GIACOMETTI, Paolo
Nacque il 19 marzo 1816 a Novi Ligure, quintogenito di Francesco Maria, senatore reggente il Reale Consiglio di quella provincia, e di Nicoletta Costa. Nel 1817, deceduto il padre di tifo, il G., con la madre, il fratello e le tre sorelle, si trasferì in una villa di famiglia a Sturla, vicino Genova, città in cui, compiuti gli studi umanistici nel Real Collegio (1825-33), si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Al terzo anno di corso, però, fu costretto a rinunziare alla laurea per un dissesto finanziario della famiglia, a seguito del quale si impiegò come copista presso un avvocato.
Il G. manifestò ben presto una promettente vena drammaturgica con i due drammi Danvelt (1833) e Riccardo di Monforte (1835), ma il suo vero esordio teatrale si ebbe con la tragedia in versi Rosilde (1836). I successivi consensi ottenuti da Luisa Strozzi (1836), Paolo De Fornari (1837), Godeberto re dei Longobardi (scritto nel 1837 e rappresentato nel 1838) e La famiglia Lercari (1840), che valse all'autore una lettera di apprezzamento di G.B. Niccolini, lo indussero a dedicarsi interamente al teatro, rifiutando, contrariamente alla volontà familiare, la carica di segretario particolare offertagli da F. Paulucci, governatore di Genova. Scegliendo dunque di vivere della propria attività di drammaturgo, il G. nel 1840 divenne "poeta di compagnia", con un contratto che, per 120 svanziche al mese, lo impegnava a fornire annualmente cinque drammi alla compagnia Giardini-Woller-Belatti e seguirne le rappresentazioni in tutte le piazze. Così nel 1841, dopo il successo di Pellegro Piola (scritto nel 1839) e Domenichino, si trasferì per un semestre a Roma, dove scrisse e vide felicemente rappresentata una commedia, suggerita dai recenti trionfi genovesi della ballerina Fanny Cerrito, Il poeta e la ballerina, primo risultato originale della sua drammaturgia, in cui divennero sempre più evidenti i propositi educativi. Mossa da ragioni autobiografiche, la commedia denunciava con i toni della satira la generale crisi del teatro italiano di metà Ottocento, penalizzato fra l'altro dalla scarsa frequenza di un pubblico attratto da più frivole forme di spettacolo.
Sempre per la compagnia Giardini-Woller-Belatti, oltre a Cristoforo Colombo (1842), bilogia di drammi storici, il G. portò in scena le commedie Quattro donne in una casa (1842), di chiara ispirazione goldoniana, e Un poema e una cambiale (1843).
Passato alle dipendenze della compagnia di L. Domeniconi, il G. il 23 maggio 1843 seguì a Roma la prima di Isabella del Fiesco, scritta per Carolina Santoni e da lei interpretata, sposando il giorno seguente Teresa Mozzidolfi, una giovanissima attrice dalla quale ebbe un figlio. In quello stesso anno, trasferitosi con la moglie a Firenze, vi conobbe G.B. Niccolini; a Torino invece ebbe contatti con G. Prati e A. Brofferio, e a Genova mise in scena Per mia madre cieca, dedicato all'amico drammaturgo D. Chiossone, I Fieschi e i Fregosi.
Nel 1844, viste le incompatibilità artistiche con il Domeniconi, il G. tornò alla compagnia Giardini-Woller-Belatti per la quale lavorò fino al 1847, componendo altre dodici opere, fra cui: Le tre classi della società (1845), Camilla Faà da Casale e La benefattrice e l'ingrato (entrambi nel 1846), Paolo da Novi e Carlo II re d'Inghilterra (1847); in quest'ultimo anno vedevano la luce I misteri dei morti, rappresentato nel 1848, e L'amico di tutti, rappresentato nel 1850.
Nel 1847, succedendo allo scomparso A. Nota, il G. fu scritturato da D. Righetti, conduttore dell'unica compagnia stabile in Italia, la Reale sarda, con un contratto, valido dal 1848 al 1850, che lo impegnava a fornire annualmente, per un compenso di 3000 lire, quattro lavori di almeno due atti ciascuno. Sollevato dall'obbligo di presenziare a ogni spettacolo, il G. scelse di stabilirsi a Firenze, da dove era tenuto a raggiungere Torino, a spese della Reale, soltanto per le prime rappresentazioni. Lavorare con la più importante compagnia italiana fu per il G. poco redditizio, ma gli garantì prestigio e soddisfazioni, grazie al repertorio nazionale, alla minuziosa cura degli allestimenti, al buon livello degli attori e alla solida organizzazione, che gli permisero di cimentarsi in una produzione con più espliciti intenti di impegno civile. Le vicende politiche del 1848 incoraggiarono il G. a ultimare Cola di Rienzo (1848), rappresentato in autunno a Firenze (precedentemente era stato proibito a Torino per i suoi riferimenti patriottici). Nel 1849, dopo aver seguito la rappresentazione romana di Siamo tutti fratelli, attacco alla falsa filantropia, che, per i riferimenti antigesuitici, gli causò la scomunica, il G. si recò a Torino, dove finalmente era stata autorizzata la rappresentazione del Cola di Rienzo. Nel frattempo la collaborazione con la Reale sarda, privata di ogni privilegio dallo statuto albertino e minacciata da voci di una prossima soppressione, si prolungava oltre i termini previsti dal contratto, anche per la disponibilità del G., che compensava la precarietà della retribuzione con gli aiuti economici ricevuti da F. Righetti, succeduto al padre nella direzione della compagnia.
