TAVIANI, Paolo Emilio
TAVIANI, Paolo Emilio. – Nacque a Genova il 6 novembre 1912, unico figlio di Ferdinando, insegnante e poi dirigente scolastico, e di Elide Banchelli, maestra elementare.
Il padre, già promotore locale della Democrazia cristiana di Romolo Murri, dopo il 1919 fu militante del Partito popolare.
Pur di origine toscana per parte di padre, Paolo si identificò sempre fortemente con il contesto ligure e la città capoluogo. A Genova frequentò il liceo classico Andrea D’Oria, dove si diplomò con il massimo dei voti nel 1930, e si iscrisse quindi alla facoltà di giurisprudenza.
Sui suoi giovanili interessi letterari (palesatisi nei contributi a Il Rinascimento letterario, mensile di ispirazione cattolica pubblicato a Genova tra il 1931 e il 1934) prevalsero presto quelli economico-politici. Educato cattolicamente, ma sensibile al patriottismo mazziniano, nel 1931 Taviani divenne presidente della sezione genovese della Federazione universitaria dei cattolici italiani (FUCI). Pur assertore convinto dell’autonomia politica dei cattolici, già nel 1930 si era iscritto ai Gruppi universitari fascisti (GUF), auspicando una convergenza tra cattolici e regime fascista, sull’onda della conquista dell’Etiopia (1935-36) e della partecipazione delle truppe italiane alla guerra civile in Spagna (iniziata nel 1936), ma soprattutto delle elaborazioni corporativistiche, alle quali partecipò con saggi e articoli pubblicati in diverse riviste (Vita e pensiero, Rivista internazionale di scienze sociali, Economia, Studium, Nuovo cittadino, Avvenire d’Italia), frutto degli studi universitari che andava compiendo tra Genova, Pisa e Milano. Dal 1938 sviluppò un orientamento critico nei confronti del regime, in avversione alle leggi razziali e soprattutto al nazismo, e lo esplicitò in alcuni scritti (che in seguito, nel 1943, gli sarebbero valsi una proposta di assegnazione al confino, poi archiviata).
Diplomatosi in paleografia e diplomatica nel 1932 (presso la Scuola di archivistica dell’Archivio di Stato di Genova), nel 1934 si laureò a Genova in giurisprudenza, con una tesi su Teorie della utilità e del valore (pubblicata come volume nel 1938, con il titolo Il concetto di utilità e la teoria economica, e ripubblicata più volte dopo il 1967; 2a ed., in due volumi, 1973-1974). Ammesso alla Scuola Normale di Pisa, nel 1935 vi conseguì due diplomi di perfezionamento (il primo in analisi matematica e in calcolo delle probabilità, il secondo in scienze corporative) e nel 1936 si laureò in scienze sociali (la sua tesi fu pubblicata nello stesso anno, con il titolo La partecipazione operaia al profitto nel sistema capitalistico, sulla Rivista internazionale di scienze sociali, vol. 7, n. 2, pp. 169-183, e n. 3, pp. 297-311).
Svolto nel 1936-37 il servizio militare come allievo ufficiale di artiglieria (sarebbe stato richiamato nel giugno del 1940, dopo l’ingresso in guerra dell’Italia, e avrebbe prestato servizio per poche settimane come ufficiale sul fronte italo-francese delle Alpi), dal 1938 insegnò storia e filosofia nei licei (prima a La Spezia e in seguito a Pisa e a Genova).
Nel 1939 si laureò anche in lettere e filosofia alla Cattolica di Milano (la sua tesi fu pubblicata in volume l’anno successivo, con il titolo Problemi economici nei riformatori sociali del Risorgimento italiano). Alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Genova, divenuto assistente di geografia e conseguita la libera docenza in storia dell’economia e delle dottrine economiche, dal settembre del 1943 fu professore incaricato di demografia nel corso di laurea in scienze politiche (in quello stesso corso, dal 1969 divenuto facoltà autonoma, dal 1961 al 1983 sarebbe stato professore incaricato di storia delle dottrine economiche).
Nel 1941 aveva sposato Vittoria Festa (1918-2008), con la quale avrebbe avuto otto figli.
