ZACCHIA, Paolo Emilio
– Nacque a Vezzano, nella diocesi di Luni-Sarzana, da Gaspare e da Veronica de’ Nobili intorno al 1554.
La famiglia era una delle più fiorenti del piccolo borgo. All’inizio del Cinquecento, il lignaggio vantava tre rami distinti in Lucca. Tuttavia, quello di Gaspare era rimasto a Vezzano.
Paolo Emilio si avviò alla carriera ecclesiastica. Conseguita la laurea in diritto civile e canonico all’Università di Pisa, ebbe come primo grado l’arcidiaconato di Sarzana, il 18 gennaio 1591. Circa un anno dopo, lo zio materno Marcello de’ Nobili, canonico di S. Pietro e cubiculario intimo di Clemente VIII, lo fece venire a Roma. Nominato protonotario apostolico, Zacchia trovò dapprima impiego come uditore presso il cardinale Pier Donato Cesi, poi, all’inizio del novembre 1595, fu nominato commissario generale della Camera apostolica. Divenne cioè il magistrato istruttore delle cause contro i debitori del fisco pontificio, dotato altresì di poteri di controllo in materia contabile e di funzioni consultive. Nel maggio successivo, prese gli ordini sacri. Seguì, nella quarta settimana del novembre 1597, la nomina a nunzio straordinario a Genova e in Spagna per presentare a quei governi le ragioni della Sede apostolica nella questione della mancata successione in linea diretta al titolo ducale di Ferrara.
Con la morte di Alfonso II d’Este, il 27 ottobre 1597, secondo il diritto feudale pontificio, il ducato ferrarese passava sotto il diretto dominio del papa, mentre Cesare d’Este di Montecchio, erede designato dal defunto, subentrava a Modena, Reggio Emilia e Carpi, feudi imperiali, dunque non soggetti all’autorità della Sede apostolica. Papa Aldobrandini notificò in Concistoro, il 2 novembre, l’avvenuta devoluzione, dichiarandosi pronto a ricorrere alle armi. Nondimeno, varò nel contempo un’estesa campagna diplomatica per guadagnare la non opposizione dei principali Stati italiani ed europei al notevole ingrandimento territoriale dello Stato della Chiesa.
La scelta di Zacchia non mancò di sorprendere, dato che si trattava della sua prima esperienza nel campo dei rapporti interstatuali. La nomina «fa[ceva] creder tuttavia, che Sua Santità vo[lesse] portarlo ad altiora, et mostra[va] in vero molta confidenza in lui» (Avvisi di Roma del 22 novembre 1597, in Die Hauptinstruktionen Clemens’ VIII..., 1984, p. CCLXVIII nota 869). In più, un esperto di contratti della Camera apostolica rappresentava l’uomo giusto per la prima parte della missione: sondare la disponibilità dei genovesi a un prestito e acquistare nella Dominante una fornitura di armi, data l’indisponibilità delle armerie di Brescia, causata dall’ostilità veneziana nei confronti della devoluzione.
Ricevuta un’istruzione non molto dettagliata in data 10 dicembre 1597, Zacchia si mise in viaggio poco dopo. Giunto a Genova, prese subito contatti per entrare in possesso di 600 moschetti e 600 armature complete per la cavalleria; egli era pronto addirittura a chiedere 1000 moschetti in prestito dal Senato. Si presentò di fronte ai senatori il 24 dicembre 1597. Perorò la causa del papa e vinse le resistenze circa il prestito di armi grazie all’aiuto del doge Lazzaro Grimaldi Cebà. Poté dunque scrivere a Roma che «questa Repubblica sarà per la Sede Apostolica senza dubbio, così potesse essere quella di Venezia» (lettera al cardinale Bartolomeo Cesi, Genova 27 dicembre 1597, cit. in Zacchia Rondinini, 1942, p. 111). Riuscì infine a ottenere un corposo prestito, addirittura di 300.000 scudi, se si presta ascolto ai redattori di fogli di notizie romani.
Giunse a Loano, il 31 dicembre, per incontrare Giovanni Andrea Doria. Gli consegnò il breve indirizzatogli dal papa, con la richiesta di pieno sostegno alle ragioni romane. Ottenuta una lettera del capo del potente casato genovese per la corte di Spagna, Zacchia si mise in viaggio per mare, a causa delle nevicate che impedivano il transito dei passi appenninici. L’8 gennaio 1598 egli era a Marsiglia, da dove diede notizia a Roma del pieno appoggio dimostrato dal duca Carlo di Guisa (bisnipote, peraltro, di Ercole II d’Este). Una settimana più tardi, arrivò ad Avignone. Percorsa la Linguadoca, giunse quindi a Béziers, ove incontrò il duca di Ventadour. Postosi di nuovo in viaggio, sostò a Narbona. Affrontò quindi il valico dei Pirenei in pieno inverno. Entrato in Spagna, raggiunse prima Saragozza e poi, il 7 febbraio 1598, Madrid.
A questa data la devoluzione di Ferrara era formalmente già conclusa. Il 13 gennaio precedente, infatti, a Faenza era stata firmata la convenzione che poneva fine al contrasto: Cesare d’Este, liberato dalla scomunica papale comminatagli il 23 dicembre precedente, rinunciava alle sue rivendicazioni, mantenendo il solo titolo di duca di Modena e Reggio. A Ferrara, il 29 gennaio, era entrato il cardinale legato Pietro Aldobrandini, prendendo possesso dell’ex ducato a nome del papa. Tuttavia, Madrid era ancora all’oscuro di questi sviluppi.
