MORA, Paolo Emilio
MORA, Paolo Emilio. – Nacque a Roma il 22 maggio 1921 da Alberto, ingegnere e architetto, e da Marietta Piaggio.
Conseguita la maturità nell’ottobre del 1940 presso la sezione italiana del liceo scientifico «Montana» di Zugerberg in Svizzera, si iscrisse alla facoltà di architettura di Roma, ma fu costretto a interrompere gli studi in seguito a un incidente. Nel 1942 vinse il concorso di ammissione al primo corso della scuola statale per la formazione dei restauratori, avviata in quell’anno dall’Istituto centrale del restauro di Roma (ICR). A causa della guerra, nel 1943 le lezioni furono sospese e gli allievi del primo e del secondo corso, tra cui Mora, ripresero gli studi solo nel 1944.
L’inaugurazione ufficiale dell’ICR, fondato nel 1939 su progetto di Giulio Carlo Argan e Roberto Longhi, resa possibile dall’azione corale di Argan, Longhi e Cesare Brandi che ne fu il primo direttore, fu celebrata il 18 ottobre 1941 alla presenza del ministro Giuseppe Bottai e segnò l’inizio di una nuova fase nella storia del restauro italiano. Concepita come attività critica da svolgere seguendo le direttive di specialisti di storia dell’arte, suffragata dalla ricerca documentaria e da indagini scientifiche, la nuova idea di restauro si contrappose alla pratica intesa come attività artistica. Nell’Italia entrata in guerra, l’attenzione rivolta al restauro esprimeva allo stesso tempo un imperativo morale per la trasmissione al futuro del patrimonio artistico, un impegno politico volto all’affermazione del Paese come modello di riferimento a livello internazionale e una strategia difensiva contro la minaccia bellica.
Mora fu immerso in questo clima di fermento culturale interno all’ICR, con cui già durante il terzo anno di formazione iniziò una collaborazione professionale in qualità di salariato temporaneo. Diplomatosi il 31 maggio 1946, conseguì il perfezionamento il 10 giugno dell’anno successivo. In quegli anni gran parte dell’attività dell’ICR era volta a riparare i danni bellici, ma l’instabilità e la scarsa remunerazione prevista dalle norme contrattuali per i restauratori, che venivano assunti solo temporaneamente presso l’Istituto, ne determinò una tale diaspora da pregiudicare l’attività sia di restauro sia di formazione. Furono tali circostanze a spingere Brandi a chiedere al ministero della Pubblica Istruzione l’assunzione temporanea di alcuni allievi ed ex allievi. Insieme a Mora, nel luglio del 1945, furono assunti Laura Sbordoni, che divenne sua moglie nel 1946, Carlo Matteucci, Nerina Neri, Giovanni Urbani (Roma, Archivio amministrativo ICR, fasc. personale Giovanni Urbani, classificazione 1B1, Atti personali fino al 1977 [1949-77]). Le particolari capacità esecutive e organizzative dimostrate da Mora su complessi interventi di ricomposizione di affreschi distrutti dai bombardamenti indussero Brandi ad affidargli ruoli di responsabilità mentre frequentava ancora il corso di formazione. Fu quindi incaricato di coordinare il cantiere di ricomposizione, ricollocazione in situ e restauro degli affreschi di Lorenzo da Viterbo nella cappella Mazzatosta in S. Maria della Verità a Viterbo (1944-46). Erano gli anni in cui Brandi affrontava lo studio delle possibili soluzioni per la restituzione estetica delle lacune e il cantiere di Viterbo, caso di studio per la ricomposizione dell’unità potenziale dell’opera d’arte, divenne laboratorio per la sperimentazione della tecnica reintegrativa a tratteggio, che poi divenne quella definitivamente adottata dall’ICR.
Al cantiere di Viterbo seguì la ricomposizione degli affreschi ridotti in frammenti della cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova (1946-48). Le soluzioni adottate a Viterbo, che univano la proposta innovativa del tratteggio alla continuità con una tradizione che aveva il suo più recente rappresentante in Luigi Cavenaghi, trovarono a Padova una nuova applicazione. Prima di arrivare alla specializzazione, Mora intervenne anche nei cantieri monumentali del Camposanto di Pisa e del soffitto ligneo policromo della cappella Palatina a Palermo.