Fin dagli anni Trenta, e ancor più intensamente nei primi anni della guerra, Taviani – confrontandosi con religiosi, quali Giuseppe Siri, Emilio Guano e Franco Costa, e studiosi, tra i quali Amintore Fanfani, Sergio Paronetto, Mario Romani, Giorgio La Pira – partecipò in modo significativo al rinnovamento della cultura economica dei cattolici italiani: ribadendo il principio della subordinazione ultima dell’economia capitalistica all’etica, evidenziò i limiti del tradizionale riferimento cattolico alla partecipazione dei lavoratori, ma anche l’impraticabilità, in un contesto autoritario, della soluzione corporativa propugnata dal fascismo, cui pure aveva guardato con interesse per le sue finalità sociali.
Membro del Consiglio nazionale del movimento laureati cattolici tra il 1941 e il 1943, Taviani elaborò ulteriormente (in particolare nei volumi Prospettive sociali, pubblicato nel 1944 e in edizione accresciuta nel 1945, e La proprietà, redatto nel 1945 e pubblicato nel 1946) il proprio orientamento, imperniato sulla centralità del diritto al lavoro, l’eguaglianza dei punti di partenza, la funzione sociale della proprietà, il pluralismo degli interessi e, in chiaro riferimento al filosofo francese Emmanuel Mounier, il personalismo come incontro tra comunità e individuo. Ne scaturì il disegno di un’economia programmata (ovvero regolata) e a carattere misto, nella quale aziende pubbliche decentrate avrebbero affiancato quelle a conduzione privata.
Taviani si era nel frattempo accostato al movimento cristiano-sociale (diretto da Gerardo Bruni), aiutandone l’insediamento tra la Toscana costiera e la Liguria, ma nell’estate del 1943 promosse l’unificazione della sua sezione di Genova con gli ex popolari e la confluenza nella nascente Democrazia cristiana (DC), prendendo parte anche alle riunioni fondative romane.
Nel luglio dello stesso anno partecipò alla redazione del cosiddetto Codice di Camaldoli, documento elaborato nel monastero di Camaldoli (in Toscana) da un gruppo di intellettuali, e che trattava vari temi sociali al fine di fornire alle forze cattoliche una base unitaria.
Divenuto segretario regionale della DC, durante la Resistenza Taviani la rappresentò nel Comitato di liberazione nazionale (CLN) della Liguria, ove, con il nome di Riccardo Pittaluga, fu attivo nel reperimento di risorse finanziarie, nella produzione della stampa clandestina e in missioni di collegamento sia con le bande partigiane dell’alta Valle Scrivia (subito a nord di Genova) sia con il CLN Alta Italia e gli esponenti milanesi della DC.
Nel 1944 arricchì il dibattito dell’antifascismo cattolico con le Idee sulla Democrazia cristiana, testo diffuso in clandestinità nell’autunno di quell’anno (e poi pubblicato in C. Brizzolari, Un archivio della Resistenza in Liguria, Genova 1974, 1984) e fortemente influenzato dalla coeva esperienza resistenziale; in esso Taviani insisteva su alcuni punti per lui fondamentali: la critica del fascismo, il rifiuto del partito unico dei cattolici, l’esigenza di un rinnovamento socioeconomico, un chiaro orientamento democratico, la scelta a favore della repubblica come futura forma istituzionale dell’Italia.
Nell’aprile del 1945 fu fautore convinto e protagonista dell’insurrezione di Genova.
Taviani considerò la Resistenza sia una grande esperienza popolare unitaria (che avrebbe narrato molti anni dopo in Pittaluga racconta: romanzo di fatti veri, 1943-45, 1988, 1995), sia un passaggio cruciale nella costruzione della democrazia antifascista e per la legittimazione della DC come partito laico e nazionale, in una prospettiva di risoluto contrasto al Partito comunista italiano (PCI), pur nei limiti della Costituzione.
Dopo la Liberazione, Taviani rappresentò la DC prima nella Consulta nazionale (settembre 1945-giugno 1946) e poi nell’Assemblea costituente (giugno 1946-gennaio 1948), dove, come membro della Terza sottocommissione (Lineamenti economici e sociali), diede un contributo determinante alla formulazione degli articoli della Costituzione dedicati alla tutela della proprietà e alle sue funzioni sociali. Fu deputato dalla I alla VI legislatura (quindi dal 1948 al 1976) e senatore dalla VII alla XIV (dal 1976 al 2006), grazie a un solidissimo consenso personale nella sua Genova e in Liguria.
