FADIGATI, Paolo
Nacque a Casalmaggiore (Cremona) l'11 ott. 1760, da Cristoforo e Daria Morizio.
La famiglia era d'origine civile, ma cercava da tempo di vedere riconosciuta una pretesa ascendenza nobile: il nonno del F., anch'egli a nome Paolo, che era stato il primo della famiglia a prendere residenza nel 1707 a Casalmaggiore, rivendicava infatti la discendenza diretta da un ramo della nobile famiglia Affaticati di Piacenza, origine che doveva avere i suoi fondamenti se è vero che con lettera del 1° apr. 1796 (peraltro non accettata dalla commissione araldica quale prova valida) lo stesso conte Paolo Affaticati dichiarò l'esistenza di un legame di sangue tra le due famiglie (Arch. di Stato di Milano, Araldica, p. m., b. 112).
Nulla si sa degli studi del F., se non che conseguì la laurea in giurisprudenza. La prima carica da lui ricoperta di cui si abbia conoscenza fu quella di amministratore del luogo pio dell'Istituto elemosiniere in Casalmaggiore, negli anni 1793-94. Nello stesso periodo il F. era stato scelto, il 17 dic. 1793, dalla Congregazione municipale della sua città quale assessore nella Congregazione stessa, ma con lettera del successivo 21 gennaio egli rinunciò.
I motivi del rifiuto non sono chiari, non sembrando sufficienti "i molteplici affari domestici" (istanza del F. al Consiglio generale di Casalmaggiore, in data 21 genn. 1794, in Arch. di Stato di Milano, Uffici civici, p.a., b. 49) dallo stesso addotti ufficialmente; comunque tale atto non fu ben accolto né dalla Congregazione né dal Magistrato politico camerale, tenuto a ratificare la nomina. Questi sulle prime respinsero l'istanza di rinuncia non reputando giusto che uno dei maggiori estimati della città si sottraesse a tale incarico, di durata solo biennale, cui era tenuto sulla base del codice censuario. Purtuttavia il F. non volle recedere dalla decisione.
Sino alla discesa dei Francesi in Italia egli condusse dunque una vita molto ritirata, impegnato nella gestione del ricco patrimonio, che amministrava congiuntamente al fratello minore Giovanni (nato il 21 marzo 1764), con il quale conviveva.
A proposito dei beni dei due fratelli, vi sono notizie piuttosto dettagliate relativamente al 1825 (notizie fornite il 31 dic. 1825 dal commissario distrettuale, in Arch. di Stato di Milano, Araldica, p.m., b. 112), secondo le quali questi consistevano in possessi fondiari per 5.268 pertiche, portanti un'annua rendita di circa 50.000 lire milanesi, cui andavano aggiunte scorte rurali per circa 20.000 lire, nonché le entrate di altre 10.000 lire derivanti da mutui, censi e interessi su capitali; il tutto senza alcun gravame di debito o di ipoteca, anzi col fondato sospetto che i due potessero "avere una vistosa somma in cassa destinata all'acquisto d'altri poderi". I fratelli erano inoltre proprietari in Casalmaggiore di "una casa assai comoda, e signorile recentemente costrutta, e superbamente mobigliata", e di altre case egualmente lussuose in Martignano e in Rivarolo del Re. Nonostante la ricchezza, pare comunque che gestissero i loro beni con molta parsimonia, "la quale in essi talvolta degenera in avarizia" (rapporto di polizia del 20 ag. 1826, ibid.).
Una ben diversa disponibilità alla vita pubblica il F. cominciò a manifestare all'atto dei cambiamenti politici succeduti alle conquiste napoleoniche. Pare che il F. avesse mostrato qualche simpatia per il nuovo corso, tant'è che essendosi Casalmaggiore resa responsabile nel 1796 di una sommossa antifrancese, ed essendo stata per questo multata di 1.000.000 di franchi, egli fu prescelto dall'amministrazione municipale per perorare la causa a Milano presso il generale in capo Bonaparte: in tale occasione ottenne la revoca del provvedimento.