Nella produzione di quegli anni figurano, insieme con La donna (1850), La donna in seconde nozze (1851), Il milionario e l'artista (1851) e Corilla Olimpica (1852), alcuni drammi politico-sociali, come Le metamorfosi politiche (1849), Gli educatori del popolo (1850), Inclinazioni e voti (1851) e La moglie dell'esule (scritto nel 1851 e rappresentato nel 1852), ammessi soltanto dalla censura del Regno di Sardegna. Spiccava fra questi titoli Inclinazioni e voti, ove l'intreccio tragico e ridondante era pretesto per denunziare le ingerenze del clero nella vita civile e gli effetti dannosi del celibato ecclesiastico.
Costretto a licenziarsi dalla Reale sarda, definitivamente privata dal governo delle sovvenzioni, nel 1853 il G., dopo una breve collaborazione con la compagnia di G.P. Zoppetti, lasciò Torino e accettò un contratto con l'attrice Fanny Sadowsky, per la quale scrisse il dramma storico Elisabetta regina d'Inghilterra (1853) - poi interpretato trionfalmente all'estero da Adelaide Ristori - che attraverso il personaggio della protagonista gli consentiva di coniugare la propria inclinazione all'erudizione con le atmosfere tipiche del dramma borghese.
Separatosi dalla moglie infedele al termine della fortunata prima di Elisabetta regina d'Inghilterra (Venezia, 2 maggio 1853), il G., rimasto solo con il figlio, scrisse in preda al pessimismo La notte del venerdì santo (rappresentato nel 1855) e La colpa vendica la colpa, macchinoso racconto di un finto matrimonio che ispirò l'Odette di V. Sardou, rappresentato a Treviso nel 1854 dalla compagnia di G. Leigheb, con la quale da allora cominciò a collaborare.
Qualche mese dopo, giunto a Mantova al seguito di alcuni spettacoli, il G. conobbe a Gazzuolo una giovane del posto, Luigia Saglio, nipote del parroco, e se ne innamorò; fu lei, tra l'altro, a ispirargli il dramma Lucrezia Maria Davidson (1854) e a indurlo a stabilirsi definitivamente a Gazzuolo, dove il G., oltre a curare la salute malferma, ultimò un nuovo dramma storico, Torquato Tasso, rappresentato a Mantova nel 1855 e vincitore del terzo premio governativo al concorso drammatico di Torino. Non ancora ristabilitosi, il G. troncò la collaborazione con la compagnia Leigheb rifiutandosi di seguirla a Trieste.
L'ormai consumata pratica teatrale condusse il G. a riflettere, nel saggio Della letteratura drammatica in Italia, scritto come Proemio alla raccolta, da lui curata, del suo Teatro scelto (I, Mantova 1857), sui problemi della drammaturgia, attribuiti al frazionamento politico della penisola, di cui lo stesso G. fece le spese, oscillando tra dramma storico, commedia, tragedia e dramma a tesi, per accontentare un pubblico disomogeneo. A questa sua analisi, che prevedeva anche un quadro di interventi concreti per sanare la situazione del teatro, si intreccia la riflessione teorica sull'arte teatrale, apprezzata per il potere persuasivo e le potenzialità pedagogiche, predominanti negli intenti del G. ma destinate a svanire, insieme con i propositi di realismo, nella pratica della scrittura.
Nel 1857, a Madrid, venne rappresentata Giuditta, tragedia biblica in versi, vincitrice l'anno seguente del premio governativo al concorso drammatico di Torino. Nell'opera, commissionata e interpretata dalla Ristori, con la quale il G. intraprese una lunga collaborazione, la verità storico-biblica era sottomessa, come già in Elisabetta regina d'Inghilterra, alle esigenze teatrali della protagonista, la cui vicenda, in bilico tra amor di patria e sacrificio di sé, conquistò il pubblico borghese, favorendo, nell'imminenza della guerra contro l'Austria, la lettura politica della tragedia.
Con Giuditta ebbe così inizio per il G. una nuova fase professionale a diretto contatto con il "grande attore", che nel secondo Ottocento, forte dei propri meriti nella ripresa del teatro postnapoleonico, concepiva l'autore come un artigiano al suo servizio. A condizionare la drammaturgia del G. furono E. Rossi, T. Salvini, e la Ristori, veri e propri coautori dei testi portati in scena, a giudicare dalle variazioni imposte per esempio dal Salvini nel Michelangelo Buonarroti e dalla Ristori in Giuditta e nella successiva Maria Antonietta, tanto modificata da sembrare, al suo esordio italiano del 1868 e contrariamente alle intenzioni del G., un'esaltazione dell'ancien régime. La priorità attribuita dagli attori al protagonista, identificabile anche da un pubblico straniero, e alla dialettica delle passioni, indusse il G. a privilegiare il dramma storico e ad attenuare i consueti toni didascalici a favore della componente sentimentale. Ne risentì positivamente anche la sua padronanza degli effetti scenici.
