GAMBA, Paolo
Pittore attivo soprattutto in area abruzzese-molisana, nacque a Ripabottoni, nella diocesi di Larino (nel Molise) il 30 ott. 1712 dal pittore Giovan Battista e da Caterina di Vico. Le fonti documentarie, registrate da Corrado Carano nella monografia del 1984, sono estremamente scarse; molte, al contrario, le opere firmate e datate grazie alle quali è possibile ricostruire la sua attività pittorica.
Il padre, un modesto decoratore tardo-manierista attivo a Sulmona e Pescocostanzo, gli insegnò le prime nozioni dell'arte dell'affresco. Il 23 nov. 1732 il G. si sposò con Domenica Ciarla, da cui ebbe il figlio Placido. Subito dopo si sarebbe trasferito a Napoli presso la scuola di Francesco Solimena. Questo soggiorno, finora non documentato, è stato ipotizzato per primo da Di Palma e poi costantemente ripetuto dai biografi del G. per giustificare la sua adesione alle forme scenografiche e luministiche del barocco partenopeo. È vero comunque che nel primo Settecento il nuovo linguaggio era ampiamente diffuso in tutte le province meridionali, senza contare che la stessa parrocchiale di Ripabottoni conserva una tela del Solimena (Mortari, p. 164).
L'esordio del G. risale al 1740 quando firmò una serie di affreschi, distrutti, nella chiesa e nella sagrestia del convento dei cappuccini di S. Elia a Pianisi. Nel 1747 tornò nello stesso convento per dipingere nel refettorio due lunette con l'Ultima Cena e l'Annunciazione. Iniziò così un intenso ventennio che vide il G. affrontare e risolvere velocemente una lunga serie di richieste decorative, nella quasi totalità di soggetto sacro e specificatamente mariano, per una committenza in gran parte, anche se non solo, ecclesiastica, comunque attivamente impegnata nel rifacimento di architetture e nell'ornamento delle chiese locali, all'interno di quel vivace rinnovamento culturale promosso dai vescovi di Larino, Giovanni Andrea Tria (1726-41) e l'omonimo nipote (1742-47): dall'ariosa cupola di S. Francesco a Larino, con gli affreschi dell'Immacolata Concezione e degli Evangelisti (firmati e datati 1747), alla vasta decorazione su tela nella parrocchiale di Montorio nei Frentani (intorno agli anni Quaranta); dalla Madonna del Purgatorio in S. Giovanni Battista a Colletorto (firmata e datata 1751) alla Vergine col Bambino e santi in S. Maria Maggiore a Casacalenda (firmata e datata 1752). In questo stesso arco di tempo si devono probabilmente collocare le opere lasciate a Ripabottoni, nella chiesa dell'Immacolata e nella parrocchiale di S. Maria Assunta. Quest'ultima, riedificata tra il 1731 e il 1744 su disegno di Ferdinando Sanfelice, accolse una variegata decorazione ad affresco e su tela: undici personificazioni delle Virtù nei pennacchi della navata centrale, ventiquattro busti di Profeti e Santi nei pilastri della stessa (Basile), più quattro tele negli altari laterali, tra cui la riuscita Madonna del Purgatorio - eseguita, come recita l'iscrizione, per Giovan Leonardo Jaricci nel 1750 - e il S. Rocco (firmato e datato 1755). Queste due date permettono di circoscrivere il grosso dei lavori alla metà del secolo, anche se poi il G. avrebbe dovuto dilazionare gli interventi per un periodo molto più lungo a causa dei ritardi nei pagamenti.
Si tratta di un nutrito gruppo di opere - cui è possibile aggiungere per affinità stilistica quelle in S. Alfonso de Liguori a Colletorto e in S. Nazaro a Morrone del Sannio - contrassegnato, pur nell'oscillare evidente del livello qualitativo, dalla vivace assimilazione dei modi della scuola napoletana, e comunque omogeneo per repertori figurativi e lingua pittorica: la pennellata è larga e veloce, la tavolozza chiara e luminosa, non sempre sorretta dal disegno che risulta spesso difettoso nella resa anatomica, efficaci i tentativi scenografici e prospettici, anche se nell'insieme dipendenti dalle invenzioni del Solimena e di Luca Giordano. La feconda produzione di questi anni, nonostante la concorrenza di discreti mestieranti locali (G.M. Felice, N. Fenico, P. Pelle, B. Brunetti, F. Palumbo), lo stile standardizzato e ripetitivo, come pure l'iterazione costante di identici soggetti, attestano la sua altalenante ma progressiva affermazione pubblica, attraverso la conquista di una precisa funzione all'interno delle comunità regionali.