Probabilmente a seguito di questa missione, che l'aveva fatto conoscere al di fuori dei confini cittadini, egli venne chiamato a fare parte dell'amministrazione generale della Lombardia, subentrata nell'agosto 1796 all'agenzia militare. All'interno dell'organo di governo il F. fu tra coloro che rimasero più defilati, anche se di certo faceva parte nel marzo 1797 della commissione centrale di polizia. Sempre nel 1797, dopo la proclamazione della Repubblica Cisalpina, lo si ritrova quale membro dell'amministrazione centrale del dipartimento cremonese dell'Alto Po, carica dalla valenza politica molto meno marcata della precedente e più a misura di un moderato e ricco possidente quale egli era.
Benché nel corso degli anni cisalpini il F. non si impegnasse in altri incarichi, ormai egli era ben individuato tra le personalità del dipartimento favorevoli al sistema francese: per questo, quando sul finire del 1801 furono convocati a Lione i comizi dai quali sarebbe poi scaturita la Repubblica Italiana, il F. si trovò immediatamente prescelto dalla commissione straordinaria di governo tra i delegati. Si recò in Francia e alla conclusione dei Comizi, nel gennaio 1802, fu compreso tra i membri dell'appena istituito Collegio elettorale dei possidenti, istituto nel quale per eccellenza si trovava raccolto il notabilato napoleonico.
Nell'ambito della Repubblica Italiana del vicepresidente F. Melzi, nel cui carattere moderato si riconosceva appieno, il F. si rese immediatamente disponibile a incarichi più impegnativi. Per breve periodo, nel 1802, fu delegato dei censo a Casalmaggiore, carica in fondo non molto dissimile da quella di assessore da lui rifiutata nel 1794. Ma subito dopo, il 22 maggio dello stesso 1802, accettò di ricoprire la carica di prefetto, inserendosi così tra i più alti funzionari dello Stato.
Poiché potrebbe apparire strano che una nomina a prefetto, carica di grande responsabilità e che richiedeva precise capacità, cadesse su di un personaggio sin lì solo marginalmente coinvolto in attività di concreto impegno amministrativo, va rilevato come le scelte operate dal Melzi privilegiassero in primo luogo lo stato sociale e l'atteggiamento politico degli uomini, lasciando quale condizione accessoria ma non vincolante la sperimentata capacità nel disimpegno degli affari. Pertanto non deve stupire che, in difficoltà a trovare collaborazione dai soggetti a lui più graditi, specie di fronte al fatto che la nomina a una prefettura richiedeva necessariamente un trasferimento in sede diversa da quella di normale residenza, il vicepresidente si rendesse disponibile a scelte nel complesso arrischiate. Di tal genere era la nomina a prefetto del F., la cui genesi è da ricondurre a una segnalazione del commissario straordinario nel dipartimento dell'Alto Po, G. Bernardoni, che lo aveva indicato il 22 apr. 1802 al ministro dell'Interno, L. Villa, quale possibile viceprefetto, facendo seguire alla proposta l'annotazione che "forse non difficilmente s'indurrebbe ad abbandonare il proprio paese, quando si trattasse di non andar troppo lontano" (Arch. di Stato di Milano, Uffici regi, p.m., b. 3). Questa disponibilità, data da un soggetto quale il F., che a Milano veniva giudicato "sage et moderé", doveva risultare invitante al punto da convincere il Melzi a nominarlo non a una viceprefettura, bensì a una prefettura, naturalmente in una sede non lontana da Casalmaggiore, quale appunto era Reggio Emilia (dipartimento del Crostolo), ove prese ufficialmente servizio l'8 giugno 1802.
La nomina non fu in realtà fortunata. Abituato a una vita calma e rilassata, il F. non riuscì ad adattarsi all'intenso lavoro che la conduzione di un ufficio prefettizio implicava. I suoi dipendenti lo bollarono ben presto con l'epiteto non certo gratificante di "fadiga-te", che la diceva lunga sull'assiduità al posto di lavoro. Nei tre anni circa nei quali rimase a Reggio ebbe vari richiami dai diretti superiori, cioè dai ministri della Repubblica: particolarmente gravi furono le accuse di poca attenzione nel disimpegno delle importantissime operazioni della leva militare, mossegli dal ministro della Guerra; ma forse segnale ancor più indicativo dell'incapacità a gestirsi con la dovuta energia e con pronta sottomissione agli ordini governativi fu la resistenza che egli oppose nel 1802 alle disposizioni ministeriali di riduzione negli organici del personale di prefettura, esuberanti di personale a seguito della politica di larghe assunzioni praticata dalla Cisalpina. La conclusione di questa esperienza la si ebbe nel 1805, all'atto del passaggio dalla Repubblica Italiana al Regno d'Italia, quando il F. si trovò compreso nella lista dei prefetti destituiti, accomunato con due colleghi nel duro giudizio del viceré Eugenio di Beauharnais di "absolument nuls".
