FOSCARI, Paolo
Nacque nella prima metà del sec. XIV da Giovanni, eminente patrizio veneziano. Le notizie sulla sua giovinezza sono assai scarse: sappiamo soltanto che abbracciò la vita ecclesiastica e che conseguì a Padova il dottorato in diritto civile e canonico. In alcuni documenti gli viene infatti attribuito il titolo di doctor utriusque iuris e il suo nome compare nella matricola del Collegio dei dottori giuristi dell'università di Padova dove, per qualche tempo, potrebbe anche essere stato professore.
Il 19 ag. 1365 il Senato veneziano deliberò di intervenire ufficialmente a favore del F., inviando lettere nelle sedi opportune, affinché gli fosse assegnata la sede di Patrasso. Il 24 apr. 1366 venne nominato vescovo di Corone, città greca sul golfo della Messenia. Anche in questo caso si era avuto un intervento ufficiale del Senato (10 apr. 1366) per raccomandarlo al papa, ad alcuni cardinali e ad altre personalità influenti. Dopo circa un anno di permanenza a Corone il F. venne nominato vescovo di Castello, a Venezia (5 apr. 1367). Tornò quindi in patria, prendendo ufficialmente possesso della sua nuova sede il 7 maggio 1367. Il 25 luglio dello stesso anno, nell'esercizio delle sue prerogative episcopali presiedette in Venezia ai riti di dedicazione della chiesa di S. Cassiano.
Fin dagli anni del suo governo pastorale il F. avviò, in campo di disciplina ecclesiastica, una linea politica che mirava a limitare i privilegi di cui godeva il clero della basilica di S. Marco e che suscitò dissensi e irriducibili opposizioni.
Una prima occasione di scontro trasse origine dalla vertenza per la riscossione della cosiddetta decima dei morti, l'imposta patrimoniale che doveva essere versata alla Chiesa locale dai familiari dei defunti. Apertasi già all'indomani della peste del 1348, tale vertenza venne affrontata di nuovo dal F., che la risolse secondo i modi che gli sembravano indicati dalle consuetudini e dal diritto canonico. Dispose infatti che, alla morte di ogni cittadino veneziano, si dovesse fare un esatto inventario di tutto il patrimonio del defunto e che sulla base di tale inventario si dovesse calcolare e imporre la decima. Ciò provocò vivaci reazioni e nella contesa finirono con l'essere coinvolte anche le pubbliche autorità, che assunsero un atteggiamento di netta opposizione. Il 29 ag. 1368 il Senato vietò il pagamento - in denaro o in effetti - di qualsiasi decima, a meno che esso fosse stato autorizzato per testamento e con il consenso del Senato. Il F., rifiutando di sottomettersi a tale decisione, si appellò al papa Urbano V, allora a Roma con la sua corte e, infine, la notte del 3 settembre di quello stesso anno, abbandonò Venezia per cercare presso la Sede apostolica protezione per sé e sostegno per i diritti della Chiesa di Castello. Fu un clamoroso gesto dimostrativo, che segnò ufficialmente la rottura definitiva tra il presule e le autorità veneziane e portò a un aggravamento dei già tesi rapporti tra la Chiesa di Roma e la Serenissima.
La controversia, risolta solo nel 1377, si protrasse a causa dell'intransigenza delle parti e conobbe momenti di acuta tensione, come avvenne, ad esempio, quando vi furono coinvolti il doge Andrea Contarini - citato a comparire dinanzi al tribunale ecclesiastico -, il cardinale A. de Grimoard - incaricato dal papa, l'11 giugno 1370, di convocare le parti a Bologna per dirimere la vertenza -, e lo stesso padre del F., Giovanni, cui il Senato veneziano intimò, l'8 apr. 1372, di ridurre alla ragione il figlio entro il termine ultimativo di tre mesi, sotto pena del bando perpetuo per lui e per i suoi figli e della confisca di tutti i suoi beni. L'avvento sul soglio di Pietro del card. Pietro Roger, eletto papa in Avignone il 30 dic. 1370 e ivi consacrato, col nome di Gregorio XI, il 5 gennaio dell'anno seguente, non modificò - almeno agli inizi - la situazione.
