboccarsi con Francesco I a Marsiglia, il C. faceva parte del seguito del pontefice, ma arrivato a Finale Ligure, ai primi di ottobre, dovette rinunciare a proseguire il viaggio a causa delle sue cattive condizioni di salute.
Morto Clemente VII, il C. partecipò al conclave che elesse Paolo III. Pochi giorni dopo la sua elezione, il nuovo pontefice istituì una commissione formata da tre cardinali: il C., Giovanni Piccolomini e Antonio Sanseverino, che aveva il generico compito di studiare una riforma dei costumi. Lasciata poi da parte l'idea della promulgazione di una bolla, che avrebbe dovuto mettere a punto tutti i problemi relativi alla riforma, il 23 ag. 1535 fu costituita un'altra commissione, di cui faceva parte il C., la quale doveva occuparsi dei problerni da risolvere e dei provvedimenti da adottare, relativamente ad una riforma della città e della Curia di Roma. Nello stesso anno il C. fu uno dei giudici che istruirono il processo contro il card. Benedetto Accolti, che, accusato di gravi reati, era detenuto in Castel Sant'Angelo dall'aprile.
Sotto le sollecitazioni di Carlo V, giunto a Roma reduce dalla vittoriosa impresa di Tunisi, il papa convocò una congregazione straordinaria che l'8 apr. 1536 formava una commissione, comprendente il C., la quale aveva il compito di preparare la bolla di convocazione del concilio, a Mantova.
L'ultimo incarico espletato dal C., divenuto intanto arciprete di S. Maria Maggiore, prefetto della Segnatura di grazia e giustizia, protettore del ducato di Savoia e del regno di Inghilterra, fu quello di far parte nel giugno 1537 di una commissione incaricata di imporre una tassa per sopperire alle spese necessarie per mettere Roma in grado di difendersi.
Il C. morì il 5 agosto 1537, e fu seppellito in S. Maria Maggiore, nella cappella intitolata a S. Caterina che, secondo E. Martinori, era stata fatta erigere da lui su disegno di Martino Longhi, ma che è opera generalmente attribuita a G. Guidetti, fatta costruire dal fratello Federico, che provvide anche a fare innalzare in onore del congiunto un sontuoso monumento funebre.
L'anno in cui era divenuto cardinale, il C. aveva acquistato un palazzo, già appartenuto al card. Giovanni Antonio di Sangiorgio, circondato da giardini e situato vicino a S. Pietro, che, passato alla sua morte al fratello Federico, divenne sede di un notevole museo di antichità, malauguratamente demolito nel 1941.
Il C. che fu, per quanto concerneva le diocesi da lui amministrate, un precursore delle norme che sarebbero state emanate nel concilio di Trento, ebbe fama di uomo ricco e caritatevole, pio e di notevole cultura.
A lui nel 1530 Andrea Alciato, durante il periodo del suo insegnamento a Bourges, dedicò i suoi Ad rescripta principum libri quinque (Lione 1535).
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