La validità del metodo formativo adottato all’interno dell’ICR divenne evidente con il progressivo farsi avanti di una nuova leva di restauratori uniti da una stessa deontologia professionale e da uno stesso metodo di intervento, lontano tanto dalla tradizione dei segreti di bottega quanto da una identificazione tra restauro e creazione artistica. I nuovi presero gradualmente il posto dei restauratori di vecchia formazione, che avevano insegnato a contratto nei primi tre anni di vita dell’ICR, e divennero figure insostituibili nell’attività di restauro e formazione e punto di riferimento nel panorama internazionale. Il regolamento dell’Istituto era stato concepito in modo che, attraverso un concorso, il direttore potesse selezionare le figure professionali ritenute idonee a specifiche mansioni. Le note di merito firmate prima da Brandi poi dal successore Pasquale Rotondi, che attestavano le qualità di Mora e lo definivano «uno dei migliori, se non il migliore restauratore dell’Istituto», si susseguirono con costante sistematicità in occasione dei numerosi avanzamenti di carriera.
Il 1° luglio 1949 Mora venne nominato, insieme con Giuliano Baldi e Urbani, aiuto restauratore in prova. Da quel momento fino al 1970 si susseguirono passaggi di livello da restauratore aggiunto (30 gennaio 1957) a restauratore (1° luglio 1961), primo restauratore (1° aprile 1965), restauratore principale (19 giugno1968) e restauratore capo (1° luglio 1970). Integrato dunque nella struttura vitale dell’ICR, fu chiamato a partecipare ai diversi ambiti di attività: il restauro, la didattica, la ricerca. Oltre alle capacità operative, la conoscenza delle lingue straniere (francese, inglese, tedesco) fu determinante nella sua affermazione come voce autorevole su questioni di restauro, in particolare di affreschi e manufatti lignei, tanto che la sua storia personale divenne parte rilevante della storia dell’Istituto. Intervenne su opere di grande pregio artistico, spesso introducendo metodologie e materiali mai utilizzati prima, aprendo strade di ricerca e avviando nuove prassi operative.
Nel 1952, quando pervennero all’ICR per il restauro alcune opere di Duccio di Buoninsegna, tra cui la Maestà (Siena, Museo dell’Opera metropolitana del duomo), l’intervento affidato a Mora fu occasione per impostare un nuovo metodo di parchettatura, in collaborazione con il laboratorio chimico tecnologico dell’Aeronautica, incaricato di elaborare i calcoli sulle forze connesse all’incurvamento della tavola e al modulo elastico dei diversi legni.
Fu messa a punto una struttura che, minimizzando l’intervento invasivo sulle tavole dipinte, rendesse possibili i movimenti connessi alle variazioni termoigrometriche, riducendo le forze di attrito tra i materiali (P. Mora, Struttura, condizioni e restauro del supporto [della Maestà di Duccio], in Bollettino ICR, 1959, nn. 37-40, p. 17). Tali risultati erano il frutto di un metodo e di un’organizzazione operativa in cui il restauro veniva diviso per settori di competenza. Lo storico dell’arte, affiancato dal restauratore, teneva le fila del percorso che dalle indagini conoscitive arrivava fino alla restituzione estetica. La pulitura dei dipinti era parte del percorso e, anche qui, l’interazione con il chimico Giorgio Torraca portò a un importante risultato nello studio di tecniche e materiali di intervento, l’individuazione di un nuovo solvente, la dimetilformammide (DMF), efficace per la rimozione di resine e vernici e da allora inserita tra le sostanze per il restauro. Torraca, giovane chimico impiegato in un’industria elettronica, legato da amicizia a Urbani, collaborava con l’ICR dal 1956, quando Brandi lo aveva chiamato per contribuire alla ricerca su nuovi materiali da utilizzare. Durante tutta l’attività svolta da Mora, fu uno dei suoi principali interlocutori e condivise l’impegno nella ricerca e nella sperimentazione di nuove tecniche e materiali.