In quanto rappresentante per la sua regione della nuova leva resistenziale, dal 1946 fu membro della Direzione della DC e dal 1947 vicesegretario. Pur simpatizzando con la sinistra del partito, si schierò a fianco di Alcide De Gasperi: al II Congresso nazionale (Napoli, novembre 1947) relazionò sui temi economici e sociali, auspicando sostegni ai redditi dei lavoratori; nella successiva riunione della Direzione (Roma, dicembre 1947), fu tra i promotori della creazione di una struttura di autodifesa del partito (affidata agli ex partigiani), in vista di una possibile guerra civile. Questa struttura fu smantellata nell’autunno dell’anno successivo, dopo il successo elettorale di aprile, cui Taviani largamente contribuì, in quanto coordinatore dell’organizzazione e della propaganda. In netta polemica con l’integralismo di Luigi Gedda (promotore dei comitati civici) e di altri esponenti democristiani, in quel periodo Taviani si dimostrò fautore di una DC che coniugasse principi cristiani e metodo democratico. In quanto tale, nel giugno del 1949 fu eletto segretario, nell’intento di arginare la forte corrente di sinistra che faceva capo a Giuseppe Dossetti.
Lasciato l’incarico nell’aprile del 1950, in giugno guidò la delegazione italiana alla Conferenza di Parigi sul cosiddetto Piano Schumann, la quale inaugurò un ciclo di trattative che portò infine, nell’aprile del 1951, alla nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), ma anche, nel settembre dello stesso anno, al lancio ufficiale di un progetto di statuto della Comunità politica europea (cioè dell’organismo politico incaricato di controllare l’esercito europeo unificato che si aveva allora in animo di creare); tutte queste iniziative si inserivano in una prospettiva che, al di là delle convenienze economiche, vedeva in organismi di tipo federale lo strumento per rafforzare il ruolo dell’Italia, superare i nazionalismi e rinsaldare la collocazione occidentale e atlantica dell’Europa.
Argomentazioni, queste, che Taviani stesso aveva addotto nel febbraio del 1949 a motivare l’adesione italiana al Patto atlantico (nome d’uso dell’Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord, OTAN) e che furono sottese alle lunghe e da ultimo fallimentari trattative per la realizzazione della Comunità europea di difesa (CED), condotte da Taviani in qualità di sottosegretario agli Esteri, dal luglio 1951, e poi, dall’agosto 1953 (dopo un brevissimo incarico come ministro del Commercio estero, nel luglio-agosto di quell’anno), come ministro della Difesa (incarico mantenuto fino al luglio 1958, nei governi Pella, Fanfani I, Scelba, Segni I, Zoli).
Rientrò nella stessa strategia anche la decisione, nell’agosto del 1953, di inviare truppe al confine con la Iugoslavia, allo scopo di forzare con una mobilitazione militare il raggiungimento di un accordo (che sarebbe stato poi firmato in ottobre) per il passaggio all’Italia della zona A del Territorio libero di Trieste e della zona B alla Iugoslavia, così da stabilizzare i rapporti con quest’ultima e, tacitando le destre interne, rendere i governi centristi e l’Italia protagonisti autorevoli e affidabili delle relazioni euro-occidentali. Si veda a tale proposito il diario privato che Taviani tenne tra l’agosto del 1953 e il novembre del 1954, pubblicato per la prima volta solo nel 1993 (con il titolo I giorni di Trieste), nella rivista Civitas (4, pp. 3-119) e poi ristampato in volume separato nel 1994 e nel 1998.
Come Taviani ribadì negli interventi parlamentari (poi in parte raccolti nel volume postumo Discorsi parlamentari, Bologna 2005) e negli scritti su Civitas (rivista pubblicata dal 1919 al 1925 e poi di nuovo dal 1947, ma da lui rilanciata nel 1950 e diretta fino al 1995), egli riteneva che in una guerra globale o europea il neutralismo non garantisse la sicurezza del Paese dalla minaccia sovietica, che avrebbe investito l’Italia per prima, a partire dalla Iugoslavia o dall’Ungheria attraverso l’Austria. Considerando seria tale minaccia – in particolare nel 1950 (guerra di Corea), nel 1956 (crisi di Suez e rivolta di Ungheria) e nel 1962 (crisi di Cuba) – si adoperò per riqualificare le forze armate italiane e per inserirle in un dispositivo più ampio, sollecitando la dislocazione nella penisola di armi e uomini del Patto atlantico e, fallita la CED nell’agosto del 1954, appoggiando il riarmo tedesco e nel 1957-58 i progetti, poi falliti, di una ‘atomica europea’.
