FARINA, Paolo
Nato a Genova il 1° maggio 1806 da Carlo Maria e da Anna Maria Masnata, vi compì gli studi sino alla laurea in giurisprudenza. Si dedicò quindi all'avvocatura, ottenendo brillanti successi ed acquistando una vasta competenza in materia commerciale e finanziaria.
Nel 1847 entrò a far parte del Comitato dell'Ordine, trasformatosi poi in Circolo nazionale: un'associazione che riuniva gli uomini di punta del liberalismo genovese ed i futuri protagonisti dell'economia cittadina tra 1850 e 1860, come R. Rubattino, C. Bombrini, G. F. Penco. All'aprirsi del regime costituzionale, il Circolo, del quale il F. era vicepresidente, ebbe un ruolo importante nella scelta dei candidati per le prime elezioni e tentò una mediazione fra tendenze moderate e radicali. Accanto a V. Ricci, a L. Pareto ed allo stesso F. era infatti proposto il nome di Mazzini; e l'avversario più accanito di tale designazione fu proprio il F., schierato su posizioni antirepubblicane e filosabaude, che ben risultano anche da un appello ai Lombardi per l'unione al Piemonte da lui steso all'indomani dell'insurrezione milanese.
Nel '48 venne eletto, oltre che nel collegio di Genova VI per il quale optò, in quelli di Broni e Lévanto, dove la candidatura era evidentemente connessa con le cospicue proprietà immobiliari che egli aveva a Stradella ed a Bonassola. Da allora la sua presenza nel Parlamento subalpino, come deputato ancora di Genova e poi di Tortona e di Levanto, fu costante sino al 1857: una presenza attivissima, come è testimoniato dall'ampio spazio che gli interventi del F. occupano negli Atti parlamentari, con una attenzione ininterrotta ai temi dell'organizzazione dello Stato, della finanza, del commercio.
Esordì alla Camera nel giugno 1848, quando intervenne nel dibattito sulla risposta al discorso della Corona avanzando un'interpretazione dinamica del sistema parlamentare, affermando cioè che occorreva "allargare lo statuto" e che la Camera doveva impegnarsi ad ammodernare e riformare le principali leggi dello Stato, senza di che "il potere legislativo si riduce ad una derisione, ad un nulla". La sua competenza finanziaria fu subito messa a profitto dal Parlamento, che lo chiamò a far parte di una commissione per l'esame dei progetti di imposte straordinarie per sostenere le spese di guerra. Proprio in tema di finanze si verificò, il 24 giugno 1848, il primo scontro del F. con Cavour.
Questi aveva proposto che la Banca di Genova anticipasse 5.000.000 allo Stato, in cambio del corso legale da accordare ai suoi biglietti sino all'estinzione del prestito. Ma il F. si oppose: spiegò, con dotte citazioni da A. Smith e J.-B. Say e con puntuali riferimenti alle vicende inglesi e francesi, quanto fosse pericolosa una simile misura in un paese nel quale il sistema creditizio stava muovendo i primi passi, e ottenne da Cavour il ritiro del progetto. Il dissidio si riaprì nel settembre successivo, quando il governo pretese dalla Banca ben 20.000.000, disponendo al tempo stesso il corso forzoso per i biglietti. Cavour era pienamente favorevole, anche perché ne attendeva un incremento di circolazione monetaria, mentre la reazione degli ambienti finanziari di Genova fu violenta: il F. ne fu il principale portavoce, attaccando sul Corriere mercantile un provvedimento che imponeva la violazione del rapporto fiduciario tra la Banca ed i suoi clienti, e la coinvolgeva in operazioni che oltrepassavano le limitate prospettive seguite fino ad allora dall'Istituto.
Se i banchieri genovesi impararono presto ad apprezzare i vantaggi del corso forzoso, il F. restò più a lungo fermo nelle proprie convinzioni. Nel dicembre 1849 era stato rieletto in Parlamento e, contraddicendo una certa fama di democratico acquistata durante la prima legislatura, si era schierato a fianco del presidente della Camera P. D. Pinelli, uomo assai ligio al governo d'Azeglio. Ciò non impedì al F., il 31 genn. 1850, di contestare il decreto 14 dic. 1849 col quale il ministero aveva sancito la fusione della Banca di Genova con quella di Torino, creando la Banca nazionale. Corso forzoso, monopolio bancario, moltiplicazione del circolante e suo deprezzamento erano i bersagli polemici del F.; ma di fatto la sua interpellanza, specie dove lamentava che si fosse dato vita ad un nuovo organismo bancario senza l'intervento del potere legislativo, si risolveva in un attacco al governo.