Zacchia incontrò il sovrano il 12 febbraio alla presenza del nunzio, Camillo Caetani. Presentate le sue credenziali, riferì a Filippo II l’argomento della sua missione, sostenendo le ragioni del pontefice molto calorosamente. Il caso di fronte al quale ci si trovava, così egli argomentò seguendo le istruzioni consegnategli, era semplicemente di un’usurpazione, alla quale Clemente VIII si accingeva a rispondere con le armi. Filippo II avrebbe avuto pieno interesse a esercitare ogni influenza per evitare l’accensione di un pericoloso incendio in Italia. I suoi domini sarebbero stati certamente danneggiati da una guerra dagli sviluppi poco prevedibili, tanto più che si vociferava di arruolamenti per parte di Cesare d’Este nei Paesi protestanti. Il re, tuttavia, non rispose sollecitamente, ma rimandò il nunzio straordinario a un successivo incontro con i suoi più ascoltati consiglieri: don Juan de Idiáquez e il conte di Castel Rodrigo, Cristóbal de Moura. Zacchia li incontrò il 15 febbraio. Ci vollero però un’altra settimana e una nuova udienza accordata dal sovrano prima che egli potesse dare a Roma rassicurazioni riguardo al buon esito della sua missione.
Arrivavano quasi nelle stesse ore a corte notizie sulla soluzione già trovata alla vicenda. Zacchia ebbe la conferma definitiva dell’ingresso a Ferrara del cardinale legato Aldobrandini attraverso una lettera del 2 febbraio, arrivata a Madrid il 2 marzo. Non cessò comunque di vigilare sulle azioni di Cesare d’Este: all’inizio di aprile, portò all’attenzione del cardinale Aldobrandini le voci raccolte presso altri rappresentanti italiani a corte, secondo le quali il duca di Modena stava per effettuare un colpo di mano.
Non ne scaturì nulla. Zacchia rimase in Spagna fino al termine della successiva primavera. Si impegnò particolarmente nell’esazione degli ‘spogli’, cioè delle rendite beneficiali dei prelati defunti. Cercò altresì di difendere la giurisdizione ecclesiastica dall’ingerenza di quella civile, soprattutto a Milano, caso nel quale era stato istruito dall’arcivescovo Federico Borromeo. Guadagnò tanto credito in queste materie scabrose, sempre a un passo dal produrre contenzioso e dal provocare crisi diplomatiche, che si attirò un convinto ed esplicito elogio da parte del nunzio Caetani, indirizzato direttamente al pontefice.
Zacchia partì dalla Spagna il 25 maggio, dopo essersi congedato da Filippo II sei giorni prima. Il 21 giugno, prese il mare a Barcellona, diretto verso l’Italia.
Rientrato in Curia, fu uditore del tribunale della Segnatura di grazia e prelato domestico del papa. Fu creato cardinale il 3 marzo 1599, ricevendo il titolo di S. Marcello. Eletto vescovo di Montefiascone il 14 maggio 1601, fu nominato anche prefetto della congregazione del Concilio tridentino il successivo 23 dicembre. Nel 1602, entrò nella speciale congregazione formata per le violazioni all’immunità ecclesiastica che si ripetevano nella Repubblica di Ragusa (Dubrovnik). L’anno successivo, fece parte anche di quella per la disputa con Venezia per la sovranità su Ceneda e relativamente al patriarcato di Aquileia.
Gli osservatori lo consideravano consigliere molto ascoltato dal pontefice, addirittura il più vicino a lui, dopo il cardinale nipote Aldobrandini. Questo grazie alle sue competenze nelle materie camerali e giuridiche. Ne fece le spese soprattutto il potente cardinale Bartolomeo Cesi, presidente della commissione cardinalizia deputata al recupero di Ferrara ma, dopo il 1603, sempre meno ascoltato. Zacchia restò nondimeno un cardinale povero di entrate da benefici ecclesiastici.
Partecipò al conclave seguito alla morte di Clemente VIII. Per diversi giorni, alla fine del marzo 1605, parve il candidato favorito della fazione legata al cardinale Aldobrandini. Eletto Leone XI e scomparso dopo pochi giorni, su Zacchia puntò ancora il nipote di Clemente VIII all’inizio del conclave che si aprì l’8 maggio 1605. Ma egli era ormai molto malato.
Morì a Roma il 31 maggio 1605.
Fonti e Bibl.: R. de Hinojosa, Los despachos de la diplomacia pontificia en España, Madrid 1896, pp. 393-396; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medioevo, XI-XII, Roma 1929-1930, ad ind.; A. Zacchia Rondinini, Memorie della famiglia Zacchia Rondinini..., Bologna 1942, pp. 17-23, 111-118; Indices de la Correspondencia entre la nunciatura en España y la Santa Sede, durante el reinado de Felipe II, a cura di J. Olarra Garmendia - M.L. Larramendi, I-II, Madrid 1948-1949, ad ind.; Die Hauptinstruktionen Clemens’ VIII..., a cura di K. Jaitner, Tübingen 1984, ad ind.; Kurie und Politik. Stand und Perspektiven der Nuntiaturberichtsforschung, a cura di A. Koller, Tübingen 1998, ad ind.; Genealogien zur Papstgeschichte, a cura di C. Weber, II, Stuttgart 1999, p. 978; M.T. Fattori, Clemente VIII e il Sacro Collegio, 1592-1605, Stuttgart 2004, ad ind.; M.A. Visceglia, Il contesto internazionale della incorporazione di Ferrara allo Stato ecclesiastico (1597-1598), in Schifanoia, 2010, n. 38-39, p. 113.