FORTINI, Paolo
Figlio di ser Lando e di una Niccolosa, di cui ignoriamo il casato, nacque a Firenze intorno al 1370.
Del tutto inattendibile è la data del 1381, fornita dal Marzi sulla base di una nota segnata sui registri delle Tratte, secondo la quale il F. nel 1429 aveva 48 anni. Infatti sappiamo che Lando, nel 1381, era morto già da un lustro e infine che nel 1433, nella sua denuncia fiscale, il F. dichiarò di avere 62 anni.
Il padre, Lando di Fortino degli Orlandini di Cischio (il nome assunto in seguito dalla famiglia è comunque Fortini), era originario di Cicogna, nell'Aretino. Stabilitosi a Firenze, vi esercitò la professione di notaio tra il 1344 e il 1375. Morì nel luglio del 1376.
I Fortini appartenevano al novero di quelle famiglie che, pur non avendo fatto parte del ceto politico fiorentino anteriormente al 1382, vi acquistarono in seguito un peso notevole, esercitando nella vita cittadina un ruolo non secondario. Risiedevano nel gonfalone Chiavi - lo stesso degli Albizzi -, quartiere di San Giovanni, e furono amici di Rinaldo Albizzi e dei suoi figli. Il F. abitò nel popolo di San Pier Maggiore, in via Pietrapiana.
Formatosi per esercitare la professione notarile, il F. ricoprì nel 1394 l'incarico "ad mittendum castellanos in tenutam" per sei mesi, dall'11 aprile al 10 ottobre. Nel 1398 fu per oltre un mese vicecancelliere dei Dieci di balia; venne poi nominato notaio della Condotta, ufficio che resse dal 1° dicembre di quel medesimo anno sino al 31 maggio 1399. All'inizio del 1402 fu inviato, insieme con il fratello Benedetto, a Padova come ambasciatore presso l'imperatore Roberto di Baviera: in quella occasione, insieme con il fratello, fu creato cavaliere palatino dal sovrano. Rientrato in patria, dal 10 giugno al 30 settembre fu notaio dello Specchio e il 15 dicembre fu tratto dei Dodici buonuomini. Nel 1403 ricevette dai Dieci di balia l'incarico di recarsi in Italia settentrionale e in Germania per una nuova legazione presso Roberto di Baviera. Fu quindi notaio della Diminuzione del Monte per l'intero primo semestre dei 1404. Nel settembre del 1405 era cancelliere dei Dieci. Tra il maggio e il dicembre del 146 con ogni probabilità fu, come coadiutore, al fianco del fratello Benedetto, succeduto a Coluccio Salutati nell'ufficio di primo cancelliere della Repubblica, e sostituì più volte lo stesso Benedetto come notaio dell'Uscita della Camera. Anche dopo la morte del fratello, avvenuta sullo scorcio di quel medesimo anno, il F. fu chiamato più volte ad assolvere al ruolo di notaio dell'Uscita della Camera, finché quest'ufficio non gli venne affidato a vita con delibera dei Consigli del 19-20 dic. 1407.
Negli anni 1406 e 1407 svolse anche le funzioni di cancelliere dei Dieci e, dall'8 sett. 1407 al 7 genn. 1408, fu gonfaloniere di Compagnia. Con ogni probabilità era cancelliere dei Dieci nel 1408; lo fu con certezza nel 1409 e nel 1410. Nel 1409, inoltre, fu eletto dei Priori per il bimestre maggio-giugno. Il 7 apr. 1411 venne nominato primo cancelliere della Repubblica, con uno stipendio di 100 fiorini l'anno. Nel prestigioso incarico, cui egli deve la sua fama, il F. succedeva a Piero di ser Mino da Montevarchi, il quale vi aveva rinunziato nel dicembre del 1410 per entrare in convento, e a Leonardo Bruni, che aveva rassegnato le proprie dimissioni lo stesso 7 apr. 1411. Il F. assunse immediatamente il suo nuovo ufficio: lo avrebbe tenuto ininterrottamente per oltre 16 anni, sino alla fine del 1427. Per esso e per i numerosi impegni che comportava, rinunziò volontariamente a ricoprire altri uffici pubblici, cui pure venne designato in quel lungo periodo di tempo.