Nella fucina creativa dell’ICR non esistevano separazioni tra l’intervento di restauro, la ricerca e la didattica. Insegnare voleva dire, per lo più, fare; imparare era osservare e ripetere. La mano di Mora si moltiplicò nelle mani degli allievi e spesso proprio dagli allievi vennero sollecitazioni su nuovi temi da affrontare. Fu il caso, tra il 1957 e il 1959, della ricerca di un consolidante da impiegare sui dipinti murali in ambienti umidi come le tombe etrusche di Tarquinia, il cui restauro era stato affidato a due allieve dell’ICR. La ricerca fu svolta da Mora, ancora una volta in collaborazione con Torraca. L’analisi, condotta su campioni di affresco, prese in considerazione sette diverse sostanze di cui sei di produzione industriale e una naturale. La sperimentazione portò a individuare il prodotto più efficace nel Paraloid B72, resina acrilica in emulsione proveniente dagli USA, che divenne poi la sostanza più usata per consolidare affreschi con problemi di decoesione o di adesione della pellicola pittorica (Roma, Archivio ICCROM, Giorgio Torraca, f. fissativi, 1957-1961; P. Mora - G. Torraca, Fissativi per pitture murali, in Bollettino ICR, n. unico, 1965, pp. 109-132). Nella stessa sperimentazione fu analizzato anche il Primal AC 33, anch’esso destinato per molti anni ad ampio uso come fissativo, legante e aggregante.
Il lavoro di squadra con Torraca si giovò anche della collaborazione di Urbani. Alcuni risultati furono pubblicati nella sezione del Bollettino ICR del 1965, dedicata a Proposte per il restauro e la conservazione delle pitture murali, dove Mora e Torraca descrissero le sperimentazioni sull’uso di resine espandibili per il consolidamento di dipinti su tavola deteriorati dai tarli (P. Mora - G. Torraca, Impiego delle materie plastiche espanse nella conservazione dei dipinti, ibid., pp. 62-69). Il prodotto dalle migliori prestazioni, Urefoam R, anch’esso di provenienza americana, servì subito, nel 1964, per il restauro del polittico di Miglionico (Matera, basilica di S. Maria Maggiore) di Cima da Conegliano.
L’affacciarsi di una nuova attenzione alla sicurezza delle condizioni di lavoro dei restauratori – tema che acquisiva più urgente rilevanza nel momento in cui si affermava l’utilizzo di prodotti industriali – e il dinamismo della ricerca, il cui vivace sguardo era costantemente rivolto oltre i confini nazionali, trovò conferma nel coinvolgimento in questa sperimentazione della MSA (Mine Safety Appliances), società statunitense specializzata nella produzione di strumenti per la sicurezza nella lavorazione di prodotti pericolosi. L’orizzonte di riferimento condiviso all’interno dell’ICR era internazionale e comprendeva in particolare i paesi anglofoni, come dimostra, per esempio, la scelta di inviare Torraca a Londra, nel 1958, per approfondire la conoscenza delle metodologie e delle strumentazioni scientifiche utilizzate dal British Museum e dalla National Gallery. Gli stimoli verso un instancabile confronto metodologico venivano anche dai contatti quotidiani tenuti da Mora con l’ICCROM (International Centre for the study of preservation and restoration of cultural property, allora denominato Rome Centre), la cui sede era in quegli anni adiacente a quella dell’ICR, a piazza S. Francesco di Paola a Roma.
Il restauro del 1952-3 sulla Flagellazione di Piero della Francesca, (Urbino, Galleria nazionale delle Marche), uno dei numerosi interventi eseguiti da Mora insieme alla moglie in dipinti su tavola, fu l’occasione per uno studio dedicato alla struttura dei supporti lignei.
Lo studio fu avviato in collaborazione con l’ICOM (International Council of Museums) e permise di mettere a punto un sistema che, sia per l’impostazione sia per la scelta dei materiali, fu poi utilizzato in numerosi altri casi. Venne cioè realizzata una struttura in cui le traverse lignee furono sostituite da traverse in duralluminio, rette da ponticelli mobili di metallo che minimizzavano attriti e alterazioni connesse ai movimenti del legno della tavola. A conferma, ancora una volta, dell’impianto metodologico interno all’ICR, le fasi di pulitura e reintegrazione condotte dai coniugi Mora furono impostate all’intervento minimo. Rimossero le ridipinture solo là dove le radiografie permettevano di leggere nella stratigrafia la presenza di pittura originale ed eseguirono la reintegrazione con tratteggio ad acquarello solo in corrispondenza degli spacchi orizzontali che interferivano negativamente con l’intelaiatura prospettica. La revisione delle antiche stuccature aveva permesso loro di recuperare parti di pittura originale coperta ma, dove le piccole lacune erano posizionate in punti cruciali del dipinto, si limitarono a correggerne i bordi senza reintegrare pittoricamente.