Se ne rese ben conto la Concordia, la quale sfruttò l'episodio scrivendo il 7 febbr. 1850 che se i rilievi del F. contro i "soprusi bancari" fossero venuti dall'opposizione, tutti l'avrebbero accusata di paralizzare l'esecutivo; ma tale accusa non poteva rivolgersi ad "un uomo che, ascritto altra volta alle liberali legioni, passò già da un pezzo con armi e bagagli nel campo ministeriale, e della presente maggioranza è non pure soldato, ma capitano". Dal canto suo Cavour, uno dei maggiori promotori della Banca nazionale, scriveva in quei giorni all'amico genovese E. De La Rue: "Farina nous excède avec ses interpellations, mais je crois que nous en viendrons à bout" (Epistolario, VII, p. 36). Aveva ragione il conte, che in questa materia vedeva assai lontano; ma il F. - unitamente ad alcuni esponenti dell'opposizione, come M. Pescatore - ebbe il merito di provocare una più ampia riflessione che condusse, di lì a pochi mesi, all'emanazione della prima legge bancaria negli Stati sardi. Una legge, oltretutto, che recepì istanze espresse più volte dal F. durante il dibattito, quali la cessazione del corso forzoso e, soprattutto, il primato del potere legislativo sull'esecutivo.
La legge bancaria 9 luglio 1850 rappresentò anche un'importante tappa della convergenza di forze che condusse poi al "connubio"; e proprio in quel tomo di tempo iniziò un cauto avvicinamento del F. alle posizioni di Cavour, proseguito negli anni successivi: tanto che nel febbraio 1852 il giornale torinese L'Opinione, tracciando un quadro dei parlamentari genovesi, poteva collocare il F. tra i cavouriani. Nel disegnare i nuovi schieramenti politici aveva avuto grande rilievo anche la discussione sulle leggi Siccardi, alle quali il F., come membro della commissione incaricata di esaminarle, si era mostrato nettamente favorevole. Tuttavia non mancarono nuove occasioni di scontri con Cavour.
Nel gennaio 1851 il F. criticò il trattato commerciale con la Francia, ritenendolo contrario agli interessi degli olivicultori liguri, benché infine accettasse il punto di vista di Cavour, secondo cui occorreva rompere a qualunque costo l'isolamento internazionale del Piemonte; viceversa, quando poco dopo si discussero i trattati commerciali con l'Austria, il F. si espresse a favore, esortando la Camera a lasciar da parte "la politica del sentimento", sempre nociva in materia economica. Un altro urto con Cavour si ebbe sempre nel 1851, quando il conte aveva ormai assunto anche il portafogli delle Finanze: a maggio egli aveva presentato un nuovo progetto di legge sulla Banca nazionale che prevedeva il raddoppio del capitale azionario ed il mantenimento del corso legale ai biglietti, ma nella discussione svoltasi a luglio furono proprio le critiche del F. ad affossare il progetto, inducendo Cavour a ritirarlo.
Schierato in pratica con la Sinistra in queste circostanze, il F. ne aveva invece rintuzzato gli attacchi al governo nel maggio 1850, quando si era discusso l'aumento della tassa sul bollo.
Contro le affermazioni demagogiche degli oppositori egli aveva sostenuto che era inutile "pascere le nostre popolazioni di utopie" e che viceversa occorreva persuaderle "della necessità in cui la lotta nella quale entrammo fatalmente ci ha posti, di dovere cioè aumentare le imposte per far fronte agli impegni nei quali siamo entrati". Era tuttavia contrario ad un nuovo sistema tributario fondato sull'imposta sul reddito, come volevano F. Ferrara e M. Pescatore, ma poco più tardi fu protagonista dell'unico tentativo effettuato in quegli anni per introdurre tale imposta negli Stati sardi. Il 3 febbr. 1851 il ministro C. Nigra presentò due separati progetti d'imposta, sulle professioni liberali e sul commercio e l'industria; ma il F., come presidente di commissione, ritenne di dover unificare i due progetti facendone in pratica un'imposta sulla rendita basata sulle dichiarazioni dei contribuenti, che la Camera approvò. Un anno più tardi Cavour presentò un nuovo progetto per il riordinamento dell'imposta personale e mobiliare, commisurata al reddito, da accertare non più con le dichiarazioni, ma mediante indici oggettivi. Se accolto, avrebbe dotato il paese di uno strumento fiscale moderno ed efficiente; ma l'opposizione fu accanita, ed il F. si segnalò tra gli avversari più decisi, sostenendo l'incostituzionalità di un'imposta che conteneva elementi di progressività. Fortemente modificato ed edulcorato in Senato, il progetto tornò alla Camera nel gennaio 1853, e allora il F. se ne fece con successo paladino contro le critiche della Sinistra.
