FIESCHI, Paolo
Genovese, vissuto tra la seconda metà del sec. XV e i primi anni del XVI, la sua attività pubblica è documentata per un periodo piuttosto limitato (dal 1492 al 1507) e non sembra contrassegnata da una presenza politicamente forte, in quegli anni che videro i continui passaggi del dominio su Genova da Milano alla Francia, dagli Adorno al Fregoso, al dogato popolare di Paolo da Novi.
Il Burckard arriva a ipotizzare che il nome Paolo sia errato e che il F. sia da identificare con Paride Fieschi fu Giacomo, non avendone trovato traccia né nel Federici, il biografo ufficiale dei Fieschi, né in altre fonti genealogiche. L'ipotesi del Burckard è errata, ma l'identificazione del F. è in effetti poco sicura, visto che l'unico personaggio che negli anni in questione può coincidere con il F. è un Pier Paolo figlio di Percivale fu Conte e di Caterina Carmandino fu Lorenzo. Il ramo del F. risulta decisamente secondario rispetto a quello dei conti di Lavagna (in quegli anni arbitro della politica genovese con Gian Luigi il Vecchio e i suoi figli) o anche a quello di Giacomo fu Ettore, con fratelli e figli quasi altrettanto attivamente presenti, se pure in modo meno appariscente. Poco numeroso, poco prolifico, il ramo del F. risulta estinto prima della riforma doriana del 1528. Del resto, anche la madre del F. apparteneva a una famiglia di nobiltà antica, ma decaduta, e il F. non ebbe figli da Pellegra Sopranis fu Antonio, già vedova De Pino; né figli ebbero la sorella del F., Violante, sposata a Giorgio Ravaschiero, né il fratello Tomaso, già morto nel 1481; l'ultimo fratello, Conte, morto nel 1518, ebbe da due matrimoni (il primo con Pellegra Di Negro fu Luca; il secondo con Maria Ghisolfi fu Donato) quattro figlie, di cui due monache, e un maschio, Nicolò, tutti senza prole.
In questo tipico profilo dei rami decaduti delle grandi famiglie, proprio il F. sembra rappresentare l'ultimo tentativo di mantenersi sulla scena pubblica, forse anche con qualche intenzione di riscatto attraverso abbozzi di alleanze nuove e spregiudicate, profittando dei continui rivolgimenti politici di quegli anni; tentativi velleitari, peraltro, fondamentalmente frustrati dal timore di azzardi eccessivi, e, forse, non congeniali. Il F. era comunque di antica nobiltà e probabilmente ricevette un'ottima educazione. Così, il suo primo incarico documentato appare decisamente di prestigio: fu infatti uno dei quattro ambasciatori nominati il 17 ott. 1492 per recare le congratulazioni di rito al nuovo pontefice Alessandro VI.
Al ritorno da Roma, in una Genova in cui si andava diffondendo una gravissima epidemia di peste, il F. entrò nel Consiglio degli anziani, presieduto allora da Agostino Adorno come governatore e luogotenente degli Sforza. L'elenco degli anziani, in cui prevalevano nettamente i cognomi "popolari", conferma la disponibilità del F. a questo tipo di collaborazione politica.
Tra i più importanti atti di governo degli Anziani l'invio del segretario della Repubblica, Benedetto da Porto, a Valladolid presso il re di Spagna. Le istruzioni sottoscritte il 4 febbr. 1494 insistevano sulla necessità di tradurre in pace l'armistizio con il re e di operare un rapido scambio di prigionieri, affinché si potesse procedere nuovamente al ripristino dei privilegi e dei diritti antichi dei Genovesi nei territori della Corona d'Aragona, soprattutto in Sicilia, dove avevano trovato rifugio ribelli corsi e genovesi.
Nello stesso periodo il F. ricevette un nuovo incarico di rappresentanza: il 15 dic. 1493, insieme con Anfreone Spinola, Tomaso Giustiniani e Augusto de Zerbi, fu eletto nella commissione incaricata delle accoglienze alla legazione francese che Carlo VIII inviava a Genova per saggiarne la disponibilità sul piano politico e, sopra tutto, sul piano armatoriale e finanziario in rapporto alla progettata discesa in Italia.
Mentre, nelle sedi di governo, si deliberava la costruzione di una flotta di dodici triremi e quattro navi, sovvenzionata principalmente dai Sauli, la commissione di cui faceva parte il F. doveva occuparsi di problemi più banali, anche se non privi di un indiretto significato politico, quale la designazione delle case atte ad ospitare i delegati francesi.
Nel 1502, dopo otto anni di assenza dalle cariche pubbliche, il F. venne eletto in una commissione d'accoglienza al re di Francia (questa volta Luigi XII). La commissione eletta in specifico Gran Consiglio il 23 giugno, era composta di dodici cittadini quasi tutti di grande autorità. Da questo tipo di incarichi si ricava la sensazione che il F. fosse utilizzato più per il cognome che portava e per la buona formazione culturale che per l'importanza nel ruolo politico personalmente esercitato. Eppure, quando nel 1506-07, la rivolta popolare delle "cappette" costrinse i magnati, e i Fieschi per primi, ad abbandonare la città, la casa del F. venne scelta come luogo d'incontro fra un emissario del Fieschi fuorusciti (in particolare di Girolamo, l'esuberante figlio di Gian Luigi il Vecchio) e Francesco di Camogli, notaio, uno dei capi più intelligenti della parte popolare e uomo di fiducia del Fregoso. Proprio la circostanza che nel gennaio 1507, in un momento di grande tensione interna allo stesso governo popolare (impegnato tra l'altro a preparare l'attacco a Monaco, dopo aver sottratto il Levante ai Fieschi e, a Ponente. Pieve di Teco a Luca Spinola), per un abboccamento così delicato fosse scelta la casa del F. non può che confermare la sua vocazione moderatamente "popolare", nettamente distinta da quella dei "grandi" Fieschi. Quando, ovviamente, non si vogliano ipotizzare velleità di rivalsa o un raffinato doppiogiochismo del F., che peraltro non risulta suggerito da nessun'altra circostanza.
Certo, dopo l'apoteosi e la catastrofe dell'esperienza popolare rapidamente consumatesi nell'aprile dello stesso 1507, il F. non ricevette più alcun incarico: si era conclusa la sua modesta carriera e, forse, anche la vita.
Non si conoscono data e luogo di morte del Fieschi.
Fonti e Bibl.: B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria, a cura di E. Pandiani, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XXIV, 8, ad Indicem; I. Burchardi Liber notarum, a cura di E. Celani, ibid., XXXII, 1, pp. 372, 380; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, p. 11; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova 1833, III, p. 9;E. Pandiani, Un anno di storia genovese (1506-07), in Arch. d. Soc. ligure di storia patria, XXXVII (1905), p. 359.