Vasta eco ebbe nel 1955 il restauro condotto da Mora sulla Madonna con Bambino di Coppo di Marcovaldo, proveniente dal Museo dell’Opera del duomo di Orvieto, in cui, dal punto di vista tecnico, l’interpretazione della complessa stratigrafia pittorica portò a identificare l’uso di vernici colorate stese sul dipinto con funzione di velatura: aspetto che ebbe rilevanti conseguenze sulla valutazione della patina intenzionale e sull’individuazione dei livelli di pulitura da raggiungere. La risonanza avuta dal quel restauro fu in buona parte conseguenza della presa di posizione all’interno della cleaning controversy di Brandi, che usò le constatazioni sulla tecnica esecutiva per contestare le puliture realizzate dalla National Gallery di Londra.
Quando, negli anni Sessanta, l’Istituto, diretto da Rotondi, si dedicò in modo pionieristico al problema della conservazione del patrimonio artistico all’aperto, il primo intervento eseguito sulla scultura in pietra esposta alle intemperie fu realizzato da Mora (1966) sull’architrave del portale centrale del duomo di Siena, opera di Tino di Camaino. Nuova, dal punto di vista metodologico, era la proposta di impostare il restauro di materiali conservati all’aperto con criteri, tecniche e materiali analoghi a quelli già sperimentati su dipinti murali in ambienti confinati. Attraverso l’opera di Mora, l’ICR interveniva così su una questione di metodo che aveva eco internazionale, proprio mentre imperversava la polemica sulla ‘Parigi bianca’ scatenata dalle puliture dei monumenti volute dall’allora ministro della cultura André Malraux.
Della didattica, che nella struttura operativa dell’ICR era integrata con l’operatività del restauro e con ricerca e sperimentazione, Mora si occupò a partire dal 1950, iniziando a insegnare tecnica del restauro al corso triennale per restauratori, incarico che mantenne fino al 1985, anno del suo pensionamento. All’attività didattica interna all’Istituto affiancò corsi organizzati assieme ad altre istituzioni. Nel 1962 estese il suo impegno anche presso l’ICCROM, dirigendo il corso sul restauro dei dipinti murali e a curando l’impostazione teorica e il coordinamento delle esercitazioni pratiche. Il coinvolgimenti di Mora nell’ICCROM – frutto di contatti instaurati già nel periodo di fondazione dell’istituzione (1959) sia con lo storico dell’arte di origine belga Paul Philippot, chiamato dal neoeletto direttore Harold James Plenderleith e di lì a poco nominato vicedirettore, sia con Torraca assunto nel 1965 dall’ICCROM come assistente scientifico – segnò l’avvio, per Mora, di un’intensa attività internazionale sia di consulenza sia di insegnamento su aspetti tecnici relativi al restauro di pitture, sculture, miniature e superfici architettoniche decorate. Al 1963 risale l’avvio dei corsi tenuti all’IRPA (Institute royal du patrimoine artistique, Belgio), fino al 1974, cui si aggiunsero quelli commissionati da istituzioni di altri paesi esteri tra cui il Centro de estudios para la concervación de bienes culturales «Paul Coremans» in Messico, l’IFROA (Institut de formation de restaurateurs d’oeuvres d’art) in Francia, l’UNESCO nel Niger, il Servizio delle antichità del Paul Getty Conservation Institute a Cipro.
Nel 1965 tenne, assieme a Philippot e in collaborazione con il Centre international d’études pour la conservation et la restauration des biens culturels e la facoltà d’architettura dell’Università di Roma, un corso di specializzazione per la conservazione e il restauro dei monumenti storici. A questo si aggiunsero, a partire dagli anni in cui la direzione dell’ICR era affidata a Rotondi, cicli di seminari rivolti ai funzionari dell’amministrazione pubblica: un corso di qualificazione sul restauro delle opere d’arte (1970), due corsi d’informazione e aggiornamento sulla conservazione dei beni culturali per funzionari delle Regioni (1975-1977), seminari di aggiornamento per operatori tecnici in servizio presso l’amministrazione (1978), e un corso sulla conservazione dei mosaici (1980).