Questo oscillare tra l'ala destra della maggioranza e l'opposizione di sinistra è tipico di quasi tutta l'attività parlamentare del F. in quegli anni. Nel 1852 egli appoggiò con successo il governo, ed in particolare il ministro P. Paleocapa, circa le convenzioni per la costruzione delle ferrovie Torino-Susa e Torino-Novara. Di strade ferrate, intanto, si stava occupando anche come imprenditore: con C. Parodi ed A. Meli rappresentava una società anonima che il 29 genn. 1853 venne autorizzata a costruire la linea Genova-Voltri, primo tratto della litoranea. Il capoluogo ligure si risvegliava in quegli anni a nuova vita grazie alle iniziative cavouriane, ai progetti ferroviari collegati con quelli per l'ampliamento del porto e per la costruzione di un dock commerciale. Era quindi naturale l'attenzione a questi problemi da parte del F., esponente autorevole degli ambienti mercantili e finanziari liguri, come dimostra anche la sua successiva partecipazione - in qualità di membro del comitato di sorveglianza - al Credito mobiliare degli Stati sardi, banca a prevalente capitale genovese sorta nel 1856.
Nei dibattiti sulle ferrovie lo troviamo spesso presente, sempre fedele al principio che lo Stato non doveva impegnarsi nella costruzione e nell'esercizio diretto, bensì limitarsi ad azioni di sostegno alle società private; e sempre attento agli interessi della sua città, come quando nel 1857 si oppose alla linea Annecy-Ginevra affermando che il porto genovese non poteva battere la concorrenza di Marsiglia in quella direzione, e che doveva invece puntare sui collegamenti con la Germania. Proprio l'esatta valutazione dei bisogni di quel porto lo spinse, nello stesso 1857, a schierarsi a favore del progetto di trasferire l'arsenale militare a La Spezia, mentre buona parte dei suoi concittadini vi si opponeva.
Sostanzialmente favorevole alle scelte portuali e ferroviarie di Cavour, il F. era stato invece critico verso la grande riforma dell'amministrazione centrale e della contabilità di Stato presentata dal conte alla Camera nel maggio 1852 e venuta in discussione nel dicembre di quell'anno. Quale relatore della commissione, il F. in particolare chiese ed ottenne la soppressione delle norme innovatrici sul controllo preventivo - che il governo voleva affidato ad una Corte dei conti - asserendo che tale Corte cumulava "il preventivo e il definitivo, l'amministrativo ed il giudiziario", perciò poteva essere indotta a dissimulare in sede consuntiva gli eventuali errori del procedimento contabile. Ancor più accanita fu l'opposizione del F. in tema di politica estera: il 3 febbr. 1855, apertasi la discussione generale sull'alleanza di Crimea, egli dichiarò che era folle sprecare le risorse militari "in istranieri e lontani paesi" e che le conseguenze sarebbero state deleterie: "La guerra rovina il nostro commercio marittimo; paralizza lo sviluppo industriale del nostro paese; immiserisce il nostro Tesoro; ci espone a perdere l'intiero nostro esercito; espone disarmato il nostro paese a nordiche invasioni". Non cambiò idea neanche in seguito, e ancora nel gennaio 1856 continuava a ritenere sbagliato l'intervento in Crimea, mentre si mostrava preoccupato per la conseguente crescita dell'indebitamento pubblico, che a suo parere sottraeva capitali preziosi all'industria ed al commercio. Un tasto, questo, che il F. avrebbe ripetutamente battuto negli anni successivi in Senato, dove fu nominato il 25 ott. 1857, per iniziativa proprio di Cavour il quale - in vista delle elezioni di quell'anno - desiderava aver disponibile il collegio del F. e probabilmente era ben lieto di allontanare dalla Camera un uomo che troppe volte gli aveva attraversato il cammino.