Coincide, secondo il Brucker (The civic world, p. 290), con la assunzione del F. al primo cancellierato l'inizio di un nuovo stile nel dibattito politico che si compiva nella cosiddetta "pratica", la commissione più o meno ristretta di cittadini incaricata di discutere i problemi politici prima di riferirne ai Signori. Infatti, per tutto il periodo in cui era stato cancelliere il Salutati (morto nel 1406), la "pratica" era stata vista come il luogo in cui una serie di rappresentanti esprimevano il punto di vista di altrettanti soggetti collettivi (la famiglia, la corporazione, il gonfalone). Negli anni immediatamente successivi essa diventò invece soprattutto luogo di acceso dibattito politico, fortemente personalizzato, in cui si confrontavano i punti di vista dei leaders dell'élite. Di questo cambiamento le minute delle consulte e pratiche redatte dal F. conservano testimonianza.
Nel 1414 il F. fu di nuovo cancelliere dei Dieci. Nell'aprile del 1417 fu nominato proconsolo dell'arte dei giudici e notai. Il 29 ott. 1418 scrisse al papa per raccomandare il protonotaro apostolico Andrea di ser Viviano Franchi. Nel 1421 fu a lungo in corrispondenza con Michele Castellani e con Rinaldo Albizzi, oratori fiorentini; con il solo Rinaldo nel 1424. Nel 1424 fu nominato di nuovo proconsolo dell'arte dei giudici e notai. Nel 1425 si fece promotore di una riforma, in forza della quale l'ufficio delle Tratte venne riunito alla Cancelleria a partire dall'aprile dell'anno successivo. Dal 27 nov. 1426 fu inoltre cancelliere dei Dieci di balia per tutta la durata del loro ufficio, come dimostra la copia di un atto da lui redatto, stesa dal suo coadiutore e giunta sino a noi (Notarile antecosimiano, 21350, n. 26).
Di tutto rilievo fu pure il ruolo svolto in quegli anni dal F. anche nel campo economico. Fonti aggiuntive di guadagno, come quelle derivantegli da forti investimenti commerciali, gli consentirono infatti di raggiungere una notevole ricchezza. Questa conclusione si trae da due significativi dati di fatto: nel 1403 il F. era, insieme con i fratelli, al settantacinquesimo posto (su 2.499 prestanze) nel suo quartiere per coefficiente d'imposta (f. 12, s. 10), e nel 1427 si trovava invece, insieme con il fratello Andrea e con il nipote Bartolomeo di Benedetto Fortini, al nono posto fra i contribuenti del suo quartiere e al trentesimo a livello cittadino, con un imponibile di 19.874 fiorini netti.
A differenza di quanti lo avevano preceduto e di quanti gli succedettero nell'ufficio di primo cancelliere della Repubblica e seguendo un modo di procedere sin'allora ignoto a personalità della sua posizione, il F. utilizzò la carica pubblica da lui ricoperta per diventare un'importante figura di quel ristretto gruppo che costituiva allora il ceto dirigente fiorentino. Secondo i suoi detrattori, inoltre, egli si sarebbe servito anche illegittimamente della sua influenza per appoggiare la fazione albizzesca nel corso della lotta politica che la oppose a quella medicea negli anni prima del 1433. Certamente già all'inizio del terzo decennio del secolo il F. si trovò, come esponente autorevole della parte albizzesca, a contrastare - spesso insieme con Niccolò da Uzzano - le opinioni dei Medici in questioni di politica estera e finanziaria. Ciò gli valse l'avversione dei Medici e, in ultima analisi, anche la perdita dell'incarico di primo cancelliere, dal quale venne esonerato di autorità nel novembre del 1427.