Infatti il 21 luglio 1371 il nuovo papa scriveva al doge perorando la causa del F. e rammaricandosi del fatto che la lite non fosse stata ancora composta. E se il 21 maggio 1372 invitava solennemente il clero veneziano a inviare presso la Curia romana un procuratore per trattare e definire i termini di un accordo, l'8 luglio successivo, nel rinnovare l'invito, rivolgendosi questa volta al doge, richiedeva contestualmente la revoca dei provvedimenti decisi nella primavera dal Senato veneziano contro il F. e contro il padre di questo. Ancora tre anni dopo, nel dicembre del 1375, il pontefice tornava sul problema, chiedendo al doge di far corrispondere al F. il denaro che gli era stato confiscato e che si trovava depositato presso i procuratori di S. Marco.
Il 26 nov. 1375 il F. - che già da due anni si era dimostrato disponibile ad accettare il trasferimento alla sede di Padova, di cui si stava profilando la vacanza - fu nominato dal papa arcivescovo di Patrasso e prese immediatamente possesso della sua nuova sede, dove svolse un ruolo di primo piano nelle tormentate vicende dell'Oriente latino.
Creato bailo del Principato di Acaia dalla regina Giovanna I di Napoli nel 1376 o nel 1377, dopo l'apertura del grande scisma d'Occidente (settembre 1378) si mantenne fedele al papa legittimo Urbano VI, onde il 26 sett. 1384 venne dichiarato deposto dall'antipapa Clemente VII. Il provvedimento non ebbe tuttavia alcun riflesso pratico sull'attività pastorale e politica del F. e rimase lettera morta. Sempre nel 1384 fu, come legato di Urbano VI, per la composizione dello scisma delle Chiese a Tessalonica, allora assediata dai Turchi. Quando Urbano VI, in seguito alla morte del re di Napoli Carlo III (24 febbr. 1386), da lui scomunicato e deposto in quanto sostenitore dell'antipapa Clemente VII, ritenne di potere legittimamente confiscare il Principato di Acaia, nominò il F., il 6 sett. 1387, vicario generale e governatore per conto della Chiesa romana e lo autorizzò a prendere al suo servizio la Compagnia navarrese, un'unità di mercenari che da alcuni anni operava in quel settore.
Negli anni in cui resse l'arcidiocesi di Patrasso il F. si riavvicinò a Venezia, assecondandone la politica e ottenendo in cambio significative contropartite, testimoniate da alcuni atti del Senato. L'8 febbr. 1380 il F., "civis noster fidelissimus", ottenne di potere assoldare in patria truppe da condurre a Patrasso. Il 14 nov. 1381 ottenne da Venezia una galera per la difesa di Patrasso; l'anno successivo, il 31 marzo, fu autorizzato a condurvi un certo numero di armati. Nel 1384 a suo fratello Nicolò fu consentito di inviargli venti uomini con una galera veneziana e, nel corso dello stesso anno, il F. ricevette il permesso di raggiungere Venezia con una certa quantità di mercanzie. Il 13 maggio 1386 un suo nunzio poté esportare prodotti da Venezia. Il 18 febbr. 1389, inoltre, il provisor veneziano Perazzo Malipietro ricevette l'ordine di recarsi dall'arcivescovo F., che si riteneva favorevole alla progettata annessione di Argo e Nauplia. Con una deliberazione segreta del 27 febbr. 1393, infine, il Senato veneziano, che evidentemente riteneva di potere ancora contare sul lealismo del presule, dispose di sconsigliare al F. di stringere alleanza con Neri Acciaiuoli e con Teodoro Paleologo per un'azione contro la Compagnia navarrese. È, questa, l'ultima notizia in nostro possesso nella quale il F. venga ricordato ancora attivo.
Il F. morì presumibilmente tra la primavera del 1393 e il 7 apr. 1394, data in cui la sede arcivescovile di Patrasso risulta essere di nuovo vacante.
Numerosi scrittori di cose veneziane, anche contemporanei, hanno affermato - ma a torto - che il F. morì nel 1376 o nel 1377, e che la sua scomparsa abbia rimosso ogni ostacolo alla chiusura della controversia sulle "decime dei morti".
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