FILOCAMO, Paolo
Nacque a Messina all'incirca agli inizi dell'ottavo decennio del sec. XVII; completò la sua formazione a Roma, alla scuola del Maratta, insieme con il fratello Antonio, cui è strettamente legato il suo percorso biografico e artistico. È probabile comunque che il soggiorno romano del F. si sia protratto almeno fino al 1707, dal momento che negli annì dal 1705 al 1707 è documentata la sua partecipazione al concorso clementino dell'Accademia di S. Luca. In particolare, nel 1705 vinse il primo premio nella terza classe di pittura con un disegno raffigurante Tre statue, l'anno successivo si aggiudicò il secondo premio nella seconda classe di pittura con una Scena biblica, mentre nel 1707 partecipò al Concorso clementino con due fogli raffiguranti Enea e Anchise e una Scena di battaglia (tutti i disegni citati si conservano ancora oggi nell'Archivio storico dell'Accademia di S. Luca).
Tornato nella città natale con ogni probabilità entro il primo decennio del sec. XVIII, prese parte attivamente all'organizzazione della bottega familiare, divenuta Accademia del disegno e di studio del nudo, collaborando con Antonio alle grandi imprese decorative a fresco e ai numerosi dipinti realizzati a Messina e in altre città siciliane. Fra le prove più impegnative alle quali lavorò anche il F., è opportuno ricordare gli affreschi dell'abside del duomo di Acireale, databili intorno agli anni 1710-1711; quelli della chiesa messinese di S. Gregorio, datati 1723, andati distrutti già nel terremoto del 1783; la decorazione a fresco del presbiterio della chiesa di S. Caterina a Palermo (che reca la dicitura "Antonius et Paulus Filocamo Messanenses p. anno 1728"), e ancora a Messina gli affreschi perduti della chiesa di S. Caterina di Valverde, datati 1729. Nel 1736 eseguì a Messina gli affreschi della chiesa di Gesù e Maria in S. Leo, perduti nel terremoto del 1908, "ove nel mezzo della volta vi è rappresentata la Trasfigurazione e vi si legge il solo nome di Paolo: Paulus Filocamo 1736" (Grosso Cacopardo, 1821, p. 212); pochi anni dopo, nel 1740, dipinse una mediocre pala d'altare con La Sacra Famiglia per la chiesa madre della Ss. Annunziata di Forza d'Agrò (Messina).
Delle altre opere eseguite autonomamente dal F. e menzionate dalle fonti, oggi non più esistenti, vanno citate la tela con Le pie donne ai piedi della Croce nella chiesa delle Biancuzze e due grandi quadri con La resurrezione di Lazzaro e La vedova di Naim ai lati dell'altare maggiore della chiesa di S. Filippo Neri. Si ha notizia, inoltre, di un restauro da lui eseguito, in epoca imprecisata, su un dipinto raffigurante S. Nicolò del pittore seicentista messinese D. Maroli nella chiesa madre di S. Stefano di Briga (Messina e dintorni, 1902, p. 392).
Di notevole interesse risulta essere anche la sua apprezzata attività di incisore, tanto da rappresentare, insieme con le affascinanti prove giovanili di Filippo Iuvarra, le punte più alte della produzione incisoria messinese del Settecento.
Si vedano in particolare il frontespizio e i sette rami incisi nel 1716 - solo alcuni siglati da Antonio, tutti gli altri firmati dal F. - per IlNatale di Cristo, poemetto drammatico di Antonino Ruffo, fondatore dell'Accademia degli Incogniti, stampato a Messina nel 1717. A ragione è stato posto l'accento sugli aspetti teatrali e, tutto sommato, profani delle scene illustrate con soggetti biblici e devozionali - caratterizzate da una spazialità chiara e misurata, dalla finezza del disegno e dai sottili contrasti luministici quasi di natura pittorica - in cui per l'appunto i temi sacri diventano pretesto per la rappresentazione di un mondo bucolico vagheggiato nella dimensione mitica dei classici, in linea con i programmi d'Arcadia, che per certi versi era il riflesso dei fermenti culturali che in quei decenni si agitavano nelle accademie messinesi e nei circoli intellettuali più aristocratici ed esclusivi.