Negli anni Settanta vennero istituiti, nel Centro e Norditalia, centri regionali di formazione per restauratori alcuni dei quali erano contemplati nel progetto sperimentale impostato da Urbani che intendeva dare un’organizzazione omogenea su scala regionale alla formazione degli addetti alla conservazione del patrimonio storico e artistico. In quegli anni l’attività didattica di Mora si intensificò e a lui furono affidati numerosi corsi in sedi distribuite prevalentemente in questi territori e rivolti a personale esterno al ministero dei Beni culturali. Fra le numerosissime sedi in cui Mora esplicò attività didattica, per lo più dedicata alla conservazione dei dipinti murali e delle sculture lignee, vi furono anche la scuola ENAIP (Ente nazionale Acli istruzione professionale) di Botticino (1978, 1979, 1980), la scuola di villa Manin di Passariano (1978-1980), la scuola regionale dell’Umbria con sede a Spoleto. Il suo impegno contribuì in modo rilevante al coordinamento a livello nazionale sulle metodologie di restauro e di formazione del personale del ministero, stabilita già nel progetto fondativo dell’ICR. A metà degli anni Settanta prese corpo l’importante progetto di pubblicare dei manuali a uso del corso di formazione per restauratori dell’ICR, coinvolgendo professionalità diverse, restauratori e storici dell’arte, architetti e disegnatori, fisici, chimici, biologi. Da questa squadra creativa vennero elaborati, tra il 1978 e il 1979, i volumi chiamati DIMOS (acronimo di dipinti murali, mosaici, stucchi). Del primo volume, dal titolo Tecniche di esecuzione e materiali costitutivi, furono autori, per la parte dedicata ai dipinti murali, Paolo e Laura Mora. La direzione dell’Istituto era allora affidata a Urbani il quale per rinsaldare l’immagine dell’ICR in Italia e all’estero volle che le missioni di Mora in altri paesi assumessero un forte carattere di ufficialità. Così ogni sua consulenza, in passato prestata spesso a titolo personale, divenne momento rappresentativo di diffusione dell’impianto teorico e della metodologia di intervento elaborata presso l’Istituto (Archivio ICR, fascicolo personale Giovanni Urbani). Già da alcuni anni, infatti, Mora era coinvolto nei comitati scientifici di istituzioni quali l’ICOM, per il quale fu coordinatore del gruppo di lavoro su dipinti murali e mosaici dal 1961 al 1984 e membro del Consiglio di direzione dal 1972 al 1979; l’IIC (International Institute for conservation of historic and artistic works), di cui fu membro dal 1961; il Comitato internazionale per la conservazione del mosaico, di cui fu presidente dal 1977 al 1986; il Comitato internazionale per il restauro dei mosaici di Torcello, di cui fu coordinatore e direttore dei lavori di conservazione; l’ISMEO (Istituto per il Medio ed Estremo Oriente), di cui era consulente dal 1963. Gran parte del percorso professionale di Mora fu accompagnato dalla stesura del volume La conservazione delle pitture murali, il cui progetto nacque dalle ricerche di un gruppo di lavoro dell’ICOM dedicato alla conservazione, costituitosi nel 1959, che elaborò un primo quadro unitario sulla materia, presentato alla riunione del Comitato ICOM tenutasi a New York nel settembre 1965. L’immenso lavoro di studio delle fonti e di analisi delle esperienze fu frutto di un’assidua condivisione e collaborazione tra Mora, la moglie e Philippot. Per il settore della chimica relativa ai consolidanti e ai nuovi supporti fu fondamentale l’apporto di Torraca. Il volume, testo cardine per il restauro delle pitture murali, fu tradotto in numerose lingue. L’ultimo grande cantiere condotto da Mora, sempre in collaborazione con la moglie, fu la tomba di Nefertari in Egitto, special project con cui prese avvio la sua collaborazione con il Getty Conservation Institute e con l’Egyptian Antiquities Organization (1986-1992). L’attività di Mora in Egitto era iniziata nel 1962, come membro della commissione incaricata di proporre soluzioni per la conservazione dei templi di Buhen, Semna e Abu Simbel in Nubia, dove aveva avuto potuto visionare per la prima volta la tomba della regina. Altri viaggi (1969, 1978, 1986) precedettero l’avvio del cantiere di primo intervento, nel 1987. Il risultato del restauro, concluso nel 1992 e apprezzato unanimemente, fu reso possibile dal sommarsi, in un’unica persona, di conoscenze tecniche adeguate ad affrontare il degrado dovuto a processi di solfatazione che rendevano i dipinti sensibili al minimo tocco, di conoscenze teoriche assimilate in anni di confronto con la proposta metodologica brandiana sul problema delle lacune, di una disponibilità al confronto e allo scambio culturale. Durante la sua lunga attività lavorativa Mora ricevette numerosi premi e onorificenze: nel 1981 fu proclamato ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana; nel 1983, assieme alla moglie, fu insignito dell’Ordre jugoslave du drapeau avec étoile d’or; nel 1984 gli fu conferito il premio ICCROM; nel 1987 fu nominato commandeur de l’Ordre des arts et des lettres de la République Française; nel 1988 ottenne il diploma di benemerenza con medaglia d’argento dell’Ente provinciale per il turismo di Roma e il diploma con medaglia d’oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte conferito dal presidente della Repubblica; nel 1997 gli fu conferito il premio Rotondi ai salvatori d’arte. Morì a Roma il 26 marzo 1998. Dall’unione con Laura Sbordoni sono nati, tra il 1946 e il 1963, Francesco, Costanza – l’unica ad aver scelto la professione del restauro – Maria Immacolata e Giovanna.