In Senato l'attività del F. fu altrettanto intensa, anche se con minori asprezze polemiche. A partire dal 1860-61 egli fu certamente fra coloro che più si impegnarono nell'edificazione istituzionale dello Stato unitario, portandovi il bagaglio della sua competenza economica e giuridica. Membro della commissione per l'esame del nuovo codice civile a partire dal luglio 1860, andò poi concentrando i propri interventi su materie quali le ferrovie, la marina, le banche. Fautore nel 1860 della convenzione per la costruzione della ferrovia del litorale ligure, e nel 1861 di quella per la linea da Napoli all'Adriatico, rimase fedele ai principi privatistici opponendosi nel 1863 alla cessione della ferrovia Vittorio Emanuele allo Stato. Relatore nel 1861 dei progetti di legge sulla leva di mare, sulla sanità marittima e sulle tasse di navigazione, si sforzò di conciliare le esigenze mercantili con quelle militari, puntando allo sviluppo complessivo della marineria italiana. Nel 1864, come relatore del progetto per la fondazione della Banca d'Italia, sostenne la necessità di un solo istituto di emissione.
Nel 1861-62, in momenti difficili per le tensioni politiche, aveva anche ricoperto efficacemente la carica di prefetto di Livorno; e poco dopo si era ventilata, ma senza esito, la sua designazione al ministero di Agricoltura, Industria e Commercio.
Al Senato seguitò a combattere le vecchie battaglie contro la voragine del debito statale che ormai, con i soli interessi, divorava gran parte delle entrate e, se non contenuto con "rimedi eroici", avrebbe condotto "ad una certa e fatale rovina". Per un accanito liberista come lui, l'eccessivo indebitamento, ed il corso forzoso che ne era il corollario, erano sintomi di elefantiasi statale e cause di stagnazione, perché impedivano la formazione di capitali nelle mani dei produttori; mentre in sostanza gli sfuggiva il ruolo della spesa pubblica nel processo di sviluppo italiano. Vide con favore, nel 1868, un'esperienza di privatizzazione come la regia cointeressata dei tabacchi, di cui fu nominato commissario governativo. L'incarico lo costrinse a ridurre l'attività in Senato, anche se la sua partecipazione alle sedute rimase notevole. Del 30 dic. 1870 è l'ultima fatica parlamentare: la relazione sul progetto di cessione al Municipio di Genova delle aree portuali liberatesi con il trasferimento dell'arsenale, che egli aveva caldeggiato tanti anni prima.
Morì a Firenze il 25 marzo 1871.
Fonti e Bibl.: Genova, Archivio stor. del Comune, Lista alfabetica dell'anno 1806; Ibid., Istituto Mazziniano, Autografo n. 8460; Atti parlamentari, Camera, Discussioni, I-V legisl., sessioni 1848-1857, ad Indices; Idem, Senato, Discussioni, legisl. VI-XI, sessioni 1857-1871, ad Indices; Calendario generale del Regno d'Italia pel 1862, p. 185; Carteggi di C. Cavour: Carteggio Cavour-Salmour, Bologna 1936, p. 145; La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d'Italia, Bologna 1952, p. 275; C. Cavour, Epistolario, V, Firenze 1980, pp. 314 ss.; VII, ibid. 1982, pp. 36, 39; VIII, ibid. 1983, pp. 177, 403 s.; X, ibid. 1985, pp. 228, 246; Banche, governo e Parlamento negli Stati sardi. Fonti documentarie (1843-1861), a cura di E. Rossi-G.P. Nitti, Torino 1968, ad Indices; A. Codignola, Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri, Torino 1931, p. 687; Id., Rubattino, Bologna 1938, pp. 8, 78; C. De Biase, Il problema delle ferrovie nel Risorgimento italiano, Modena 1940, p. 102; Storia del Parlamento italiano, diretta da N. Rodolico, I-IV, Palermo 1963-66, ad Indices; G. Doria, Investimenti e sviluppo economico a Genova alla vigilia della prima guerra mondiale, I, Le premesse (1815-1882), Milano 1969, pp. 107, 160; R. Romeo, Cavour e il suo tempo (1842-1854), Bari 1977, pp. 353, 355, 442, 445, 488, 493, 496, 505, 513, 515, 541 s., 663, 765 s.; B. Montale, Genova nel Risorgimento, Savona 1979, pp. 94-97, 100-103, 161 s., 169 ss.; G. Giacchero, Genova e Liguria nell'età contemporanea, Genova 1980, pp. 176 s., 186, 240; T. Sarti, IlParlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 443; Diz. del Risorg. naz., III, ad vocem.