Inoltre, nel 1956 Taviani promosse la riorganizzazione e il potenziamento di preesistenti apparati antinvasione imperniati sulla mobilitazione di civili (in origine provenienti dai movimenti partigiani non comunisti) e li inserì nelle strutture del Patto note come stay-behind (che in Italia erano rappresentate dall’Organizzazione Gladio), informando solo il presidente della Repubblica e alcuni ministri, perché considerava tale iniziativa un’applicazione di accordi internazionali già ratificati. Peraltro, nonostante le sue affermazioni, a tutt’oggi non è chiaro quanto Taviani fosse responsabile, o a conoscenza, delle finalità anche interne assunte da Gladio almeno dal 1958 e dell’orientamento politico, talora palesemente neofascista, dei suoi membri.
In politica interna, fin dal 1948 Taviani propugnò un anticomunismo leale al dettato costituzionale, fondato su provvedimenti sociali e, per quanto deciso nel limitare per via amministrativa l’azione politica e sindacale comunista, avverso a qualsivoglia contrapposizione frontale, che egli riteneva avrebbe indebolito anzitutto la DC, offuscandone il carattere antifascista e l’autonomia, a vantaggio di interessi clericali e integralisti (come nella fallita ‘operazione Sturzo’ del 1952, il tentativo, compiuto da Gedda con l’incoraggiamento di papa Pio XII, di varare per le elezioni municipali di Roma una lista civica cattolica capeggiata da don Luigi Sturzo e ‘allargata’, cioè aperta al sostegno di tutti gli anticomunisti, compresi i monarchici e i neofascisti). A salvaguardare la centralità della DC e del centrismo, già dal 1950 Taviani sollecitò invece leggi elettorali che attribuissero un premio consistente alla lista prevalente.
I ruoli ministeriali sancivano l’inserimento di Taviani al vertice del partito, frutto a un tempo della sua vicinanza a De Gasperi e del ricambio generazionale avviato costituendo – assieme ad Amintore Fanfani, Aldo Moro, Mariano Rumor ed Emilio Colombo – la corrente di Iniziativa democratica. Palesatasi nel Consiglio nazionale di Grottaferrata (giugno-luglio 1951), essa raccolse l’eredità degasperiana e, integrati i resti del dossettismo, nel V Congresso nazionale (Napoli, giugno 1954) assunse il controllo del partito in forma collegiale, da allora insostituibile strumento del potere di governo democristiano. All’indebolimento del centrismo, Iniziativa democratica reagì avviando un’interlocuzione assai graduale con il Partito socialista italiano (PSI), il che presupponeva, in specie per Taviani – sempre in contatto con l’ambasciatrice statunitense Claire Boothe Luce (in carica tra il 1953 e il 1956) – anzitutto il superamento da parte di questo partito del neutralismo in politica estera e dunque l’adesione piena all’atlantismo. Frenate nel Consiglio nazionale di Vallombrosa (luglio 1957) le iniziative di Fanfani, considerate premature e divisive, e assestato il partito attorno alla nuova corrente ‘dorotea’, la collaborazione con i socialisti dovette attendere il fallimento di sperimentazioni personalistiche – quali il governo Tambroni del 1960, di cui Taviani criticò le pulsioni isolazioniste, pur reggendovi il ministero del Tesoro (era già stato alle Finanze nel precedente governo, il Segni II) – e l’avallo del nuovo presidente statunitense, John F. Kennedy. Dopodiché, nel febbraio del 1961, Taviani volle che tale collaborazione si concretizzasse in sede amministrativa proprio nella sua Genova, con la formazione di una giunta municipale di centrosinistra, cioè con la partecipazione del PSI (la seconda in Italia dopo quella, formatasi due settimane prima, di Milano).