Spettano al F. le tredici grandi tavole, più volte ripiegate, che accompagnano il testo di Vincenzo Migliaccio, Vera e distinta relazione dei progressi dell'armi spagnuole in Messina, e suo distretto fatti sotto la direzione dell'eccellentissimo Signor D. Giovan Francesco De Bette, edito nel 1718 a Messina per i tipi della stamperia D'Amico. Si tratta per lo più di piante strategiche, vedute di assedi e di accampamenti, di flotte navali e di eserciti schierati, ambientati nei vari luoghi in cui si svolsero gli episodi militari narrati, che solo un testimone diretto degli avvenimenti e insieme un attento conoscitore della città avrebbe potuto rendere in maniera così analitica e minuziosa. Non per questo il F. rinunciò a una realizzazione per così dire scenografica, che, pur entro la rigida fedeltà ai luoghi e agli eventi, si può rilevare nella scelta dei tagli prospettici, nelle vedute di scorcio della città sempre dominata dal campanile del duomo, nella disposizione degli ingombranti cartigli ed in altri studiatissimi particolari.
La firma del F. ricorre poi nelle illustrazioni del libro di Carlo Vitale, La Fenice risorta, o sta la pompa funerale per la morte dell'augustissima imperatrice Eleonora Maddalena Teresa di Neoburgo..., stampato a Messina nel 1721: due grandi tavole che illustrano gli apparati ideati da Raffaello Margarita, cioè un dettaglio delle decorazioni effimere allestite lungo le navate del duomo e il maestoso catafalco in cui si dispiega tutta l'imagerie della morte barocca con il consueto repertorio di fiaccole, scheletri e drappi svolazzanti. A distanza di oltre un decennio, compare un'altra raffinata incisione del F. - l'ultima a noi nota - raffigurante La maestà in soglio (Messina che rende omaggio al re Carlo III di Borbone) con l'iscrizione in basso a sinistra "Paulus Filocamus Mess. inv. e sc. 1735", nell'antiporta delle Tre memorie rimarchevoli alla storia di Messina, stampate nello stesso anno.
Il F. morì a Messina nel 1743, vittima della peste.
Poco o quasi nulla si sa sulla vita e sulle opere del fratello Gaetano, nato a Messina presumibilmente nella seconda metà inoltrata del sec. XVII. Dal racconto delle fonti non risulta, come per il F. e per il fratello maggiore Antonio, un suo apprendistato romano alla scuola del Maratta. Ricordato da Hackert e Grano (1792) - "ammettevano negli ornati Gaetano loro terzo fratello, che in ciò era valente" - e da Grosso Cacopardo (1821, p. 211) come "buon quadraturista ed omatista eccellente", si può solo supporre che ebbe un ruolo di secondo piano, sia pure non marginale, nelle imprese decorative a fresco realizzate dai fratelli. Di recente M. Guttilla (in Sarullo, 1993) ha avanzato una cauta attribuzione a Gaetano di parte degli affreschi, oggi distrutti, che decoravano la volta "con bella architettura" e le pareti della tribuna della chiesa messinese di S. Anna delle Monache "ove figurarono attaccati degli arazzi, nei quali si fingono intessuti varj fatti del vecchio testamento" (Grosso, Cacopardo, 1821, p. 213). Gaetano morì, come i fratelli, a Messina durante la pestilenza del 1743.
Fonti e Bibl.: F. Hackert-G. Grano, Memorie dei pittori messinesi (1792), a cura di S. Bottari, Messina 1932, p. 36; G. Grosso Cacopardo, Memoriede' pittori messinesi e degli esteri che in Messina fiorirono dal sec. XII sino al sec. XIX, Messina 1821, pp. 211-214; C. T. Dalbono, Storia della pittura in Napoli ed in Sicilia dalla fine del 1600a noi, Napoli 1859, pp. 206-208; Messina e dintorni. Guida a cura del Municipio, Messina 1902, pp. 287, 291, 311, 3 14 s., 328, 392; A. Salinas - G. M. Columba, Terremoto di Messina (28 dic. 1908). Opere d'arte recuperate, Palermo 1915, p. 34; M. G. Mazzola, Profilo della decorazione barocca nelle volte delle chiese palermitane, in Storia dell'arte, X (1979), 36-37, pp. 215, 240; C. Siracusano, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma 1986, pp. 214-218 (con bibl. precedente); G. Barbera, Il libro illustrato a Messina dal Quattrocento all'Ottocento, in Cinque secoli di stampa a Messina, a cura di G. Molonia, Messina 1987, pp. 452-459; C. Siracusano, in La pittura in Italia. Il Settecento, II,Milano 1990, p. 717; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI,p. 570; Diz. Encicl. Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani, IV,Torino 1973, pp. 461 s.; M. Guttilla, in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani. Pittura, Palermo 1993, pp. 205 s.