Dopo i successi in Germania, Polonia e Olanda, nel 1858 Giuditta fu portata dalla Ristori e dallo stesso G. a Parigi, dove la censura esitò a consentirne la messa in scena, riconoscendo nell'opera, anche grazie al nome italiano dell'autore, un infondato richiamo al recente attentato di F. Orsini a Napoleone III. Vietata dalla polizia nel territorio veneto, Giuditta venne invece permessa a Torino, applaudita dal re Vittorio Emanuele II, che, dal Cavour, cui aveva chiesto di procurargli il testo del dramma, ricevette con il libro la proposta di conferire all'autore la croce di cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Tornato a Gazzuolo nel maggio del 1858, il G. si calò più direttamente nel clima patriottico con il discorso in memoria dei caduti della guerra, pronunciato a Gazzuolo il 31 luglio 1859 (Milano 1859), il Cantico di Sicilia (ibid. 1860) e I martiri di Belfiore: cronache patrie (Mantova 1890).
Proprio a seguito del discorso del 1859 fu inevitabile lo scontro con il vescovo di Cremona, A. Novasconi, che, informato dai reazionari gazzuolesi delle attività del G. e del suo legame con la nipote del parroco, gli ingiunse di lasciare la casa di don P. Saglio, minacciato di sospensione dalla messa. Il G. ubbidì ma rimase a Gazzuolo, subendo fino al maggio del 1860 la sospensione del decreto di nomina a cavaliere. Nel frattempo un nuovo dramma storico, Bianca Maria Visconti, veniva rappresentato con successo a Madrid dalla Ristori.
Finalmente, nel maggio 1861, a seguito della recente scomparsa della Mozzidolfi, il G. poté sposare la Saglio, da cui ebbe due figli, ponendo fine alle maldicenze e ai disagi che gli ispirarono la sua opera più famosa, interpretata da E. Rossi nello stesso anno, La morte civile, dramma a tesi sulla necessità del divorzio religioso nei casi di condanna irreversibile (morte civile) di un coniuge. Molto apprezzata, anche grazie all'interpretazione del Salvini, giunta nel 1864 a correggere l'iniziale insuccesso, l'opera, nella rappresentazione parigina del 1878, mosse al plauso É. Zola che successivamente, in Naturalisme au théâtre (1881), ne rilevò il verismo, in realtà attribuibile solo all'efficacia della recitazione, capace di attenuare l'eccessiva truculenza e di supplire al difetto di gusto e penetrazione psicologica che penalizza il sincero spunto del dramma.
Dopo aver lavorato a L'indomani dell'ubriaco (1862), rappresentata dalla compagnia Bellotti Bon, il G. incrementò la produzione commissionata dai grandi attori, scrivendo per la Ristori Luigia Sanfelice (1863), Eponima (1863, mai rappresentato), Figlia e madre (1865), Maria Antonietta (1867), Unità morale in famiglia (1869) e Renata di Francia (1873); per E. Rossi Ferdinando Carlo di Gonzaga, o L'ultimo dei duchi di Mantova (1864); per T. Salvini Sofocle (scritto nel 1865, rappresentato nel 1866), Arrigo IV il Salico, o La Chiesa e l'Impero (1868, mai rappresentato) e Michelangelo Buonarroti (1873).
Amareggiato da un certo calo di consensi, il G. dovette anche affrontare crescenti difficoltà economiche non alleviate dalla legge del 1865 sul diritto d'autore, come dimostra il comportamento della Ristori che continuò a stabilire personalmente il compenso del G., e del Salvini che per 500 lire acquistò i diritti di rappresentazione, senza esclusiva ma senza limiti di tempo, di La morte civile.
Dopo la scomparsa dei figli Cesare (1867), e David (1870), cui è ispirato il dramma Lotta crudele (scritto nel 1874 e rappresentato nel 1875), la salute sempre più compromessa spinse il G. a trasferirsi nel 1877 a Genova e poi a Novi, dove scrisse La lettera anonima (1879), suo ultimo successo. A Gazzuolo tornò nella primavera del 1882, riuscendo, nonostante il logorio del male, a rimaneggiare l'Arrigo IV il Salico e accettando l'incarico di scrivere la storia del teatro ligure affidatogli dal Comune di Genova, che voleva sostenere lo scrittore con un compenso mensile di 150 lire.
Il lavoro rimase incompiuto per la morte del G., sopraggiunta nella sua casa di Nocegrossa, frazione di Gazzuolo, il 31 ag. 1882.
Un'ampia raccolta dei drammi del G. è nella già ricordata edizione del suo Teatro scelto, da lui stesso curata, I, Mantova 1857; II-V, Milano 1859-71; una scelta più recente è in P. Giacometti, Teatro, a cura di E. Buonaccorsi, Genova 1983.
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