Nei governi di centrosinistra, Taviani dapprima guidò ancora il Tesoro (governo Fanfani III, 1960-62) – semplificando e riequilibrando l’assetto dei tributi, in maggior parte ancora indiretto – e poi gli Interni (governi Fanfani IV e Moro I, II e III, 1962-68). Accolse la proposta di una Commissione parlamentare antimafia, propugnò una semplificazione delle norme di pubblica sicurezza in ambito amministrativo – non approvata per la conclusione della legislatura –, migliorò le condizioni di vita e di lavoro (ma non i diritti sindacali e la qualificazione professionale) delle forze di polizia. Fronteggiò con determinazione il terrorismo degli indipendentisti sudtirolesi, ma non è chiaro quanto sapesse della ‘guerra sporca’ condotta contro di essi dalla polizia e dai carabinieri. Sollecitò una gestione più equilibrata e meno violenta dell’ordine pubblico, ma si oppose al disarmo delle forze di polizia e al ridimensionamento dei poteri di prefetti e questori e non favorì un maggiore rispetto dei diritti civili. Risalgono inoltre a questo periodo il ricorso ad agenti in borghese nelle manifestazioni di piazza e gli ambigui rapporti di taluni ufficiali con esponenti della destra neofascista, invero fermamente condannata dallo stesso Taviani dopo i gravi scontri dell’aprile 1966 nell’ateneo romano. Peraltro, proprio a seguito di questi, invertendo la prassi vigente, egli autorizzò e incoraggiò l’intervento delle forze di polizia nelle università per impedire o porre fine a qualsiasi occupazione o assemblea non autorizzata, salvo parere contrario delle autorità accademiche. Disposizioni che, accompagnate da criteri operativi opachi nei conflitti di piazza, contribuirono a radicalizzare la mobilitazione studentesca e poi operaia dei tardi anni Sessanta.
La tensione tra lealtà costituzionale e controllo delle pulsioni autoritarie diffuse nei corpi dello Stato emerse anche nella crisi politica del luglio 1964, in occasione delle dimissioni del governo Moro I. In tale circostanza, Taviani respinse con fermezza l’ipotesi di un governo di emergenza, in antitesi a quelli di centrosinistra; tale ipotesi era propugnata dal presidente della Repubblica Antonio Segni e veniva avallata da esponenti politici e istituzionali autorevoli, con il sostegno del generale Giovanni De Lorenzo, comandante generale dei carabinieri e già responsabile del Servizio informativo delle forze armate (SIFAR), con cui Taviani aveva a lungo collaborato negli anni precedenti, ma che in quella vicenda gli fu invece apertamente avverso. Questa tensione si ripropose nel 1967, quando divenne noto l’utilizzo abusivo di informazioni riservate effettuato nel 1964 da De Lorenzo: ritenendo che sulle manchevolezze di quest’ultimo dovesse prevalere l’assunzione di responsabilità da parte dei politici, Taviani si oppose, invano, allo scioglimento del SIFAR.
Rafforzare il centrosinistra significava invece, per Taviani, restituire coesione alla DC – scopo che perseguì formando dal 1967 al 1969 una propria corrente, detta dei pontieri perché volta al dialogo con le sinistre interne –, rilanciare l’intesa con il nuovo Partito socialista unificato (nato nell’ottobre del 1966 dalla fusione tra il PSI e il Partito socialdemocratico), attuare le Regioni a statuto ordinario. In particolare, promosse queste ultime con determinazione (fu tra l’altro uno degli autori della l. 17 febbraio 1968 n. 108, Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale), in una prospettiva di decentramento amministrativo che salvaguardasse sostanzialmente le prerogative dello Stato nazionale, ma riallineasse anche assetti politici e consensi elettorali, tra l’altro inserendo in alcuni governi locali il PCI, che, attenuatasi la guerra fredda e scomparsi ormai da molto tempo i ‘secchiani’ (com’erano stati chiamati i seguaci di Pietro Secchia, principale esponente dell’ala ‘dura’ del partito, che era stato emarginato nel 1954), non considerava più una minaccia per le istituzioni repubblicane.
A ciò doveva aggiungersi, dopo la riforma agraria, il sostegno all’edilizia pubblica, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, una rinnovata politica di sviluppo, che, in coerenza con le sue concezioni economiche, Taviani propugnò quale ministro delegato agli Interventi straordinari nel Mezzogiorno (governi Rumor I, II e III e Colombo, 1968-72) e come ministro del Bilancio e Programmazione economica (governi Andreotti I e II, 1972-73). Anche se era assertore della stabilità monetaria e del controllo della spesa pubblica, in questa fase il suo approccio produttivistico si esplicitò nella riforma dell’intervento pubblico (l. 6 ottobre 1971 n. 853, [...] modifiche [...] al testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno), finalizzata allo sviluppo anzitutto industriale nelle aree del Centro-Sud e imperniata sul vincolo della riserva territoriale degli investimenti, sul ruolo delle Partecipazioni statali e sulla razionalizzazione degli investimenti tramite i progetti speciali e il coordinamento tra ministero, Regioni e Cassa per il mezzogiorno.