Quasi sei anni più tardi un nemico personale del F., ser Niccolò Tinucci - il quale a più riprese gli era stato preferito in occasione della scelta del notaio dei Dieci di balia e che a sua volta era stato fortemente contrastato dal F. -, quando nel settembre del 1433 fu "esaminato" dagli Otto di guardia perché filomediceo, rivelò che proprio ai Medici risaliva direttamente la responsabilità dell'allontanamento del F. dall'incarico di primo cancelliere, avvenuto nel 1427. Ciò che risulta con certezza dalle fonti note è che Luigi Vecchietti - altro esponente filomediceo e nemico personale del F. -, non appena fu eletto al priorato nel novembre del 1427 e fu proposto dei Signori, chiese che il F. fosse "casso", che venisse cioè rimosso dall'incarico di primo cancelliere.
Non abbiamo, invece, prove certe di un coinvolgimento diretto di Cosimo, di Averardo e di Giuliano de' Medici nella manovra che portò al licenziamento del F., sebbene non siano da sottovalutare, a questo proposito, le informazioni su altri aspetti particolari della vicenda, che vengono fornite dal Tinucci (cfr. Cavalcanti, ed. 1838) e che risultano altrimenti confermate. È da ammettere tuttavia che i nemici del F. agirono in accordo con gli obiettivi politici che i Medici e la loro fazione si prefiggevano.
Il licenziamento del F., sorta di prodromo della caduta del regime albizzesco, che avvenne di lì a poco, fu causa di forti tensioni interne, come riferisce in una sua lettera del 17 nov. 1427 di quel medesimo anno l'ambasciatore senese a Firenze. A ogni modo fu concesso al F. di rimanere al suo posto sino a quando non fosse entrato in carica il suo successore, che fu Leonardo Bruni, la cui elezione, avvenuta il 27 novembre, fu ratificata il 9 dicembre successivo.
Anche dopo il suo esonero dall'incarico di primo cancelliere, infatti, il F. continuò ad avere una posizione di primo piano nella vita politica fiorentina. Tratto notaio dei Priori nel marzo del 1428, rifiutò la nomina per poter far parte degli Otto di guardia e balia nei sei mesi successivi. Sempre nel 1428 fu inviato come ambasciatore a Venezia. Nel 1429 partecipò ad alcune "pratiche", nelle quali furono discussi problemi di politica interna e importanti questioni di politica estera, come la guerra per Lucca e le relazioni con il duca di Milano. Sempre in quell'anno fu inoltre priore per il bimestre novembre-dicembre. Siamo informati che nel novembre svolse anche le funzioni di cancelliere dei Dieci, come risulta dalla corrispondenza di Rinaldo Albizzi. Esponente tra i più autorevoli della fazione degli Albizzi, anche negli anni successivi ebbe una parte di primo piano nella lotta contro le posizioni espresse dai filomedicei in politica estera e finanziaria. Dei Gonfalonieri di compagnia nel maggio del 1431, fu dei Dieci di balia dal 15 giugno 1432 al 14 giugno 1433, insieme con personalità come Palla Strozzi e Cosimo de' Medici. Continuava, contemporaneamente, a ricoprire anche uffici all'interno dell'arte dei giudici e notai fino al settembre del 1433.
Il F. morì quasi certamente subito prima del colpo di Stato, in seguito al quale Cosimo de' Medici fu inviato in esilio: il 4 sett. 1433, con ogni probabilità. Di tale importanza era stato il ruolo da lui svolto nella lotta contro i Medici, che dopo la presa di potere di questi ultimi tutti i suoi familiari furono duramente colpiti dai vincitori: i suoi figli e i suoi nipoti, già privati dei diritti politici nel 1434, lo furono ancora nel 1444.
Dei numerosi fratelli del F., oltre a Benedetto, si ricordano qui: Piero, Giovanni e Andrea, che furono più volte ambasciatori della Repubblica fra il 1387 e il 1394, e nel 1411; Francesco, che fu attivo tra la fine del sec. XIV e gli inizi del sec. XV come notaio e che, in tale veste, partecipò a diverse legazioni e prestò servizio alle Riformagioni e presso la Signoria.
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