Dopo l'Offerta di Melchisedech in S. Maria Assunta a Fossalto (firmata e datata 1758) e il Serpente di bronzo in S. Croce ad Agnone (firmato e datato 1761), il diradarsi degli impegni locali spinse il G. a peregrinare al di fuori del Molise in cerca di lavori più redditizi, come attestano alcune sue opere riconoscibili nel basso Abruzzo (a Penne e a Barrea) e nella Capitanata (a Rodi Garganico e a Cagnano Varano).
Nel 1771 il G. tornò ad Agnone per realizzare nella chiesa di S. Francesco la sua ultima grande impresa decorativa, che si distingue per un deciso recupero di tipologie lanfranchiane. Gli affreschi, inseriti in una cornice delicatamente rococò, coprono tutto lo spazio della chiesa: nella volta la Caduta degli angeli ribelli (copiata in parte dalla tela di analogo soggetto che il Solimena aveva dipinto per la parrocchiale di Ripabottoni), nei pennacchi e nelle pareti del transetto la consueta serie di Virtù, Profeti ed Evangelisti, con figure maestose e statuarie dai panneggi rigidamente sfaccettati, e nel coro due originali composizioni rappresentanti Achimelech che dona il pane sacro a Davide e la Morte di s. Francesco, in parte lacunosa. Nel 1774 il G. si spostò a Fossalto per affrescare il presbiterio di S. Maria Assunta con gli episodi: il Sacrificio di Isacco, il Trasporto dell'arca santa, Caino e Abele. Nello stesso anno lasciò una Immacolata Concezione circondata dai Quattro Evangelisti nell'abside di S. Martino a Campodipietra. Nel 1779 fu a Matrice dove realizzò due tele nella chiesa di S. Antonio, rispettivamente la Madonna del Carmelo e la Nascita della Vergine.
Il G. morì a Ripabottoni il 26 dic. 1782.
Restano fuori da questo percorso, perché finora non confermate dai documenti né dalle opere, le due curiose notizie che vogliono il G. "giovane dilettante di architettura" (Tria) e ingegnoso costruttore di orologi (Di Palma; Buonoconto).
Fonti e Bibl.: G.A. Tria, Memorie storiche civili ed ecclesiastiche della città e diocesi di Larino, Roma 1744, p. 56; F. Di Palma, Un artista dimenticato P. G., in Arte e storia, XXV (1906), pp. 89 s.; A. Buonoconto, Un pittore molisano P. G.…, Larino 1915; G.B. Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, II, Napoli 1915, pp. 117, 172; A. Tirabasso, Breve dizionario biografico del Molise, Oratino 1932, pp. 103 s.; G.B. Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, IV, Cava dei Tirreni 1952, pp. 150, 206, 303, 355, 360; C. Carano, P. G., in Almanacco del Molise, 1974, pp. 180-199; Id., Affreschi di P. G. nella chiesa di S. Francesco di Agnone, in Arch. stor. molisano, I (1977), pp. 67-103; L. Mortari, Molise. Appunti per una storia dell'arte, Roma 1984, pp. 164 s.; C. Carano, P. G. pittore molisano del XVIII secolo, Campobasso 1984; G. Basile, Interventi di conservazione e di restauro sui beni artistico-storici, in Conoscenze, III (1986), pp. 179 s.; E. Pokorny, Molise: Entdeckungsreise durch das ländliche Italien zwischen Adria und Apennin, Köln 1994, pp. 29, 63, 69, 74, 76, 87, 158, 261; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 137; Diz. encicl. Bolaffi, V, p. 248.