All’inizio degli anni Settanta, il disegno di trasformare la DC da ‘partito dei cattolici’ – connotazione da Taviani sempre ritenuta una necessità piuttosto che una risorsa, come confermò il suo scarso impegno nella campagna antidivorzista del 1974 – in partito liberaldemocratico moderato, lo allontanò tanto da Fanfani quanto da Moro, succedutisi anche in quegli anni alla guida della DC e con i quali fu di fatto in competizione per la guida del governo. Ricercò invece, fermo restando il suo atlantismo e auspicando il pieno superamento del collateralismo, una ricostruzione del centrosinistra che pure non escludesse un dialogo a distanza con il PCI. Un disegno rimasto minoritario, prima e dopo la parentesi neocentrista del 1972-73, a fronte della frammentazione interna alla DC e dell’indisponibilità dei socialisti, sempre più penalizzati da quella formula di governo.
Tornato responsabile degli Interni (governi Rumor IV e V, 1973-74), tra l’autunno del 1973 e quello dell’anno successivo Taviani sciolse per decreto l’organizzazione neofascista Ordine nuovo (condannata in primo grado per ricostituzione del Partito fascista) e predispose anche quella di Avanguardia nazionale. Inoltre, nel maggio del 1974, all’indomani della strage di Brescia, presso il suo ministero soppresse quell’Ufficio affari riservati da lui stesso fortemente potenziato un decennio prima, spostò ad altro incarico il suo potentissimo dirigente Federico Umberto D’Amato e affidò a Emilio Santillo il nuovo Ispettorato antiterrorismo e al generale Alberto Dalla Chiesa il Nucleo speciale antiterrorismo. In pubblico, criticò decisamente la teoria degli ‘opposti estremismi’, fino ad allora avallata dal suo partito, e indicò nella destra eversiva la prima minaccia per le istituzioni democratiche, pur gestendo con intransigenza il sequestro del giudice Mario Sossi a opera delle Brigate rosse (aprile-maggio 1974).
La nuova ‘strategia della tensione’ delineatasi nella primavera del 1973, e forse anche l’impressione del golpe in Cile, avevano indotto Taviani ad agire drasticamente, dando così anche un segnale forte a quegli uomini e apparati militari e di sicurezza che si erano dimostrati inerti, tolleranti o conniventi con lo stragismo neofascista e i progetti golpisti, nonché – come alcuni magistrati stavano evidenziando – gravemente travalicanti o altrimenti negligenti nei loro compiti d’ufficio. Intendeva così allontanare dalla DC le accuse di coinvolgimento in quei progetti, lanciare un segnale al PCI e difendere il proprio stesso operato, visti i rapporti strettisi nel tempo tra l’estrema destra e gli organismi di sicurezza, parte dei quali aveva a suo tempo direttamente organizzato. Un intreccio di relazioni e di responsabilità che Taviani – pur dimostratosi ben più disponibile di altri leader politici e ribadendo sempre la sostanziale correttezza della propria condotta – non pare aver illustrato pienamente né nel 1977, testimoniando a Catanzaro nel processo per la strage di piazza Fontana (dic. 1969), né quando – nel 1990, nel 1991 e nel 1997 – fu audito dalla Commissione parlamentare sul terrorismo e sulle stragi.
Che con quelle decisioni politiche e amministrative egli andasse a colpire relazioni al tempo stesso pericolose e irrivelabili, lo dimostrarono sia il tentativo di coinvolgerlo nelle inchieste sui disegni eversivi dei partigiani ‘bianchi’ e di Edgardo Sogno, in quel periodo vicepresidente della Federazione italiana volontari della libertà (l’associazione dei partigiani non comunisti, di cui Taviani era presidente dal 1963), sia gli attentati di Savona del novembre 1974, in parte rivolti contro esponenti politici a lui vicini, sia infine, nello stesso mese, la forzata rinuncia al ministero degli Interni e dunque l’esclusione dal governo Moro IV, impostagli proprio per il suo presunto spostamento a sinistra. Di lì a poco, i procedimenti giudiziari che avevano legittimato i suoi interventi furono deviati su un binario morto.