Rientrato a Casalmaggiore, il F. non ebbe più a ricoprire cariche di tanto impegno, pur non tirandosi del tutto da parte. In particolare, dal 1805 al 1814 fu rappresentante del governo italico nel Magistrato del Po a Piacenza, ufficio che gli consentiva peraltro di vivere nella città natale, dedicandosi senza problemi all'amministrazione del patrimonio.
Un ritorno alla vita politica attiva lo si ebbe nel 1814, al momento dei rivolgimenti che accompagnarono la fine dell'esperienza napoleonica, ma questa volta in chiave strettamente locale. Fu infatti inviato nel 1814 a Vienna per perorare la causa della sua città, prossima a rientrare ufficialmente nell'orbita austriaca. Quando poi le regie patenti dell'aprile 1815 non confermarono l'antica provincia di Casalmaggiore, il F., unitamente al podestà Fantini e al Bonzoni, si recò in delegazione nuovamente a Vienna per cercare di ottenere quanto meno il riconoscimento del titolo di città regia, che fu poi confermato con patente dell'8 marzo 1816.
La posizione politica sempre defilata tenuta dal F. fece sì che con la Restaurazione non avesse a sopportare alcun provvedimento restrittivo, tanto più che il suo nome non era risultato iscritto ad alcuna loggia massonica. Con la riorganizzazione della Congregazione centrale egli ebbe dunque nel gennaio 1816 la nomina a deputato non nobile per la provincia di Cremona, carica che mantenne sino al 1824, quando si dimise.
A parte l'impegno, invero più formale che effettivo, presso la Congregazione centrale, il F. visse, dal 1816 sino alla morte, in forma privata.
Peraltro in quegli anni si impegnò con rinnovata energia, unitamente al fratello Giovanni, per ottenere il riconoscimento della nobiltà da parte di Vienna. Era questo della nobilitazione un obiettivo che i due fratelli perseguivano da tempo, come testimonia anche la loro politica matrimoniale, che vide il F. sposare il 23 ott. 1800 Barbara Vimercati, di famiglia patrizia milanese, e in seconde nozze, il 28 nov. 1817, Marianna Fantini, del patriziato casalasco (entrambe le unioni furono senza figli), e Giovanni sposare il 15 nov. 1817 Costanza d'Arco, figlia del conte Francesco, patrizio mantovano. Gli anni decisivi per il conseguimento del sospirato titolo furono quelli tra il 1825 e il 1827. Probabilmente ebbe un peso rilevante in questo senso l'occasione che si presentò ai fratelli di ospitare nella loro abitazione, di passaggio a Casalmaggiore nel luglio 1825, l'imperatore Francesco I e l'arciduca Francesco Carlo con le relative consorti: non dovette essere, infatti, un semplice caso che subito dopo venisse inoltrata l'ufficiale supplica con la richiesta di nobilitazione, e che nell'ottobre di quell'anno iniziasse il complesso iter destinato a chiudersi il 4 febbr. 1827 con la concessione ai due fratelli della nobiltà austriaca.
Il F. morì a Casalmaggiore il 30 genn. 1844.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Uffici regi, p.m., b.521; Ibid., Araldica, p.m., bb.58, 112; Ibid., Uffici civici, p.a., b. 49; Ibid., Vicepresidenza Melzi, b. 33; I comizi nazionali in Lione per la costituzione della Repubblica italiana, a cura di U. Como, Bologna 1934-1940, III, 2, p. 48 e ad Ind.; T. Casini, Di alcuni cooperatori italiani di Napoleone I, in Ritratti e studi moderni, Milano-Roma-Napoli 1914, p. 451; L. Antonielli, Le prefetture del Crostolo e del Panaro (1802-1814), in Reggio e i territori estensi. L'antico regime all'età napoleonica, Parma 1979, p. 152.