Oltre alle opere citate nel testo si ricordano: P. Mora - G. Torraca, Solventi per la pulitura dei dipinti a tempera, in Bollettino dell’Istituto centrale del restauro, 1957, nn. 31-32, pp. 171-173; P. Mora, La technique de la peinture murale romaine antique. ICOM Report 67/28, 6th Joint Meeting of the ICOM Committee for museum laboratories and of the Sub-committee for the care of paintings, Bruxelles 1967; Id., Proposte sulla tecnica della pittura murale romana, in Bollettino ICR, n. unico, 1967, pp. 63-84; H.J. Plenderleith - P. Mora - G. Torraca et al., Conservation problems in Egypt, Roma 1970, ICCROM, n. 17820; P. Mora - G. Torraca - G. Tripp, A project for an international course on wood conservation technology, in International Symposium on the conservation and restoration of cultural property: the conservation of wooden cultural property, Tokyo-Saitama… 1982, Tokyo 1983, p. 297-308; L. Mora - P. Mora - G. Zander, Coloriture e intonaci nel mondo antico, in Intonaci, colore e coloriture nell’edilizia storica. Atti del Convegno di studi, Roma… 1984, in Bollettino d’arte, LXXI (1986), 35-36, pp. 11-16 (suppl.); L. Mora - P. Mora, Ispezione sullo stato dell’arte: materiali comunemente disponibili sul mercato ed impiegati per intonaci e colore, ibid., pp. 115-118; P. Philippot - L. Mora - P. Mora, Il restauro degli intonaci colorati in architettura: l’esempio di Roma e la questione di metodo, ibid., pp. 139-141; P. Mora - L. Mora, Il programma di conservazione della tomba di Nefertari, in Nefertari. Luce d’Egitto (catal.), a cura di M.A. Corzo, Roma 1994, pp. 91-112.
Fonti e Bibl.: Roma, Istituto centrale del restauro, Archivio amministrativo, f. personale P. M.; Ibid., Archivio storico, f. AS302, AS158, AS683, AS852, AS989, AS990, AS1026/1-2; f. personale Giovanni Urbani; Roma, Archivio ICCROM, sub-fondo Giorgio Torraca, f. fissativi, 1957-61; Roma, Archivio privato P. e Laura Mora, P. e Laura M. Curriculum vitae. Necr.: M.A. Corzo, A tribute to P. M., http://www.getty. edu/ conservation/publications/newsletters/13_2/ gcinews09.html; G. Buzzanca - P. Cinti, Un’équipe multidisciplinare: l’Istituto centrale del restauro di Roma, in L’emozione e la regola. I gruppi creativi in Europa dal 1850 al 1950, a cura di D. De Masi, Bari 1991, pp. 281-314, 374-377; The safeguard of the Nile Valley monuments, as seen through ICCROM’s Archives, CD-ROM, ICCROM, Rome 1996; M.I. Catalano - A. Cerasuolo - L. Secco Suardo et al., A colloquio con Paul Philippot, in Bollettino ICR, 2001, n. 2, pp. 4-43; C. Bon Valsassina, Restauro made in Italy, Milano 2006; S. Rinaldi, Roberto Longhi e la teoria del restauro di Cesare Brandi, in La teoria del restauro nel Novecento da Riegl a Brandi. Atti del Convegno internazionale, Viterbo… 2003, Firenze 2006, pp. 101-115; M.I. Catalano, Lungo il cammino. Cesare Brandi 1933-1943, Siena 2007; B. Zanardi, Restauro, in Enc. del Novecento. Suppl. III, XIII, Roma 2004, p. 570.