Quella lacerazione si sarebbe rinnovata in occasione del sequestro Moro (marzo-maggio 1978), quando questi, prigioniero delle Brigate rosse, lo accusò di personale ostilità e intransigenza, addirittura forse dettata dagli Stati Uniti, mentre pare invece che Taviani si esprimesse in favore del pagamento di un riscatto o del rilascio di alcuni detenuti.
Da allora, Taviani non ricoprì più incarichi governativi. Fu presidente della commissione di vigilanza della RAI dal 1976 al 1979, e fino al 1987 fu presidente della commissione Affari esteri del Senato. Nel frattempo riprese gli studi colombiani, passione giovanile coltivata con molti viaggi e numerosi scritti, largamente tradotti, alcuni dei quali – Cristoforo Colombo: la genesi della grande scoperta (I-II, Novara 1974, 1988) e I viaggi di Colombo: la grande scoperta (I-II, Novara 1984, 1992) – apprezzati anche in ambito scientifico-accademico. Presiedette la commissione scientifica per l’edizione nazionale della Nuova raccolta colombiana (a cura del Ministero per i Beni culturali e ambientali, I-XXIII, 31 tomi, 1988-2010) e guidò le celebrazioni colombiane del 1992. I suoi ultimi interventi politici elogiarono l’esperienza unitaria antifascista (Milano, 25 aprile 1994, discorso in piazza Duomo alla cerimonia per il 49° anniversario della Liberazione) e i valori costituzionale ed europei (Roma, 30 maggio 2001, quando aprì, quale decano del Parlamento, la XIV legislatura).
Morì a Roma il 18 giugno 2001.
Opere. I suoi scritti, più volte ripubblicati, sono elencati in Bibliografia di opere, saggi e articoli di storia, economia, e scienze politiche, in Scritti in onore del prof. Paolo Emilio Taviani, I, Economia e storia delle dottrine economiche, Genova 1973, pp. 8-20; Bibliografia completa di Paolo Emilio Taviani, a cura di S. Conti, in Ricordo di Paolo Emilio Taviani: l’uomo, il politico, lo storico, a cura di S. Conti, Roma 2003, pp. 47-63.
Oltre a quelli citati nel testo, si segnalano: Crocicchio di stracittà, Genova 1933; Utilità, economia, morale, Milano 1945, Firenze 1970; Breve storia dell’insurrezione di Genova, Firenze 1945, 1988; La proprietà, Roma 1946; Solidarietà atlantica e Comunità europea, Firenze 1954, 1967; Saggi sulla democrazia cristiana, Firenze 1961; Principi cristiani e metodo democratico, Firenze 1965, 1972; Politica a memoria d’uomo, Bologna 2001.
Fonti e Bibl.: La parte più consistente dell’archivio personale di Taviani è depositata presso l’Archivio storico del Senato della Repubblica, a Roma; la documentazione relativa alla Resistenza è a Genova, presso l’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell′età contemporanea, ed è stata parzialmente pubblicata in Un archivio della Resistenza in Liguria, a cura di C. Brizzolari, Genova 1974; quella relativa alla vicenda della CECA (1950-54) è presso la Fondation Jean Monnet pour l’Europe di Losanna.
S. Bartolozzi Batignani, Dai progetti cristiano-sociali alla Costituente: il pensiero economico di P.E. T., 1932-1946, Firenze 1985; P.E. T. nella cultura politica e nella storia d’Italia, a cura di F. Malgeri, Recco 2012. Numerosi riferimenti a Taviani sono reperibili in ciascuna delle seguenti opere: M. Di Lalla, Storia della Democrazia cristiana, I-III, Torino 1979-1982; F. Malgeri, Storia della Democrazia cristiana, I-V, Roma 1987-1989; A. Giovagnoli, Il partito italiano: la Democrazia cristiana dal 1942 al 1944, Roma-Bari 1996; D. Preda, L’Europa di P.E. T.: dalla Resistenza ai trattati di Roma (1944-1957), in L’europeismo in Liguria: dal Risorgimento alla nascita dell’Europa comunitaria, a cura di D. Preda - G. Levi, Bologna 2002, pp. 161-237; G. Pacini, Il cuore occulto del potere: storia dell’ufficio affari riservati del Viminale (1919-1984), Roma 2010; Id., Le altre Gladio: la lotta segreta anticomunista in Italia (1943-1991), Torino 2014; M. Dondi, L’eco del boato: storia della strategia della tensione (1965-1974), Roma-Bari 2015; G. Formigoni, Storia d’Italia nella guerra fredda (1943-1978), Bologna 2016.